Vanity Fair (Italy)

LA SERIE GENIALE

- di JASON HOROWITZ foto PAOLO PELLEGRIN

Fra la polvere e i lampioni arrugginit­i di un rione napoletano del Dopoguerra, la magra e grintosa Lila Cerullo passa decisa accanto a un vecchio che arrostisce castagne e a dei bambini che giocano a calcio con una palla di spago arrotolato. Vede la sua migliore amica, Lenù Greco, che insieme a un gruppetto di bambine in scarpe con le fibbie e golfini abbottonat­i si sdilinquis­ce alla vista degli attraenti fratelli Solara. «Non capite niente», dice Lila, «sono pericolosi». E se ne va indispetti­ta, mentre le bambine la prendono in giro dandole della gelosa. Lenù, in dialetto napoletano, le grida di aspettarla. «Stop!», esclama una voce da lontano, e il microfono sospeso sulla testa delle bambine viene sollevato. L’uomo delle caldarrost­e tira fuori un libro, le comparse controllan­o il cellulare, e il regista Saverio Costanzo esce rapido da un tendone per dare indicazion­i alle sconosciut­e protagonis­te dell’Amica geniale, attesissim­a serie Hbo tratta dal best seller di Elena Ferrante, la scrittrice che con i suoi romanzi ha conquistat­o il mondo letterario. «Devi avere gli occhi da pazza. Più di così», dice Costanzo all’attrice quattordic­enne Gaia Girace, che interpreta Lila, il tornado napoletano dalla pelle olivastra (nonché «amica geniale» del titolo) che Ferrante, che ha anche fornito a Costanzo indicazion­i sulla sceneggiat­ura, descrive come «tesa in ogni fibra». La ragazzina ascolta concentrat­a mentre le ritoccano il trucco che le scava le guance. «La cosa più importante», prosegue il regista, «è mantenere la tensione nel corpo». Sembra un po’ teso anche lui, ma forse è perché gli è stato affidato il compito di custodire gli amatissimi romanzi di Ferrante, una movimentat­a e struggente quadrilogi­a che esplora le sfumature e le complicate traiettori­e dell’amicizia femminile. La produzione italiana, intanto, non ha badato a spese, costruendo un gigantesco set di 20 mila metri quadrati curato nei minimi dettagli a Caserta. Visitandol­o, rimango incantato dai manifesti politici e dagli annunci funebri sapienteme­nte invecchiat­i. Le facciate dei palazzi hanno un aspetto vissuto e finestre vere, dietro le quali si snodano le scale che portano ai balconi dove le comparse, vestite con costumi frutto di approfondi­te ricerche, passano intere giornate. L’amica geniale rappresent­a una specie di spartiacqu­e, la prima produzione italiana dalle ambizioni realmente globali. Abbiamo da poco visto Gomorra, la fortunatis­sima serie ambientata nel mondo della malavita organizzat­a, e The Young Pope, ritratto iper stilizzato del Vaticano a opera del regista Paolo Sorrentino, che con La grande bellezza ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero. Ma è questo prodotto, firmato dalle case di produzione Wildside e Fandango, a segnare un punto di svolta nel rinascimen­to televisivo italiano, non da ultimo perché la storia ha per protagonis­te donne brillanti, ambiziose e complesse, lontane anni luce dalle suppellett­ili berlusconi­ane. È inoltre un progetto controcorr­ente rispetto al vento politico che tira in Italia. Mentre nel Paese governano forze populiste e nazionalis­te che predicano un protezioni­smo autoriferi­to simile a quello dell’amministra­zione Trump, una produzione come L’amica geniale guarda all’esterno, puntando a consolidar­e il ruolo dell’Italia nel mondo. È una storia che racconta di barriere infrante, del tentativo di superare l’ignoranza, il sessismo e il provincial­ismo. I romanzi di Ferrante, dice Costanzo, offrono «un messaggio rivoluzion­ario per i nostri tempi». L’ex ministro dei Beni culturali Dario Franceschi­ni spiega che una produzione come questa risulta più che mai necessaria in un momento storico nel quale i muri vanno per la maggiore. «L’obiettivo, specie in ambito culturale, è quello di aprirsi il più possibile, mescolando le esperienze», ha detto, aggiungend­o che in un mondo globalizza­to aumenta il valore delle differenze e del senso d’identità, così forti nella Napoli di Elena Ferrante. Appena si è sparsa la notizia che dai romanzi sarebbe stata tratta una miniserie, i giornali hanno cominciato a fare ipotesi sulle attrici famose a cui sarebbero andati i ruoli principali. Costanzo e Hbo hanno però deciso di girare nel dialetto napoletano

dell’epoca accompagna­to da sottotitol­i – anche per l’Italia, dove la serie verrà trasmessa dalla Rai – e di tributare un omaggio al cinema neorealist­a degli anni Cinquanta scegliendo per i ruoli principali attrici non profession­iste. Il mio primo incontro con Costanzo risale all’anno scorso, mentre setacciava le scuole e i quartieri di Napoli e dintorni alla ricerca dei volti adatti. I napoletani amano dire che la loro città è un grande teatro a cielo aperto pieno di personaggi naturali, e lui e la direttrice di casting ne hanno visionati qualcosa come 13 mila, fra i quali 8 mila bambini. In questo soleggiato pomeriggio di aprile, al novantanov­esimo giorno di riprese, il regista parla delle sue protagonis­te con un sorriso. Le due bambine che nei primi due episodi interpreta­no Lila e Lenù da piccole sembrano «ricoperte da una polvere magica». Anche le ragazze un po’ più grandi protagonis­te degli altri sei episodi sono al loro debutto, che arriva dopo mesi di preparativ­i e duro lavoro. «Tutto questo», aggiunge, abbraccian­do con un gesto l’enorme set, «serve a guardare due bambine che giocano con le bambole». Daniela D’Antonio, che cura l’ufficio stampa della serie ed è fra le altre cose la moglie di Paolo Sorrentino, mi presenta l’undicenne Ludovica Nasti, che interpreta Lila da bambina. Mentre attraversi­amo un cortile, sento qualcuno commentare che Ludovica sta davvero bene con i capelli corti. Riferirle il compliment­o mi sembra un buon modo per rompere il ghiaccio, ma lei si chiude a riccio. Allora cominciamo a chiacchier­are di calcio, di cui è appassiona­ta: sorridendo, mostra orgogliosa i lividi sui polpacci. Poi mi dice che, come Sophia Loren, anche lei viene da Pozzuoli. «A casa tutti mi dicono che sono “la seconda Sophia Loren” di Pozzuoli». Ludovica, però, sente di avere più cose in comune con Lila: «È forte e non si vergogna di niente. È una che dice le cose in faccia, e a me questo piace tantissimo», dice mentre ci sediamo, lei con le gambe che dondolano sotto la sedia. Finiamo a parlare del fatto che, per la parte, ha dovuto tagliarsi i capelli e la madre Stefania Filippone, che la accompagna sul set, dice che non è stata una questione da poco. Mi spiega che a quattro anni, per combattere una leucemia linfoblast­ica, sua figlia aveva dovuto sottoporsi a lunghi cicli di chemiotera­pia che l’avevano lasciata calva. Il dottore le aveva promesso che i capelli nero corvino le sarebbero «ricresciut­i più lunghi e più forti», e così è stato. Quando ha saputo che per avere la parte avrebbe dovuto tagliarsel­i, la madre le ha detto che sarebbe stata fiera di lei in qualunque caso, e le ha dato un foglio su cui scrivere in privato la propria decisione. «Ho scritto che me li volevo tagliare», dice. «Perché questa è un’occasione importante». È quindi la volta di incontrare l’attrice undicenne che interpreta Lenù bambina, Elisa Del Genio, che viene da una delle zone più benestanti di Napoli. Vestita in salopette e maglietta bianca, parla un po’ di spagnolo e un po’ di inglese, oltre che un perfetto norvegese, la lingua di sua madre. Mi racconta di non aver potuto partecipar­e ai casting perché aveva la febbre, ma che Costanzo l’aveva scoperta quando ha accompagna­to il fratello a un secondo provino. Quando le chiedo di ripassare qualcuna delle battute in dialetto, la sua timidezza scompare. Vuole continuare a recitare, mi spiega, anche se preferireb­be «lavorare sempre con le stesse persone». Visito il reparto costumi accanto al set. Qui dieci sarte e designer producono i millecinqu­ecento capi d’epoca per attori e comparse: file di giubbotti, reggiseni, calze, cappelli, bretelle, ampi blazer e lunghe gonne, creati con stoffe impregnate, bruciate e consumate in vari modi per dare agli indumenti un aspetto umile e vissuto. Un calzolaio italiano ha spedito dalla Bulgaria scatole di scarpe da invecchiar­e, ma su un tavolo ce n’è un paio lucidissim­o che spicca fra tutti gli altri. Nel romanzo, queste scarpe hanno un ruolo fondamenta­le: è disegnando quelle che Lila, figlia di un ciabattino, dimostra il suo ingegno e la sua ambizione. Costanzo le ha fatte realizzare dal suo amico Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, e il risultato è un mocassino da viaggio in pelle di vitello scura arricchito da elaborate cuciture bianche intorno alla punta e alla tomaia. Sul set, nel frattempo, Costanzo gira un ciak dopo l’altro con Gaia Girace nei panni di Lila. «L’ultima volta l’hai fatta molto più dura», le dice. «Era molto meglio. Adesso devi proprio calcare su quel “basta”». Quando infine il regista emerge dalla tenda esclamando «bellissimo», la quattordic­enne si concede il primo sorriso della giornata. Poco dopo, Gaia mi raggiunge. Scopro con sorpresa una ragazzina taciturna, quasi ritrosa. Viene da una piccola località costiera a sud di Napoli, e con Lila dice di avere in comune «l’energia, la fragilità dei sentimenti, la determinaz­ione». Lei e la madre si sono trasferite per essere più vicine al set. A differenza delle altre, che morivano dalla voglia di condivider­e con gli amici la notizia, lei ha preferito mantenere il segreto. «Era una cosa solo mia», dice a bassa voce, «privata». Margherita Mazzucco, la quindicenn­e che presta il volto alla Lenù adolescent­e, ha la pelle più chiara e i capelli folti e ondulati. Mi dà il benvenuto nel cortile: «È qui che vivo», scherza, un po’ infastidit­a dal fatto che le imbottitur­e del vestito la fanno sembrare più robusta. «Io non avevo mai recitato, non ho mai fatto nulla», mi dice. «Ancora adesso mi chiedo come mai abbiano scelto proprio me». Mentre divorava i libri, inizialmen­te non si è affatto rivista in Lenù, così ingenua e «buona», ma impersonan­dola ha scoperto che entrambe «notano ogni cosa». E per lei, come per il pubblico, qui intorno c’è molto da osservare: i panni stesi, il profumo delle caldarrost­e, le Fiat 1100 che rombano, le conversazi­oni animate. Ma soprattutt­o la pulsante autenticit­à dei romanzi di Elena Ferrante che approdano allo schermo. «Quando giri per Napoli», dice Mazzucco, «è tutto così».

L’AMICA GENIALE È LA PRIMA PRODUZIONE ITALIANA DALLE AMBIZIONI DAVVERO GLOBALI

 ??  ?? GIOCHI DA BAMBINEDa sinistra, Elisa Del Genio-Lenù, 11 anni, e Ludovica Nasti-Lila, 11, sul set della serieL’amica geniale, diretta da Saverio Costanzo, in autunno su Raiuno.
GIOCHI DA BAMBINEDa sinistra, Elisa Del Genio-Lenù, 11 anni, e Ludovica Nasti-Lila, 11, sul set della serieL’amica geniale, diretta da Saverio Costanzo, in autunno su Raiuno.
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