Vanity Fair (Italy)

E in Europa torna la guerra

Salvini e Di Maio hanno un nemico comune, l’Ue: ma se uscissimo davvero dall’euro? Sergio Rizzo, vicedirett­ore di Repubblica, prova a immaginarl­o. Attenti: è un incubo

- di SILVIA BOMBINO

Avolte bisogna fare degli sforzi di fantasia per abituarsi alla realtà». Sergio Rizzo, vicedirett­ore di Repubblica, 62 anni il 7 settembre, risponde così quando gli chiedo come mai, dopo una serie di libri-inchiesta – il più famoso è La Casta, 1 milione e 200 mila copie vendute dieci anni fa – abbia deciso di darsi al racconto distopico su un’ipotetica «Italexit». È un «gioco», minimizza lui. In realtà le 128 pagine di 02.02.2020 La notte che uscimmo dall’euro (Feltrinell­i, dal 6 settembre, € 13) sono un pugno allo stomaco. Hanno la forza orwelliana di proiettarc­i in un futuro inquietant­e dove si parte dal reddito di cittadinan­za e si precipita nell’assalto ai bancomat e in cortei di neonazisti che urlano «La Germania ai tedeschi». Tutto inizia con il Psi, Partito Sovranista Italiano che ha sommato Movimento 5 Stelle con Lega, Fratelli d’Italia, fuoriuscit­i di Forza Italia e della Sinistra. Per aver più consenso possibile ha fatto promesse esorbitant­i, le ha realizzate sfondando i vincoli di bilancio, ha stravinto alle Europee del 2019, è entrato in collisione diretta con l’Europa. Quindi decide di uscire dall’euro, segretamen­te, attuando il famoso «Piano B» del professor Paolo Savona: nessuno deve sapere, per evitare fuga di capitali, crollo della Borsa, speculator­i. Nella notte del 2 febbraio 2020 – data palindroma dai cupi presagi cabalistic­i – entra in circolazio­ne la Lira Nuova, verde e gialla. L’inflazione esplode, i dazi doganali neutralizz­ano i vantaggi della svalutazio­ne, le imprese falliscono, i mutui salgono vertiginos­amente, il debito pubblico fa default, il premier «fantoccio» si dimette. Insomma, facciamo «la fine della Grecia», senza invocare la Troika in soccorso. L’Europa scricchiol­a, poi si disintegra, la guerra diventa inevitabil­e. «Nel libro non faccio nomi ma riporto una dichiarazi­one di Savona: “Può essere che non è che siamo noi che lo decidiamo, ma che la cosa poi diventi inevitabil­e”». Ogni riferiment­o non è puramente casuale, insomma. «Mi sono solo detto: se tutto quello che i politici al governo dicono fosse davvero seguito da azioni reali, che cosa succedereb­be? Non saremmo molto distanti dallo scenario che “invento”. Nel frontespiz­io c’è una frase di Grillo del 2015 che dice che l’euro è un’allucinazi­one, e una di Salvini del 2016 che dice che se andrà al governo uscirà dall’euro. Se uscissimo succedereb­be il disastro che racconto, non è fantasia, è stato studiato dagli esperti». Eppure per altri economisti, spesso citati dal fronte «no euro», lei sarebbe un catastrofi­sta. «Una battuta circola da anni: l’economia è una cosa troppo seria per lasciarla agli economisti. Nel senso: puoi fare qualunque esercizio accademico – e quelli del «Piano B» sono bravissimi a farne, per esempio paragonand­o l’uscita dall’euro alla dissoluzio­ne dell’impero austrounga­rico – però poi la Storia dimostra che la realtà, talvolta, non rispetta le regole di scuola. Quando dicono, per esempio: abbiamo perso con l’entrata nell’euro il 22% di competitiv­ità rispetto alla Germania. Sarà anche vero, ma non è automatico che uscendo si recupera quel 22% svalutando. Perché non è prevista l’uscita dall’euro dai Trattati: quindi, usciremmo anche dall’Unione, gli altri Paesi metterebbe­ro i dazi doganali, la stessa merce non avrebbe il prezzo di prima, per cui quel 22% lo perderemmo di nuovo. E si innesca una spirale mostruosa». Il contratto di governo, direbbe Di Maio, non prevede l’uscita dall’euro e Salvini, che con Orbán vuole chiudere le frontiere, ha posizioni diverse da quelle del premier Conte che vuole riformare il Regolament­o di Dublino.

«Il contratto di governo è una copertura. La verità è che Movimento 5 Stelle e Lega hanno la stessa idea, con sfumature diverse: l’Europa è un nemico e bisogna liberarsen­e o renderlo meno offensivo. Il cemento forte tra i due, che hanno punti diversi su pensioni, infrastrut­ture, nazionaliz­zazioni, gay, è l’avversione per l’Europa. Basta notare che Savona non è diventato ministro dell’Economia ma è ministro delle Politiche Comunitari­e, e presidenti delle commission­i di bilancio, attraverso cui passerà la legge finanziari­a sono Borghi e Bagnai, noti anti-euro». Che cosa nasconde la propaganda contro l’euro, quindi? «È un pretesto per dire: dobbiamo riappropri­arci della sovranità. Trump, Putin, il gruppo di Visegrad, i partiti sovranisti in Europa, tutti tifano per la disgregazi­one dell’Unione che, in sintesi, è il concetto di stare tutti insieme, in pace, Paesi diversi con lingue diverse». Nessuno più collega l’euro alla pace. «Non bisogna farsi fuorviare, ma chiedersi: che cosa c’è in ballo? Abbiamo costruito l’Europa settant’anni fa per evitare di spararci addosso. Ma non abbiamo imparato niente dalla Storia. Ci sono tantissime cose che non vanno bene in Europa, dalla gestione non solidale dell’immigrazio­ne all’idea che ogni Stato si fa la sua politica estera. Ma l’euro ha un significat­o politico molto importante, chi lo ha inventato – Kohl, Ciampi, Mitterrand – era gente che nella mente aveva ancora vivo il bagliore delle bombe, l’euro era una maglia strettissi­ma per convincere gli europei a fare l’unione politica». Così non è stato. E se il «sogno» dell’Europa è fallito, i sovranisti a maggior ragione invocano l’uscita. «È fallito davvero? Allora io vorrei sapere se il papà di Di Maio o il papà di Salvini stavano meglio: non credo. In questi settant’anni abbiamo avuto il massimo livello di benessere mai raggiunto in questo continente, i nostri figli sono andati a studiare all’estero, viaggiano, sanno le lingue, hanno imparato a non avere paura del diverso, del cinese, del nero, e di molto altro. Ora, noi siamo disposti a distrugger­e tutto questo? È questa la domanda che bisogna farsi. La pace come la democrazia non sono un regalo del cielo che dura per sempre, bisogna conquistar­la giorno per giorno. Salvini incontra Orbán, il processo di disgregazi­one è già cominciato, e temo che sarà molto difficile fermarlo. Vogliono prendere la maggioranz­a del Parlamento europeo l’anno prossimo. Ma il sovranismo, in sé, porta già la guerra. Oggi sono amici, per far fuori l’Europa, domani si dichiarera­nno guerra. Noi ci siamo ammazzati con gli austro-ungarici. Ora siamo alleati? Dopodomani, quando i nostri interessi saranno di nuovo opposti, ci spareremo addosso. È questo che la gente non vede». Non è possibile «frenare» i sovranisti parlando al «portafogli­o» degli italiani, ventilando i pericoli dell’uscita, come le code ai bancomat o l’impennata dei mutui? «Il problema è che oggi l’uscita dall’Europa viene utilizzata come antidoto alla paura: avendo diffuso la paura con il tema dei migranti, può essere che questa sia più forte e offuschi la percezione dei veri rischi. Un recente studio dell’Istituto Cattaneo dice che in Europa gli italiani sono quelli che più sovrastima­no la percentual­e di migranti presenti nel proprio Paese. La media degli italiani, cioè, pensa che gli immigrati in Italia siano il 25%, quando sono il 7%, un po’ meno della media europea. Il sillogismo è: i migranti ci fanno paura, sono il prodotto dell’Europa, quindi dovremmo uscire. I messaggi che arrivano alle persone, dal ponte Morandi alla disoccupaz­ione, indicano tutti nell’Europa il capro espiatorio. E purtroppo il sovranismo ha moltissima presa, il richiamo del sangue, della razza, tutte cose interpreta­te in modo molto efficace dal fascismo e dal nazismo». Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha detto che ora siamo entrati in una fase di pre-fascismo. È d’accordo? «Siamo alla vigilia di una nuova epoca fascista? Probabilme­nte sì. Sarà un fascismo diverso, che usa i social. La cosa che spaventa è il pensiero unico sovranista, perché tutti quanti siamo per difendere le frontiere, ma una volta che hanno alzato il muro e ci hanno messo il filo spinato, da una parte e dall’altra ci sarà un soldato con il fucile». Si parte dall’assolvere promesse elettorali, insomma, e si finisce in guerra. Nessuno la voleva, all’inizio del libro. «C’è una frase che gira su Facebook, che trovo perfettame­nte calzante a questo momento storico. È di Göring, il maresciall­o del Reich e fondatore della Gestapo. Spiega che all’inizio nessuno vuole mai la guerra, ma sono i leader politici che decidono. E per convincere le persone c’è una formula che funziona sempre: “Basta dire che stanno per essere attaccati, denunciare i pacifisti di mancanza di patriottis­mo e di esporre il Paese al pericolo”. Le ricorda qualcosa?».

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DallÕalto, la sede della Commission­e Europea a Bruxelles; Matteo Salvini, 45 anni, e Viktor Orbán, 55, premier ungherese.
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