DAKOTA JOHNSON
«LUCA MI TIRAVA CONTINUAMENTE FUORI COSE CHE NON PENSAVO DI ESSERE IN GRADO DI REALIZZARE»
Che cosa le ha lasciato un’esperienza come Suspiria? «Subito dopo le riprese ho avuto bisogno di un po’ di aiuto per riuscire a reintegrarmi nella mia vita. Giravamo in una location così distante dalla realtà e così isolata che era facile farsi sopraffare. In più, affrontare temi difficili come stregoneria, morte e Germania postbellica può avere un prezzo emotivo molto alto. Dopo aver fatto un po’ di lavoro su me stessa per ritrovare l’equilibrio, mi era rimasta la strana sensazione di “cosa è successo?”. Mi sembrava di essere in un sogno confuso. Luca mi tirava continuamente fuori cose che non sapevo di avere, o che pensavo di non essere in grado di realizzare. Per esempio: mentre lavoravo con il coreografo Damien Jalet su uno dei balli della mia Susie, abbiamo scoperto che le mie spalle sono molto snodate, e le scapole sembrano davvero spaventose in certe posizioni, un po’ come quelle di un gatto selvatico. Le abbiamo filmate e compaiono ogni tanto nel film». Chi sono le streghe al giorno d’oggi? «Chi ha un rapporto stretto con la propria femminilità, con l’intuito e con l’ignoto, e riesce ad avvicinare luoghi e persone senza giudicare ma con compassione può forse essere considerata più strega di chi è emotivamente distaccata dal mondo». Se non avesse debuttato a 9 anni e non fosse stata figlia di attori, pensa che il cinema avrebbe avuto un impatto così profondo sulla sua vita? «Mi piacerebbe credere che, a prescindere dalla nascita e dall’educazione, avrei trovato comunque la strada giusta per l’arte e il cinema. Non c’è l’ho solo nel sangue, ma nell’anima».