Vanity Fair (Italy)

DAKOTA JOHNSON

- Tutina ricamata, Saint Laurent by Anthony Vaccarello. Make-up Kate Lee@ The Wall Group. Hair Mark Townsend. Manicure Candice Idehen per Deborah Lippmann.

«LUCA MI TIRAVA CONTINUAME­NTE FUORI COSE CHE NON PENSAVO DI ESSERE IN GRADO DI REALIZZARE»

Che cosa le ha lasciato un’esperienza come Suspiria? «Subito dopo le riprese ho avuto bisogno di un po’ di aiuto per riuscire a reintegrar­mi nella mia vita. Giravamo in una location così distante dalla realtà e così isolata che era facile farsi sopraffare. In più, affrontare temi difficili come stregoneri­a, morte e Germania postbellic­a può avere un prezzo emotivo molto alto. Dopo aver fatto un po’ di lavoro su me stessa per ritrovare l’equilibrio, mi era rimasta la strana sensazione di “cosa è successo?”. Mi sembrava di essere in un sogno confuso. Luca mi tirava continuame­nte fuori cose che non sapevo di avere, o che pensavo di non essere in grado di realizzare. Per esempio: mentre lavoravo con il coreografo Damien Jalet su uno dei balli della mia Susie, abbiamo scoperto che le mie spalle sono molto snodate, e le scapole sembrano davvero spaventose in certe posizioni, un po’ come quelle di un gatto selvatico. Le abbiamo filmate e compaiono ogni tanto nel film». Chi sono le streghe al giorno d’oggi? «Chi ha un rapporto stretto con la propria femminilit­à, con l’intuito e con l’ignoto, e riesce ad avvicinare luoghi e persone senza giudicare ma con compassion­e può forse essere considerat­a più strega di chi è emotivamen­te distaccata dal mondo». Se non avesse debuttato a 9 anni e non fosse stata figlia di attori, pensa che il cinema avrebbe avuto un impatto così profondo sulla sua vita? «Mi piacerebbe credere che, a prescinder­e dalla nascita e dall’educazione, avrei trovato comunque la strada giusta per l’arte e il cinema. Non c’è l’ho solo nel sangue, ma nell’anima».

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