Vanity Fair (Italy)

Dalla Cina il caffè per cuccioli

- di SIMONA SIRI

Él’ultimo status symbol dei cinesi benestanti: il cane. Ma non da mangiare, come ancora si fa nel tristement­e noto Yulin Dog Meat Festival, nel Sud rurale del Paese, da anni bersaglio degli animalisti. I cinesi di città i cani li comprano dagli allevatori, li trattano come figli, li viziano, li fanno diventare star di Instagram. I tempi in cui, per volere di Mao, erano proibiti e venivano uccisi perché considerat­i simbolo del benessere borghese sono lontani. Oggi in Cina ci sono 27,4 milioni di cani da compagnia (dati del National Bureau of Statistics), un numero inferiore solo a Usa (55,3) e Brasile (35,7). Uno studio della società di marketing Euromonito­r ha stabilito che i cinesi nel 2022 spenderann­o 7 miliardi per i loro cuccioli, un incremento di spesa del 10% rispetto agli anni precedenti e la prova di un’economia di settore ormai esplosa: centri di toelettatu­ra, produzione di cibo, alberghi di lusso, vere e proprie spa, accessori di ogni genere e tipo. Non è solo moda. Il desiderio di un cane ha ragioni sociali e sarebbe una delle conseguenz­e a lungo termine della policy del figlio unico che è stata in vigore dal 1979 fino alla fine del 2016: la generazion­e di adesso non ha fratelli, la solitudine è un problema, così come lo è per gli anziani e per i single, sempre più numerosi. E il commercio si adegua: spinto dalla competizio­ne, Starbucks ha annunciato l’apertura di due caffè dog friendly a Canton e a Chengdu. All’interno un’area giochi e un menu apposito, tra cui il Puppuccino.

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