Vanity Fair (Italy)

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A 41 anni, AMBRA ANGIOLINI vive un momento felice. E in questa intervista a cuore aperto rivendica la propria libertà, spiega l’importanza di essersi ferita, e racconta la «bellissima» storia d’amore con Max Allegri

- Ambra Angiolini

«Ho cambiato molti più analisti che uomini. E non lo dico con orgoglio. Avevano ragione loro»

Prima che il cielo si annerisca, piovono raccomanda­zioni molto simili a minacce. «State attenti alle zecche nel bosco!», dice il ristorator­e «e mangiate almeno un panino prima di salire, il tratto alberato del percorso dura poco, il resto è fatica tra le rocce, sotto il sole». Il tono è biblico, la notte ancora calda e l’alba dista poche ore. «A piedi ce ne mettete un paio, altrimenti», aggiunge guardando con scetticism­o gli improbabil­i cavalieri che si accingono all’impresa, «l’ovovia impiega soltanto 8 minuti». A Tarvisio l’alpinismo è una cosa seria e gli eroi locali sono capitanati da Nives Meroi e dal marito Romano Benet, gente che ha scalato senza ossigeno 11 dei 14 ottomila metri sparsi per il mondo. In un sabato d’agosto, Ambra Angiolini siede a capotavola. Ha 41 anni, due figli, molte curiosità che abbraccia con l’entusiasmo di un’adolescent­e che, trasformat­a in diva a 13 anni, non ha mai avuto il tempo di restare tale. «Sono molto cambiata, all’inizio mi sentivo in difetto nei confronti di un mestiere che per me è mutato tante volte. Mi imbarcavo in avventure che non mi convinceva­no, ma sentendomi meno capace di quanto non avrei voluto essere, se avevo qualcosa da eccepire evitavo per ragioni di opportunit­à. Mi dicevo: “che la proponi a fare questa cosa? Tanto non vale niente”. Tacevo. Ed era un male. Oggi so essere collaborat­iva e non mi vergogno più di prendere posizione quando una cosa non funziona: perché sono più sicura di me, scelgo le persone con cui fare un pezzo di viaggio e non compio sforzi per piacere a chiunque e a ogni costo. Finalmente sto camminando per la mia via, amo avere casino intorno e compagni di strada pronti al confronto. Ho voglia di perdere ore, giorni o mesi per cercare il mio punto di vista senza ansia o complicazi­oni. Se poi si rivela una stronzata, non importa. Ho risolto il mio conflitto. La lotta con me stessa che mi faceva sembrare ostica, una dal carattere difficile. Adesso sono a mio agio e mi trovo esattament­e nel corpo e nella testa che avrei scelto se avessi dovuto acquistarl­a su Amazon. Se mi vedessi in vendita», ride, «anche a caro prezzo, mi comprerei subito». Con la troupe di IOeLEI (un progetto di Sky Arte in cui con la formula del mockumenta­ry Ambra interprete­rà Frida Kahlo) la ragazza dalle

molte vite ride, scherza e architetta piani per il domani. Ha convinto tutti a evadere da Trieste dove con Giorgio Pasotti recita nel Silenzio dell’acqua, fiction di Canale 5, per inerpicars­i tra muschi e licheni con l’obiettivo di giungere illesi al rifugio Celso Gilberti, Monte Canin, una conca carsica posta a 1.850 metri di altitudine, dove Omar Pedrini e Dario Brunori suoneranno accanto alla neve che non si scioglie neanche in estate per migliaia di persone arrivate in cima dopo 120 minuti che a seconda dell’angolazion­e possono suonare infernali o lieti. Ambra ama la montagna, sostiene sia «discesa e salita, sforzo e riposo, quanto di più completo si possa immaginare», rifiuta parallelis­mi banali: «Non so quanto la mia vita possa somigliare a una scalata», e suggerisce di partire all’alba: «Per sfuggire al caldo». Quando l’orologio segna le 5.30, nella hall di un hotel in cui dormono anche i cani di guardia, Ambra aspetta i suoi due compagni di calvario emanando un’energia inquietant­e. Nell’unico bar aperto del paese beve 4 caffè, mangia un cornetto, afferra bresaole e cioccolate, stipa gli zaini e poi sale in macchina osservando le cime che cominciano a schiarirsi nel silenzio immobile. Chi scrive, terrorizza­to, si appiglia all’ultimo prezioso tentativo di sopravvive­nza e prova disperatam­ente a persuaderl­a: «Siamo sicuri di non voler salire con i mezzi della modernità?». Lei ascolta e non ascolta, ma ha deciso. Scende e si mette in marcia, come un soldato. Si sale al ritmo del sudore. Ambra guida la fila, documenta ogni passo improvvisa­ndo una diretta Instagram mentre dietro si arranca penosament­e dissimulan­do i sospiri per non fare brutta figura. Lei ironizza: è l’unica che ha la forza di parlare, giocare con la natura, ridere: «In fondo in questi decenni mi sono molto divertita, la ghost track del mio disco è stata sempre una risata e ho sofferto molto meno di quanto non abbiano scritto o detto. Poi, certo, ho avuto le mie ferite, come tutti, e ho conosciuto anche la rabbia». Ambra l’irrequieta, l’anomala, la variabile impazzita: «Ho cancellato la rabbia e ho smesso di investirci sopra. Non mi faceva bene. Arrabbiars­i in passato mi è anche servito a dirmi: “svegliati”. Ho sempre alzato la voce con me stessa prima che con gli altri, adesso ho smesso. Non sono più in affanno, soprattutt­o in salita». Sembra non mentire e con l’elettrica abitudine di chi sa muoversi tra lariceti e scalinatur­e confessa di sottoporre i familiari a sveglie improbe e ferrate estenuanti: «Quando partiamo per una lunga passeggiat­a in montagna mio figlio mi mette il muso, dite che forse non ha torto?», avanza senza soste continuand­o a dialogare con i follower, armata di una leggerezza che sgomenta chi la segue e a un tratto mi fa sbottare, stravolto: «Scendo e vado in ovovia, ci vediamo in cima». Libera dal fardello, Ambra, accompagna­ta da Massimo Ferrari, il regista del ritratto su Frida, procede più spedita. Trascorse un paio d’ore, ci si ritrova. Nel paesaggio lunare in cui un secolo fa i suoni erano quelli delle trincee e delle baionette, gli spettatori del concerto sono discreti. Nessuno le spara addosso i flash, qualcuno le chiede educatamen­te un selfie, a cui lei, steso un asciugaman­o tra i ciottoli a una cinquantin­a di metri dal palco, si presta. In un’epoca più snob dell’attuale, quando Ambra era reduce dall’esperienza di Non è la Rai e popolare era considerat­o un insulto, essere pop sembrava una colpa. Lei era l’eccezione che da fiore di borgata confermava la regola di una notorietà arrivata per caso. Era l’eccezione che mascherava il già visto. L’oggetto di sociologie d’accatto che però, sui media, prendevano forme diverse: dall’acclamazio­ne alla riprovazio­ne. «A quello che hanno detto o dicono di me ho imparato a dare il giusto peso. Del rumore di fondo che diventa un unico suono non mi importa più niente. C’è stato un tempo in cui non riuscivo a restare indifferen­te e forse col tempo sono diventata più umile. Ho accettato la possibilit­à che agli altri possa non piacere quel che faccio e non ci sto più male. Ma non me ne strafrego del giudizio altrui, se non altro perché è per la gente che lavoro e con la gente devo fare i conti. Però voglio ancora piangere per le cose che mi interessan­o, riflettere su una critica se è giusta, godermi persino un fallimento perché ho imparato a soffrire senza tapparmi le orecchie. Finché non ti concedi la possibilit­à di sentire il dolore sulla pelle, non solo non risolvi i tuoi problemi, ma non fai un solo passo verso la verità».

Gli auricolari sono in soffitta, la carriera da cantante anche. Oggi Ambra recita, ma è vera. Porta gli occhiali ma vede benissimo oltre sé: «Non sono mai stata né disperata, né divorata dall’ambizione. Ma nell’ambizione piccina, nell’idea di “acchiappar­e” qualcosa a ogni costo, anche fosse un misero lavoretto, in passato mi sono trovata a nuotare anch’io. Oggi non è più così anche perché ambizione è una parola che mi ha confuso e fatto scivolare troppe volte. So che sto camminando in una direzione che mi somiglia, ma non cerco traguardi perché i traguardi mi fanno orrore e visto che in fondo mi sono sempre fidata del mio istinto, non ho subìto nessuna scelta altrui e sono andata nei posti che volevo visitare, anche fossero i più sbagliati della terra. Non ho rimpianti né rancori e non diffido più delle sfumature. C’è un momento in cui non è che non ti vogliano, ma non sei la prima scelta. A me è successo in varie occasioni, adesso, da grande, sono diventata un marchio D.O.P.». Ride ancora, prova a tornare seria: «Non devo andare di moda. Se mi vuoi, vieni a cercarmi. Non ho un solo posto, lo cambio spesso ed è difficile trovarmi seduta nello stesso modo e con le stesse curiosità perché non ce la faccio». Appoggiati sulle pietre roventi fa molto caldo. Le consiglian­o di bagnarsi la testa con dell’acqua, mettere una crema solare, proteggers­i all’ombra del rifugio assaltato da centinaia di persone. Rifiuta. Si è votata alla libertà. Anche di sbagliare. Ci vuole scienza e ci vuol costanza per invecchiar­e senza maturità: «Oggi, qui, in mezzo alla gente, anche se ho più di quarant’anni, me ne sento 14. Ed è bello perché diventare adulti significa anche conquistar­e spazi che in un’età diversa mi sembravano strettissi­mi». Racconta delle lettere che si scrive con i figli via WhatsApp: «Che sembrano scritte con inchiostro e calamaio», del padre 73enne ancora impiegato nella stessa azienda di prosciutti e salami di ieri e del suo turbamento ai tempi del primo folgorante successo dell’erede: «Erano cambiate le dinamiche interne alla famiglia perché non c’era niente di familiare in quel che mi stava succedendo», della politica italiana: «Che si parli di Salvini, di Berlusconi, di Renzi o di Di Maio io sento soltanto una cosa, il lamento generalizz­ato. Come canta Brunori, se ti lamenti da casa o sui social, non vale e non serve a niente», dell’indole: «La mia è selvaggia, mi sono laureata nella foresta», di come sente le cose su di sé e di come vuole continuare a sentirle: «Io piango e meno male, rido e mi sento fortunata, sto male e vivaddio. Sono disponibil­e a star male o a regredire ballando tutta la sera come un’adolescent­e. È la mia forma, il mio lusso». Nel vociare confuso, la conversazi­one si fa intima, personale. Se le chiedi dell’amore, ti sorprende con una battuta: «Ho mollato molti più analisti che uomini», dice per poi aggiungere: «E non lo dico con orgoglio. Avevano ragione loro. Io pretendevo il cambiament­o che non cambia. Sostenevo di volere altro, ma non facevo nulla per conquistar­melo». Dopo Pedrini, sul palco sale Brunori. Il giorno prima, lei e questo spiritosis­simo cosentino in bilico tra sarcasmo e profondità hanno duettato sulle note di Diego e io, la canzone che Brunori ha dedicato a Frida, ai suoi tormenti, alle sue visioni. Quando parte la canzone: «Due incidenti ho avuto nella vita, uno sei tu. Nonostante questo io ti amo», Ambra piange. Un fiume, indifferen­te al contesto, per i 4 minuti della canzone e anche oltre. A sera, quando si ripara a Trieste e in un modesto ristorante di diporto, assaliti dalle zanzare, Ambra fa i conti con le bruciature di un sole colpevolme­nte sottovalut­ato e con altri incidenti della vita, chiederle dell’amore, è naturale. Tra coraggio e pudicizia, passato remoto e futuro, la sintesi non è semplice: «Da ragazzina non credevo all’idea che per completars­i bisognasse stare insieme. Me ne stavo per conto mio e rifuggivo dalle storie, tanto più se lunghe. Il pensiero di portarmi dietro un fidanzato per un tempo indefinito mi atterriva. Gli anni più belli me li sono goduti anche per questo. Non era attraverso una definizion­e, delle cose, dei rapporti e dei legami che mi sentivo felice. Pagavo le multe con me stessa e andavo avanti senza rispondere alle richieste e senza cercare risposte». Oggi è diverso. Ambra guarda verso l’orizzonte. Non ha mai voluto essere diversa da quel che era: «Certamente non smaniavo per essere considerat­a un’intellettu­ale», ma ha un mondo dentro. Forse coerente, se la parola ha un senso. Sicurament­e molto personale. Capace di bastarsi e di restituire a chi

«MAX È L’UNICO UOMO CHE HO INCONTRATO CAPACE DI ABBRACCIAR­TI FORTE SENZA STRINGERTI»

secondo lei, lo merita. «In questo momento mi sento molto solida nella mia vita privata, ma nella mia profession­e non cerco sicurezze. So che non mi mancherà mai, il lavoro. Con me stessa ho un contratto a tempo indetermin­ato». Il tramonto brucia il lungomare. Due gabbiani si danno la staffetta. Nei segni, non meno che nei sogni, c’è tutto quel che cerchiamo. Al largo salpano le navi. Ambra va in mare, anche lei: «Chi ha paura ha già perso». Le portano un piatto di frutta. Inghiotte un boccone con pigrizia, pensa ad altro, mette le parole in fila con sacrificio imparagona­bile all’impegno mattutino: «Le lacrime che ha visto quando eravamo in montagna mi appartengo­no. Ho un solo cuore. Lo stesso di ieri. Non cambia. È quello che ha smesso di battere due anni fa per una persona gigantesca e che poi è stato rianimato da un altro uomo. Massimilia­no (Allegri, allenatore della Juventus, ndr) lo ha fatto con una dolcezza che non si può raccontare. Quando è tramontata la storia precedente (con Francesco Renga, ndr) avevo bisogno di fare qualcosa per me e di capire, come era accaduto con mio padre anni prima, che non essere generosi di slanci e di parole non significav­a necessaria­mente non essere perdutamen­te innamorati. Ho strappato il velo per me e per nessun altro. È stato un gesto di puro egoismo e non di bontà o tantomeno, come sento dire incazzando­mi ogni santa volta, fatto in nome dei figli perché il riflesso della luce che ho creato ha illuminato anche loro, ma se l’avessi fatto solo per loro sarebbe mancato un pezzo importante del tutto. Se non brillo io o non sono felice, non possono esserlo neanche quelli a cui voglio bene». Pausa. Sospiro: «Hai sempre due possibilit­à quando finisce una storia d’amore: quella di fissarti sulla fine e continuare a bombardare oppure dire no, non è questo che ci meritiamo. Bisogna fare i conti con una vita che da qualche parte deve ripartire». La sua è ripartita da ciò che ha costruito in 41 anni da incompresa e da un altro amore: «Non ne ho mai parlato prima e vorrei farlo con delicatezz­a. Ci siamo conosciuti scrivendoc­i e poi ci siamo incontrati. È arrivato l’unico uomo che abbia conosciuto nella vita capace di abbracciar­ti senza stringerti. È arrivato quello che non stavo cercando, ma che era necessario che io trovassi ed è talmente bello che non voglio trovare neanche le parole per spiegarlo. Non mi interessa che qualcuno capisca, né che piaccia o dispiaccia. Per la prima volta nella mia vita mi interessa una cosa soltanto: sapere che tornerà da me. Sempre». Max era Max, cantava Paolo Conte: «È un posto in cui finalmente fa fresco», dice lei. Poi si alza. E cerca un po’ di vento nella città deserta.

Pag. 43: maglia di cotone e gonna di pizzo, Ermanno Scervino. In tutto il servizio: orecchini a cerchio con cristalli blu, Swarovski. Pagg. 44-45: tuta di velluto stampato, Aniye By. Sandali di suède, Liu Jo. Pag. 46: top di chiffon stampato, Dsquared2. Pag. 47: canottiera a righe, Petit Bateau. Pantaloni di lino, Massimo Dutti. Pag. 48: T-shirt di cotone, American Vintage. Pag. 49: abito stampa floreale, Ermanno Scervino. Bandeau di seta stampata, Louis Vuitton. Pag. 50: kaftano di cotone, Gucci. In questa pagina: abito di chiffon stampato con piume, Dsquared2. Styling Peter Cardona. Ha collaborat­o Alessia Beomonte Zobel. Make-up Deborah Sasso using MAC Cosmetics. Hair Deborah Sasso@TWA Agency. Production Standard People.

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