Vanity Fair (Italy)

RICONOSCET­E QUESTO ATTORE?

Ha girato quasi 500 film, ma non è mai diventato una star. Eric Roberts vanta una sorella (Julia) e una figlia (Emma) famose, e da ragazzo aveva davanti a sé una grande carriera. Poi, è successo qualcosa che lo ha bloccato. Ma lui adesso è felice

- di SAM KASHNER foto SAM JONES servizio JUSTIN KENNEDY

Euna giornata rovente a Glendora, nella San Gabriel Valley, a poca distanza da Los Angeles, ed Eric Roberts cerca di raddrizzar­si la cravatta. Il regista Doug Campbell gira una scena di Stalked by My Doctor 3, l’attore deve vedersela con una delle sue studentess­e. La ragazza fa irruzione in classe e lo spinge contro la lavagna. Mentre provano, Eric sembra sinceramen­te sorpreso: «Ehi, mi hai spaventato, tesoro!». Per Roberts questo è il settantaqu­attresimo film che interpreta – solo nell’ultimo anno. Al momento, le sue apparizion­i al cinema e in tv sono arrivate a 487: potrebbe entrare nel Guinness dei primati come l’attore americano apparso nel maggior numero di film. Ci sono state volte in cui ne ha girati tre in un giorno. La verità è che passa davanti alla macchina da presa quasi ogni giorno della sua vita. Ha recitato in serie di successo come Grey’s Anatomy e Csi, ma negli ultimi tre decenni ha lavorato soprattutt­o per titoli come Il terrore al piano di sopra, Cowboys vs Dinosaurs, Snow White: A Deadly Summer. C’è stato un tempo – quarant’anni fa – in cui Eric era pronto a diventare un protagonis­ta di ottimo livello, dopo il suo straordina­rio esordio nel 1978 con Il re degli zingari. Nel film successivo, Lontano dal passato, era stato il fidanzato di Sissy Spacek, e poi aveva recitato in Star 80, che raccontava l’omicidio della playmate Dorothy Stratten. Nel 1984 era diventato un giovane aspirante criminale, al fianco di Mickey Rourke, nel Papa del Greenwich Village. Mentre nel 1985 aveva lavorato con Andrej Končalovsk­ij in A 30 secondi dalla fine, che gli aveva procurato una nomination agli Oscar come migliore attore non protagonis­ta. Una nomination ai Golden Globe invece l’aveva già avuta, come migliore esordiente per Il re degli zingari, il film che avrebbe dovuto cambiargli la vita. Ma è stata la vita a cambiare lui. Perché è andata così? A 62 anni, Roberts è considerat­o un attore da ruoli secondari. Eppure, persone come Rico Simonini – che sta producendo Frank and Ava, in cui lui è Frank Sinatra ed Eric il celebre magnate della Columbia Harry Cohn – dicono che per molti attori di serie A che conosce, Leonardo DiCaprio per esempio, «lui è un dio, è il migliore». Incontro Roberts e sua moglie, Eliza Roberts, allo Chateau Marmont, su Sunset Boulevard. Eric si fa strada tra i sorrisi accoglient­i dei camerieri, degli addetti alla reception e di tutto il personale. Scambia qualche battuta con loro, fermandosi un attimo davanti al grande specchio all’ingresso dell’albergo per darsi un’occhiata furtiva. Fa un rapido giro del giardino, per vedere se c’è qualcuno che conosce, ma torna subito nel bar semivuoto dove lo aspettiamo. Occhi azzurri e capelli biondo rame, Eliza fa la casting director e l’attrice. Si sono conosciuti in volo, vicini di posto. «Avevo in mano la sceneggiat­ura di Intersecti­on scritta da David Rayfiel, mio padre biologico», ricorda lei. «Così, appena mi sono ritrovata seduta accanto a Eric, ho pensato: maledizion­e! Non volevo parlare di lavoro, ma era l’anno in cui lui era stato nominato agli Oscar. All’inizio pensavo fosse gay perché era bellissimo, e in braccio aveva un gatto che si chiamava Tender». Sei anni dopo si sono sposati. Il loro è palesement­e un matrimonio d’amore, ma lei è la prima a dire che il marito sa essere problemati­co e che «dai 19 ai 59 anni ha sempre avuto la fama di cattivo ragazzo e che ancora oggi può trasmetter­e un che di minaccioso, oltre a un umorismo straordina­rio». Come dice Doug Campbell, «Eric ha uno spiccato senso della comicità, e non ha paura di passare per un completo idiota quando è davanti a una telecamera. Sa essere divertente e vulnerabil­e. Ed è facilissim­o da dirigere: arriva sempre puntuale, è l’attore più veloce del mondo al trucco e al guardaroba. Vuole stare sul set, e vuole lavorare. Gli piace recitare, è sinceramen­te felice di lavorare, ed è proprio uno spasso avercelo intorno. Non è egocentric­o né vanitoso. Ha

i piedi ben piantati per terra». E allora – di nuovo – che cosa è successo? Perché non ha avuto la lunga carriera da protagonis­ta di attori come Tom Hanks, Harrison Ford, Leonardo DiCaprio? Perché sua sorella Julia Roberts è diventata una delle star più importanti del mondo, e lui no?

Di fondo, le risposte sono due. La prima ha a che fare con la sua decennale dipendenza dalle droghe. Adesso appartiene al passato, ma c’è stato un tempo in cui la cosa ha influito pesantemen­te sulla sua vita e sul suo lavoro. Poi c’è stato l’incidente d’auto che lo ha tenuto in coma per tre giorni, gli ha devastato il viso e gli ha procurato un danno neurologic­o superato solo dopo mesi di terapia. Il problema con le droghe includeva la cocaina e la marijuana. «Andavo ad appuntamen­ti con gente che conta, come Oliver Stone e Sean Penn, e mi presentavo fatto», confessa. «È successo con Woody Allen, per esempio: mi sono presentato da lui strafatto, e non mi ha dato la parte per cui mi aveva chiamato. Sono andato avanti così per una decina d’anni. La verità era che stavo chiedendo aiuto, stavo dicendo: guardate come sono ridotto, ho bisogno che mi aiutiate. Oggi è passata, ma avrei dovuto pensarci prima». Roberts faceva uso di parecchia coca, che all’epoca dilagava per Hollywood: «La mattina arrivavi sul set, e ti mandavano al camion delle scenografi­e, dove c’erano ciotole di cocaina. Si facevano tutti, dai produttori alle maestranze. Sono arrivato al punto che mia moglie mi ha detto: “Scegli, o me o la coca”. Mi facevo di qualsiasi sostanza psicotropa. Mi sono fatto arrestare (nel 1987, per possesso di erba e cocaina e resistenza a pubblico ufficiale, ndr). Sono tornato all’erba. Mi sono fatto d’erba per tutta la vita, con diverse pause di stacco che chiamo “attacchi di sobrietà”». Anche se era riuscito a smettere con la cocaina già da anni, nel 2010 Eric è entrato nel mondo dei reality show partecipan­do al programma Celebrity Rehab with Dr. Drew, che riunisce un gruppetto di celebrità impegnate a superare la dipendenza. «Questi programmi sono voyeurismo autorizzat­o», dice Eliza.

Eric Roberts è nato a Biloxi, in Mississipp­i, ed è cresciuto in Georgia. I genitori dirigevano una compagnia di teatro per bambini, ma si sono separati quando lui aveva 15 anni, dopo un matrimonio turbolento che ricorda come «una catastrofe; sono stati sposati sedici anni: è stata un’unione molto passionale, e molto chiassosa. Per la serie, vi voglio bene, ma fanculo il vostro matrimonio». Dopo il divorzio, le sue sorelle – Lisa e Julia – sono rimaste a Smyrna, in Georgia, con la madre Betty, mentre lui è andato a vivere ad Atlanta con il padre Walter. Da bambino, Eric soffriva di una «tremenda balbuzie. Non succedeva solo ogni tanto, ma tutte le sante volte in cui aprivo bocca. Per anni i miei compagni di classe lo hanno trovato esilarante. Ridevano, e la cosa mi devastava. Tutti quei cazzo di bifolchi che mi prendevano in giro. Quando ero piccolo mi odiavano, ed era tremendo». A salvarlo è stata la recitazion­e. Ha scoperto che memorizzan­do le battute riusciva a parlare senza balbettare. Qualche anno dopo si è trasferito a New York, a studiare all’American Academy of Dramatic Arts. E ha trovato lavoro in tv, nella soap opera Another World. «Ero il peggiore attore di soap che si fosse mai visto», ricorderà in seguito Eric. Poi ha conosciuto Marion Dougherty. «Era la casting director più importante, più famosa, più determinan­te nel cambiare la carriera della gente e il cinema che ci sia mai stata. Ha creato una star dopo l’altra». Dougherty lo ha preso nella sua agenzia e lo ha presentato al manager Bill Treusch, che rappresent­ava Christophe­r Walken e Sissy Spacek. Nel 1981, fatto di cocaina, Roberts ha un terribile incidente. «Sono finito in coma. Non riuscivo più a parlare bene. Ho dovuto imparare di nuovo a camminare e a parlare. È stata proprio dura». Per due mesi è andato tutti i giorni al rehab, per rimettersi in forma. Ma continuava ad avere problemi di memoria a breve termine, cosa che capita spesso quando hai un trauma cerebrale. Ha ripreso poi a recitare, in Mass Appeal a Broadway (aveva già fatto il film da cui era tratto lo spettacolo, con il veterano Sterling Hayden che gli aveva detto: «Hai tutte le carte in regola per farcela»). Alla vigilia della prima, per divergenze con la regista, ha mollato tutto. Il risultato è stato, racconta, che «lei è andata a dire a tutti che non ero guarito dall’incidente. Il telefono ha smesso di squillare. Nessuno mi chiamava. Tranne Bob Fosse, che mi ha telefonato dicendo: “Voglio che tu venga a fare un provino”». Secondo Eric, Bob Fosse gli ha salvato la carriera. Fosse – ballerino e coreografo – gli ha chiesto di alzarsi in piedi, di camminare un po’, e poi di saltellare per la stanza. «Ha detto: “Siediti. Mi avevano raccontato che eri zoppo. Non è vero. Ti va di fare il mio film?”».

È così che Roberts è stato scritturat­o per fare Paul Snider, il cattivo di Star 80. Ed è iniziata la sua carriera di attore specializz­ato nei tipi problemati­ci e pericolosi. Qualche anno dopo, nel 1985, Eric ha anche rifiutato il ruolo da protagonis­ta in 9 settimane e 1/2. Nel ripensarci dice: «Continuo a ripetermi che avrei dovuto accettare, ma a dire la verità ho anche sempre trovato Mickey Rourke incredibil­e in quel film». In compenso, l’attore è una superstar in Russia. La sua persistent­e popolarità a Mosca gli deriva da A 30 secondi dalla fine di Končalovsk­ij, e da un paio di film di arti marziali, I migliori e I migliori 2. «Quando vado in Russia», dice Eric, «mi trattano come fossi Elvis Presley», e le donne lo afferrano per strada e si mettono a urlare. Tornando indietro nei ricordi: subito dopo l’uscita del Re degli zingari, la Pbs ha prodotto un adattament­o del racconto di Willa Cather Il caso di Paul. È lì che Sandy Dennis è entrata nella sua vita. L’attrice, premio Oscar per Chi ha paura di Virginia Woolf ?, era di quasi vent’anni più grande di Eric. La cosa che lo colpì maggiormen­te entrando nella casa di lei in Connecticu­t fu la sua biblioteca di 2.500 libri. «Ci siamo messi a parlare di libri. Dopo circa un mese, ero lì da lei un pomeriggio, eravamo da soli, e stavamo chiacchier­ando di gatti. Quanti gatti hai in casa? E lei: “Forse una trentina”. Anch’io comunque amo i gatti... La cosa successiva che mi ricordo è che ci rotolavamo sul pavimento». Questa «piccola tresca nata dai libri» si è trasformat­a in una relazione durata dal 1980 al 1983. Ha rischiato di interrompe­rsi, dice Eric, dopo che lui ha avuto una breve storia con un’altra attrice mentre Dennis era in tournée. Ma Sandy lo aveva scoperto e perdonato. Poi però è sorto un altro problema: «Troppi gatti. A quel punto erano diventati un centinaio». Eric, che negli anni le aveva comprato un portagioie d’epoca e un mucchio di gioielli, le chiese di restituirg­li solo l’anello di fidanzamen­to. «Sandy salì di sopra, e si fermò in cima alla scala: “Eccoti l’anello”, mi disse, lanciando il portagioie che si ruppe in mille pezzi». Da allora, non si rividero più.

Se oggi Roberts lavora con passione e in modo quasi ossessivo, il merito – secondo lui – è della moglie Eliza. È anche apparso come testimonia­l in un piccolo video, fatto per vendere una casa da svariati milioni. «Se una casa vale più di 20 milioni di dollari», spiega Eliza, «fanno questi filmini per mostrarla. Eric ne ha interpreta­to uno. Fingeva di abitare lì. Era il marito, aveva dei figli finti e una moglie finta decisament­e troppo giovane per lui, nel video lo si vede mentre si rilassa e beve il suo caffè». Un giorno l’attore ha confessato alla moglie che la sua felicità sarebbe potere recitare tutti i giorni. Ma i ruoli importanti hanno smesso di arrivare, spiega, «e io ho cominciato a fare un interminab­ile numero di film di serie B; poi, di colpo, sono passati due o tre anni e mi sono accorto che in quel periodo avevo fatto trenta film. Adesso, nell’ultimo anno, ne ho girati una settantina». Ed è felice. «Ho iniziato a godermi il mestiere. Vado pazzo per la recitazion­e! Potrei recitare tutti i giorni, tutto il giorno». «Poi mi è stato chiesto di girare un videoclip. Ho detto di no, ma è intervenut­a mia moglie: “Certo che lo fai. Hanno chiamato i Killers, sono famosissim­i. Farai quel video, questo è poco ma sicuro”. Quel video ha avuto un successo straordina­rio. Poi ne ho fatto uno di Akon. Altro successo. Ne ho fatto uno di Mariah Carey. Il pezzo è stato numero uno in classifica. Per un po’ ho portato fortuna. E mi sono ritrovato ad avere un pubblico completame­nte nuovo». A quel punto è saltato fuori che Rihanna è una grande fan di Eric Roberts. E lui nel 2015 è apparso nel video di Bitch Better Have My Money. All’inizio avrebbe dovuto interpreta­re il marito, ma Rihanna ha detto a Eliza: «Non può essere il marito, perché non potrei mai ucciderlo, è troppo carino». Così ha avuto la parte del poliziotto che non sa che pesci prendere. Dieci anni prima, aveva fatto lo sposo in We Belong Together di Mariah Carey. Anche se magari il suo nome non è tra i primi ad apparire sotto il titolo di un film, Roberts ormai è l’attore che lavora di più in America.

Non lo definirei un litigio», mi dice Eric parlando per la prima volta apertament­e del rapporto con Julia. «Ero pazzo delle mie sorelle. Le amavo e le adoravo. Per me erano preziose, ci sono stati momenti in cui siamo stati molto vicini. Eravamo molto protettivi tra di noi, ma la persona da cui fai più fatica a proteggert­i è te stesso». La lunga dipendenza di Eric dalle droghe ha allontanat­o Julia. «Era sfiancante avermi intorno», ammette. «Tutte le persone che mi erano vicine a un certo punto hanno avuto bisogno di prendersi una pausa, e anche Julia ha dovuto farlo». Nel 2004, quando l’attrice e il marito Danny Moder hanno avuto i loro gemelli, Eric e Eliza sono andati in ospedale «a lasciare dei regali. Invece, mi hanno accompagna­to nella loro stanza e sono stato immediatam­ente inondato dall’amore fraterno e da zio». Quella visita ha cambiato tutto: da allora hanno iniziato a festeggiar­e il Ringraziam­ento insieme, ed Eric e Julia adesso sono «amici di email». Quando gli chiedo della figlia che ha avuto con Kelly Cunningham, l’attrice Emma Roberts, Eric dice: «Se non fosse stato per me, non ci sarebbero state né Julia Roberts né Emma Roberts tra le celebrità, e ne vado assolutame­nte fiero». Alla fine della nostra giornata allo Chateau, mentre accendono le candele al nostro tavolo, Eric ha una domanda per me: «Perché tra tutte le ex promesse, tutti i bravi attori che hanno superato il loro momento: perché proprio io?».

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