Tornare o no?
Con GILLIAN FLYNN (ricordate Gone Girl?) riviviamo una storia morbosa e cupa. Dove, forse, c’è spazio anche per il perdono
égià una serie tv Hbo (in onda in Italia dal 17 settembre su Sky Atlantic) questo piccolo tesoro di ossessione, morbosità e amore, Sharp Objects (Rizzoli, pagg. 350, € 19; trad. di Barbara Murgia), esordio di Gillian Flynn (47 anni, sopra), autrice anche del fortunato Gone Girl. Storia di Camille, giornalista di nera trentenne che vive a Chicago, non ha un uomo da dieci anni, beve troppo, si taglia per espiare le colpe e calmare il dolore. Quando nella sua cittadina originaria, Wind Gap, scompare una bambina poco dopo che un’altra è stata uccisa, il suo direttore, Curry, la invita a tornare a casa. Per indagare, scrivere un articolo da Pulitzer e tornare indietro, certo. Ma soprattutto perché Curry le vuole bene come un padre, e spera che tornare a Wind Gap dopo tanti anni, ritrovare la madre, la sorellastra e gli amici di un tempo possa farla star meglio. Ma chi l’ha detto che tornare deve necessariamente farti star bene? Se hai avuto un’infanzia difficile, i luoghi dove sei nato ne sono intrisi, e tutti i nodi, come dice Camille, vengono al pettine. Davvero può servire a qualcosa un flirt con un uomo venuto da fuori? Davvero può servire rivedere una madre che forse non ti ha mai amata? Davvero può servire ritrovare la stanza in cui, tanti anni fa, giocavi con tua sorella, che ora non c’è più? Sharp Objects è un thriller, certo, è l’indagine di Camille – una volta che anche la seconda ragazzina viene trovata morta – alla caccia di un serial killer. Ma è anche un romanzo che usa una trama fitta, tesa, ritmata, seducente per raccontare ciò che ci accomuna: i conti sospesi con l’infanzia, i genitori, i luoghi in cui siamo nati. Abile e minacciosa, Flynn costruisce un meccanismo a orologeria capace di risucchiarci, ma allo stesso tempo ci dona la possibilità di affrontare i nostri fantasmi: di chiedere perdono, o di essere perdonati.