Vanity Fair (Italy)

Faccio suonare il caos

Dalla strada allo studio: la polistrume­ntista TASH SULTANA e la fatica del primo album

- di FERDINANDO COTUGNO

Tash Sultana ha 23 anni, viene dall’Australia e la sua specializz­azione è convertire il caos in musica. È una polistrume­ntista, le sue canzoni sono lunghe ipnosi in cui suona ogni strumento, dalle chitarre al flauto e al piano. Grazie a YouTube è passata dall’esibirsi per strada (con anni di eccessi e una psicosi causata dalle droghe) a festival come Coachella e Lollapaloo­za. Il 31 agosto esce Flow State, il suo primo album, il 29 settembre si esibirà al Fabrique di Milano. È stato difficile mettere insieme questo album? «Maledettam­ente. Le canzoni le avevo in testa, ma per me è dura trascriver­e il caos della mente nella registrazi­one in studio. Era un passaggio necessario: dopo anni a girare il mondo in tour senza un album vero e proprio. Ero una ragazzina quando è cominciato tutto, ho dovuto crescere in fretta». Com’è un concerto di Tash Sultana? «La gente non crede che faccia tutto da sola, pensano che ci siano tracce pre-registrate ma non è così: è tutto vero». Perché è diventata polistrume­ntista? «Suonando per strada avevo notato che chi si esibiva solo con la chitarra guadagnava meno di chi suonava tanti strumenti e ho pensato: ma sì, proviamoci. Ho suonato per anni così forte che ho il gomito e le dita rovinati». Quali sono i suoi punti di riferiment­o? «Quello che ascoltavan­o i miei genitori, nati negli anni Õ60, da Bob Marley a George Michael. Il rock psichedeli­co e Santana, il mio eroe. Ha attraversa­to i decenni e le mode, conservand­o la sua forza e la sua spirituali­tà. È la mia ispirazion­e». Si definisce non-binaria: è difficile esserlo in una musica che etichetta tutto? «Nell’industria musicale c’è spazio per tutti, etero, gay, gente sempliceme­nte strana. È la società che non sa accettare quelli che, come me, non si sentono né maschi né femmine. Prima non c’erano le parole per definirci. Ma ora sì, e la gente ha l’obbligo di prenderci per quello che siamo».

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