LA LEGGENDA DEL LAGO
Ogni anno, dal 1967, in questo angolo di Svizzera si esibiscono i migliori artisti del mondo. Da qui sono passati, tra un urlo e un tuffo, David Bowie e Michael Jackson, Miles Davis e Aretha Franklin, i Queen e i Deep Purple, che proprio sul lago di Ginevra scrissero la loro celebre Smoke on the Water. E, per l’edizione 2019, già si annuncia un altro mito: Elton John al passo d’addio. Ma potrebbe debuttare un ragazzo di Liverpool...
Nella hall dell’Hotel Fairmont di Montreux c’è Quincy Jones, il produttore più importante della storia della musica soul, che sorride come se avesse vent’anni, seduto sulla sedia a rotelle che gli rende l’anima leggera in questi anni di vecchiaia portati con la forza della musica nelle vene. In testa ha un cappellino con scritto University of the Hood, in onore a un college americano dedicato alle arti e alla letteratura. Al polso, un prezioso orologio Parmigiani Fleurier, realizzato e disegnato da un maestro orologiaio svizzero della Val-de-Travers considerato dai collezionisti il più grande watchmaker del mondo. Nelle sue mani, 27 Grammy Awards vinti con Michael Jackson, Miles Davis, e per l’invenzione di We Are the World. Negli occhi, la festa che quaranta jazzisti di tutto il mondo gli hanno dedicato la notte precedente, esibendosi gratis in suo onore negli spazi della House of Jazz, un club da seicento posti con ristorante e terrazza panoramica appena inaugurato in riva al lago di Ginevra. Si fa una risata sonora quando qualcuno gli racconta di Iggy Pop, che durante il suo ultimo live svizzero ha perso un incisivo lanciandosi dal palco dell’Auditorium Stravinski, davanti a quattromila fan in delirio. E a chi gli chiede cosa lo spinga, a 85 anni, a trasvolare l’oceano per venire fin qui ogni santo luglio, risponde con ampi gesti delle mani: «Questa è la Rolls-Royce delle kermesse musicali. Qui gli artisti sono a casa». Il Montreux Jazz Festival è stato fondato nel 1967 da Claude Nobs, non solo un promoter e visionario, ma anche un ex pompiere volontario e un eroe, che nel 1971 portò in salvo una ventina di spettatori rimasti intrappolati in un incendio scoppiato nel Casinò della città, subito dopo il concerto di Frank Zappa, con le fiamme appiccate da un fan impazzito. La struttura finì brevemente in cenere e l’immagine del fuoco riflesso sul lago screpolato di Ginevra ispirò le chitarre dei Deep Purple, che folgorati dalla scena scrissero una delle canzoni più importanti della storia del rock: Smoke on the Water. E subito dopo, catturati dal momento, vollero registrare proprio qui il loro album Machine Head, al Grand Hôtel Suisse-Majestic, dove una targa ricorda ai passanti quegli anni meravigliosi. E mentre la grande storia si dipanava, quella piccola si affacciava e prendeva forma, arricciata in aneddoti che gli appassionati si passano di edizione in edizione (la 52esima si è chiusa il 14 luglio). Come la storia incredibile di Aretha Franklin, arrestata dalla polizia cantonale perché creduta pazza da una coppia di anziani in villeggiatura che allertarono la gendarmeria dopo esser stati svegliati nel cuore della notte da questa minuta donna di colore, in piedi sull’imbarcadero e rivolta verso le montagne, a cantare a squarciagola. E poi Prince, che prima della performance del 2013 chiese a un tassista di portarlo a visitare le vinerie che circondano la città e subito dopo scrisse il brano funky Lavaux, dedicato alle viti coltivate a strapiombo sul lago. O Nina Simone, riapparsa qui nel 1976 dopo aver lasciato gli Stati Uniti accusando Fbi e Cia di alimentare volontariamente la piaga del razzismo: dopo essere fuggita in Liberia era poi planata qui, regalando una performance allucinata, psicotica, 111 minuti di cui solo quarantasette fatti di musica. Per il resto, frasi sbiascicate, pause lunghissime, sguardi perduti nel vuoto. E ancora, Freddie Mercury e David Bowie, che a Montreux vissero per un lungo periodo dopo gli eccessi berlinesi e registrarono Under Pressure dopo una serata trascorsa nello chalet di Claude Nobs, con vista sulla città vecchia. «Quella casa è uno scrigno di segreti e forse un giorno la apriremo al pubblico», racconta Mathieu Jaton, divenuto direttore del festival subito dopo la morte del fondatore, nel 2013. «C’è il divano sul quale si addormentava Michael Jackson», ricorda Jaton, «il kimono preferito di Freddie Mercury, con cui si esibiva per gli amici. Il cappello dei Jamiroquai e i guantoni usati da Sylvester Stallone per il primo Rocky e donati al Montreux Jazz Festival, di cui è uno storico fan». Un passato gigante che non riesce mai a sovrastare il presente, però. Per la prossima edizione, sponsorizzata da global partner come Heineken e Parmigiani Fleurier («La musica e l’orologeria sono le più perfette cristallizzazioni del tempo», dice il fondatore della maison Michel Parmigiani, presentando la limited edition creata apposta per il festival), è stato annunciato il concerto di Elton John, che on the lake Geneva shoreline (citazione da Smoke on the Water) chiuderà la sua cinquantennale carriera. E se tutto va bene ci sarà anche Paul McCartney, che qui a Montreux non ha mai suonato, «ma che nei giorni scorsi ha ricevuto una telefonata da Quincy Jones, proprio davanti a me, per convincerlo a esibirsi il prossimo luglio», ci rivela Jaton. Un’altra leggenda vivente che vedrà le jam session impazzare tutta la notte, al Funky Claude’s Bar e al Montreux Jazz Café. Pubblico e artisti a bere assieme al Belvedere, dopo i concerti. Tuffi all’alba dal pontile di legno e musica elettronica sui battelli e allo Strobe Klub. Per un paio di settimane, gli spiriti della musica si raccolgono in questo angolo d’Europa protetto dalle montagne. Prima di ricominciare il loro inverno spettrale, nell’attesa spasmodica di ritornarci.