L’allievo batte il maestro
La settimana scorsa abbiamo «assaggiato» Jiro Ono, una leggenda (in calo) dell’omakase di sushi. Qui vi presentiamo il suo erede, di scena a Manhattan. In rigoroso silenzio e filologicamente perfetto
Riprendiamo da dove abbiamo lasciato la settimana scorsa… Come me e come molti, anche Alessandro Borgognone – americano di seconda generazione, figlio di italiani del Sud emigrati in Usa, a capo di un piccolo impero della ristorazione newyorkese – vede cinque anni fa il film Jiro e l’arte del Sushi (Jiro Dreams of Sushi) di David Gelb. Certamente rapito dal ritmo ipnotico di quel film di cui abbiamo già parlato, resta, però, particolarmente colpito dalla scena del film dedicata al timido e giovane allievo di Jiro, Daisuke Nakazawa.
Immediatamente si risveglia in Alessandro la visionaria follia di aprire il miglior ristorante di sushi d’America e, davanti allo scetticismo di molti, inclusa la sua signora, decide di contattare Nakazawa e proporgli qualcosa di impossibile da rifiutare: un ristorante a suo nome a Manhattan. Nasce così, dall’incontro tra un italo-americano visionario e un coraggioso giapponese, Sushi Nakazawa, cinque anni dopo considerato uno dei migliori sushi restaurants d’occidente. Trovato un locale nel West Village – un salone da parrucchiere, poi rinnovato da cima a fondo, con grandi vetrate che si aprono al quartiere, mostrando la laboriosa attività degli chef ai passanti e agli avventori –, ristrutturato con gusto italiano, panche, tavolini e marmi raccolti in un’atmosfera sobria e avvolgente, un grande bar di sake e vini da gran carta all’ingresso, un classico sushi bar con poco più di una dozzina di sgabelli e una sala confortevole e dinamica.
L'obbiettivo era una radicale cura filologica del perfetto omakase di sushi e così è. Daisuke Nakazawa spende ogni giorno di apertura preparando la linea della sua cucina in completo silenzio. Con ritmo certosino, tutte le ricchezze che il mercato gli offre vengono preparate: ricci di mare da aprire, polpi vivi da spellare e battere per la perfetta morbidezza delle loro carni, capesante o abaloni da conservare vivi per lo spettacolo della sera, quando davanti ai commensali verranno aperti e serviti vivi, elettrici della loro freschezza, gesto forse crudele ma integralmente nello spirito antico della cucina giapponese. Di Jiro, il maestro di Daisuke, il lettore fedele sa che la successione dei pezzi di sushi era discontinua e deludente; del suo allievo Nakazawa bisogna sapere che alla metà del prezzo ogni pezzo era sublime, un rigore straordinario, un equilibrio perfetto tra riso, aceto e il miglior pescato possibile. In più sushi di caviale e di manzo wagyu completano il sontuoso percorso fino alla chiusura con una perfetta tamago (la nostra cara frittata, qua quasi una mousse d’uovo). La scommessa difficile dei due neoquarantenni Alessandro e Daisuke è vinta. L’allievo batte il maestro.