LA SERIE GENIALE
Fra la polvere e i lampioni arrugginiti di un rione napoletano del Dopoguerra, la magra e grintosa Lila Cerullo passa decisa accanto a un vecchio che arrostisce castagne e a dei bambini che giocano a calcio con una palla di spago arrotolato. Vede la sua migliore amica, Lenù Greco, che insieme a un gruppetto di bambine in scarpe con le fibbie e golfini abbottonati si sdilinquisce alla vista degli attraenti fratelli Solara. «Non capite niente», dice Lila, «sono pericolosi». E se ne va indispettita, mentre le bambine la prendono in giro dandole della gelosa. Lenù, in dialetto napoletano, le grida di aspettarla. «Stop!», esclama una voce da lontano, e il microfono sospeso sulla testa delle bambine viene sollevato. L’uomo delle caldarroste tira fuori un libro, le comparse controllano il cellulare, e il regista Saverio Costanzo esce rapido da un tendone per dare indicazioni alle sconosciute protagoniste dell’Amica geniale, attesissima serie Hbo tratta dal best seller di Elena Ferrante, la scrittrice che con i suoi romanzi ha conquistato il mondo letterario. «Devi avere gli occhi da pazza. Più di così», dice Costanzo all’attrice quattordicenne Gaia Girace, che interpreta Lila, il tornado napoletano dalla pelle olivastra (nonché «amica geniale» del titolo) che Ferrante, che ha anche fornito a Costanzo indicazioni sulla sceneggiatura, descrive come «tesa in ogni fibra». La ragazzina ascolta concentrata mentre le ritoccano il trucco che le scava le guance. «La cosa più importante», prosegue il regista, «è mantenere la tensione nel corpo». Sembra un po’ teso anche lui, ma forse è perché gli è stato affidato il compito di custodire gli amatissimi romanzi di Ferrante, una movimentata e struggente quadrilogia che esplora le sfumature e le complicate traiettorie dell’amicizia femminile. La produzione italiana, intanto, non ha badato a spese, costruendo un gigantesco set di 20 mila metri quadrati curato nei minimi dettagli a Caserta. Visitandolo, rimango incantato dai manifesti politici e dagli annunci funebri sapientemente invecchiati. Le facciate dei palazzi hanno un aspetto vissuto e finestre vere, dietro le quali si snodano le scale che portano ai balconi dove le comparse, vestite con costumi frutto di approfondite ricerche, passano intere giornate. L’amica geniale rappresenta una specie di spartiacque, la prima produzione italiana dalle ambizioni realmente globali. Abbiamo da poco visto Gomorra, la fortunatissima serie ambientata nel mondo della malavita organizzata, e The Young Pope, ritratto iper stilizzato del Vaticano a opera del regista Paolo Sorrentino, che con La grande bellezza ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero. Ma è questo prodotto, firmato dalle case di produzione Wildside e Fandango, a segnare un punto di svolta nel rinascimento televisivo italiano, non da ultimo perché la storia ha per protagoniste donne brillanti, ambiziose e complesse, lontane anni luce dalle suppellettili berlusconiane. È inoltre un progetto controcorrente rispetto al vento politico che tira in Italia. Mentre nel Paese governano forze populiste e nazionaliste che predicano un protezionismo autoriferito simile a quello dell’amministrazione Trump, una produzione come L’amica geniale guarda all’esterno, puntando a consolidare il ruolo dell’Italia nel mondo. È una storia che racconta di barriere infrante, del tentativo di superare l’ignoranza, il sessismo e il provincialismo. I romanzi di Ferrante, dice Costanzo, offrono «un messaggio rivoluzionario per i nostri tempi». L’ex ministro dei Beni culturali Dario Franceschini spiega che una produzione come questa risulta più che mai necessaria in un momento storico nel quale i muri vanno per la maggiore. «L’obiettivo, specie in ambito culturale, è quello di aprirsi il più possibile, mescolando le esperienze», ha detto, aggiungendo che in un mondo globalizzato aumenta il valore delle differenze e del senso d’identità, così forti nella Napoli di Elena Ferrante. Appena si è sparsa la notizia che dai romanzi sarebbe stata tratta una miniserie, i giornali hanno cominciato a fare ipotesi sulle attrici famose a cui sarebbero andati i ruoli principali. Costanzo e Hbo hanno però deciso di girare nel dialetto napoletano
dell’epoca accompagnato da sottotitoli – anche per l’Italia, dove la serie verrà trasmessa dalla Rai – e di tributare un omaggio al cinema neorealista degli anni Cinquanta scegliendo per i ruoli principali attrici non professioniste. Il mio primo incontro con Costanzo risale all’anno scorso, mentre setacciava le scuole e i quartieri di Napoli e dintorni alla ricerca dei volti adatti. I napoletani amano dire che la loro città è un grande teatro a cielo aperto pieno di personaggi naturali, e lui e la direttrice di casting ne hanno visionati qualcosa come 13 mila, fra i quali 8 mila bambini. In questo soleggiato pomeriggio di aprile, al novantanovesimo giorno di riprese, il regista parla delle sue protagoniste con un sorriso. Le due bambine che nei primi due episodi interpretano Lila e Lenù da piccole sembrano «ricoperte da una polvere magica». Anche le ragazze un po’ più grandi protagoniste degli altri sei episodi sono al loro debutto, che arriva dopo mesi di preparativi e duro lavoro. «Tutto questo», aggiunge, abbracciando con un gesto l’enorme set, «serve a guardare due bambine che giocano con le bambole». Daniela D’Antonio, che cura l’ufficio stampa della serie ed è fra le altre cose la moglie di Paolo Sorrentino, mi presenta l’undicenne Ludovica Nasti, che interpreta Lila da bambina. Mentre attraversiamo un cortile, sento qualcuno commentare che Ludovica sta davvero bene con i capelli corti. Riferirle il complimento mi sembra un buon modo per rompere il ghiaccio, ma lei si chiude a riccio. Allora cominciamo a chiacchierare di calcio, di cui è appassionata: sorridendo, mostra orgogliosa i lividi sui polpacci. Poi mi dice che, come Sophia Loren, anche lei viene da Pozzuoli. «A casa tutti mi dicono che sono “la seconda Sophia Loren” di Pozzuoli». Ludovica, però, sente di avere più cose in comune con Lila: «È forte e non si vergogna di niente. È una che dice le cose in faccia, e a me questo piace tantissimo», dice mentre ci sediamo, lei con le gambe che dondolano sotto la sedia. Finiamo a parlare del fatto che, per la parte, ha dovuto tagliarsi i capelli e la madre Stefania Filippone, che la accompagna sul set, dice che non è stata una questione da poco. Mi spiega che a quattro anni, per combattere una leucemia linfoblastica, sua figlia aveva dovuto sottoporsi a lunghi cicli di chemioterapia che l’avevano lasciata calva. Il dottore le aveva promesso che i capelli nero corvino le sarebbero «ricresciuti più lunghi e più forti», e così è stato. Quando ha saputo che per avere la parte avrebbe dovuto tagliarseli, la madre le ha detto che sarebbe stata fiera di lei in qualunque caso, e le ha dato un foglio su cui scrivere in privato la propria decisione. «Ho scritto che me li volevo tagliare», dice. «Perché questa è un’occasione importante». È quindi la volta di incontrare l’attrice undicenne che interpreta Lenù bambina, Elisa Del Genio, che viene da una delle zone più benestanti di Napoli. Vestita in salopette e maglietta bianca, parla un po’ di spagnolo e un po’ di inglese, oltre che un perfetto norvegese, la lingua di sua madre. Mi racconta di non aver potuto partecipare ai casting perché aveva la febbre, ma che Costanzo l’aveva scoperta quando ha accompagnato il fratello a un secondo provino. Quando le chiedo di ripassare qualcuna delle battute in dialetto, la sua timidezza scompare. Vuole continuare a recitare, mi spiega, anche se preferirebbe «lavorare sempre con le stesse persone». Visito il reparto costumi accanto al set. Qui dieci sarte e designer producono i millecinquecento capi d’epoca per attori e comparse: file di giubbotti, reggiseni, calze, cappelli, bretelle, ampi blazer e lunghe gonne, creati con stoffe impregnate, bruciate e consumate in vari modi per dare agli indumenti un aspetto umile e vissuto. Un calzolaio italiano ha spedito dalla Bulgaria scatole di scarpe da invecchiare, ma su un tavolo ce n’è un paio lucidissimo che spicca fra tutti gli altri. Nel romanzo, queste scarpe hanno un ruolo fondamentale: è disegnando quelle che Lila, figlia di un ciabattino, dimostra il suo ingegno e la sua ambizione. Costanzo le ha fatte realizzare dal suo amico Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, e il risultato è un mocassino da viaggio in pelle di vitello scura arricchito da elaborate cuciture bianche intorno alla punta e alla tomaia. Sul set, nel frattempo, Costanzo gira un ciak dopo l’altro con Gaia Girace nei panni di Lila. «L’ultima volta l’hai fatta molto più dura», le dice. «Era molto meglio. Adesso devi proprio calcare su quel “basta”». Quando infine il regista emerge dalla tenda esclamando «bellissimo», la quattordicenne si concede il primo sorriso della giornata. Poco dopo, Gaia mi raggiunge. Scopro con sorpresa una ragazzina taciturna, quasi ritrosa. Viene da una piccola località costiera a sud di Napoli, e con Lila dice di avere in comune «l’energia, la fragilità dei sentimenti, la determinazione». Lei e la madre si sono trasferite per essere più vicine al set. A differenza delle altre, che morivano dalla voglia di condividere con gli amici la notizia, lei ha preferito mantenere il segreto. «Era una cosa solo mia», dice a bassa voce, «privata». Margherita Mazzucco, la quindicenne che presta il volto alla Lenù adolescente, ha la pelle più chiara e i capelli folti e ondulati. Mi dà il benvenuto nel cortile: «È qui che vivo», scherza, un po’ infastidita dal fatto che le imbottiture del vestito la fanno sembrare più robusta. «Io non avevo mai recitato, non ho mai fatto nulla», mi dice. «Ancora adesso mi chiedo come mai abbiano scelto proprio me». Mentre divorava i libri, inizialmente non si è affatto rivista in Lenù, così ingenua e «buona», ma impersonandola ha scoperto che entrambe «notano ogni cosa». E per lei, come per il pubblico, qui intorno c’è molto da osservare: i panni stesi, il profumo delle caldarroste, le Fiat 1100 che rombano, le conversazioni animate. Ma soprattutto la pulsante autenticità dei romanzi di Elena Ferrante che approdano allo schermo. «Quando giri per Napoli», dice Mazzucco, «è tutto così».
L’AMICA GENIALE È LA PRIMA PRODUZIONE ITALIANA DALLE AMBIZIONI DAVVERO GLOBALI