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Tappa nel distretto calzaturiero romagnolo, per festeggiare un anniversario e capire come nascono passioni (e tacchi) da leggenda
Questa, fondamentalmente, è una bella storia d’amori. C’è quello tra Quinto e Flora, fidanzati e poi sposi, che nel 1958 hanno creato un’azienda, Casadei, dal niente. Erano impiegati presso altre fabbriche quando decisero di mettersi in proprio e produrre sandali per i turisti. C’è quello familiare di Cesare e Arianna, figlio e nipote di Quinto, oggi ai vertici di un marchio globale orgoglioso delle radici romagnole. E infine c’è quello, maniacale, per le scarpe: «Per essere fatte bene devono essere armoniose in ogni dettaglio», è il mantra di Cesare, direttore creativo. «Per me sono come un maxi puzzle: il minimo errore in uno dei pezzi preclude il risultato finale». Le loro scarpe sono arrivate ai piedi delle attrici di Hollywood, e il brand è una leggenda delle calzature Made in Italy, ma questa è un’azienda di famiglia nel senso più positivo del termine, perché i legami, di sangue o affettivi, fanno parte del Dna Casadei e i valori vengono trasmessi di generazione in generazione da sessant’anni. Dallo stabilimento di San Mauro Pascoli, a due passi da Rimini, passano ogni giorno dalle 800 alle 900 scarpe, ognuna delle quali richiede in media 200 operazioni, per un totale di circa otto ore. «Ogni pezzo generalmente richiede l’apporto di tutti gli operai, circa 170, che sono altamente specializzati. È un lavoro in team, come in un’orchestra, non ci sono solisti. È solo grazie a loro e ai nostri fornitori che posso realizzare le mie idee». Idee spesso visionarie, come il tacco delle celebri Blade, talmente sottile da sembrare una lama. «Ha richiesto sette mesi di progettazione. Mio padre mi diceva di lasciar perdere, che se nessuno aveva mai realizzato un tacco del genere un motivo doveva pur esserci. Ma io volevo fare qualcosa di audace, alla Helmut Newton». La messa a punto tecnica di nuove soluzioni è uno dei vanti della griffe, da sempre pioniera nell’ingegneria calzaturiera: «Le nuove tecnologie oggi amplificano le possibilità creative, rimanere statici sarebbe una follia».