Vanity Fair (Italy)

IN 5 DOMANDE

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1 La sua storia in breve?

«Sono nata a Tokyo, mio padre è giapponese e mia madre era anglo-argentina, è morta quando ero piccola. Sono cresciuta a Londra con i miei cinque fratelli. Ho fatto la Royal Ballet School e danzato in Inghilterr­a, Germania, Scozia, Irlanda. Sono diventata freelance, ho deciso che volevo recitare, così mi sono trasferita a Los Angeles».

2 La sua prima volta sul set?

«Quello di Ex Machina. Mi ero presentata per fare la comparsa, ma il regista Alex Garland mi diede la parte di Kyoko, l’assistente del protagonis­ta Oscar Isaac. Fu incredibil­e: era il primo provino della mia vita, non avevo mai letto una sceneggiat­ura. Sono stata la persona giusta al momento giusto».

3 Il ruolo più difficile?

«Quello in Maniac. È stata dura perché non avevo mai avuto una parte così importante e in una produzione di questo livello: recito con Emma Stone, Jonah Hill e Justin Theroux. E poi sono una neuroscien­ziata, quindi ho dovuto imparare velocement­e una montagna di termini difficili che non conoscevo».

4 La cosa che preferisce fare quando non lavora?

«Mangiare. Vado matta per il pasticcio di pesce e cerco sempre nuovi ristoranti. La mia famiglia adora il cibo, ci troviamo nel weekend per fare l’arrosto. E mi piace stare al telefono con il mio migliore amico gay, Joseph, che vive a Londra. L’ho conosciuto a 14 anni alla Royal Ballet School».

5 Una cosa che ha sempre con sé?

«Un buon libro. Ora sto leggendo La campana di vetro di Sylvia Plath. È molto triste, ma geniale. Me l’ha suggerito un’amica perché mi sono trasferita da poco a New York, e la storia è ambientata qua. Anche se, pensandoci, non è molto leggera come introduzio­ne alla città».

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