QUANDO I BAMBINI FANNO TROPPO
La settimana media dei ragazzi conta 46 ore «lavorative» rispetto alle 37 degli adulti. Impegni di ogni tipo per appagare l’ansia del sapere fare dei genitori. A discapito di immaginazione e senso dell’umorismo
Quale genitore non apprezza uno stacco, un momento in cui non farsi carico di tutto e sgomberare la mente? Perché non dovrebbe averne bisogno anche un bambino o un adolescente?
La stanchezza del bambino. Piccolo manager della sua impossibile impresa. Essere dappertutto, far contenti tutti, innanzitutto i genitori, che lo organizzano con un’agenda fitta come la loro, anzi molto di più. In classe otto ore al giorno, al rientro una rapida merenda per uscire di nuovo ad allenarsi in uno sport o a imparare altro, in un traffico di chitarra, inglese e teatro a cui segue la sera, quando molto stanchi, hanno ancora compiti o materie da studiare. Si aggiungono nel weekend gli impegni con i nonni, il compleanno dello zio, l’abitudine di accompagnare il papà al supermercato, la mamma a comprare i vestiti nuovi e il fratellino da qualche altra parte. Una pausa certa: il catechismo del sabato mattina. Una ricerca di Center Parcs nel Regno Unito mette nero su bianco: la giornata media di un minore dalle 7 alle 21 - produce una settimana programmata per 46 ore. Contro la media di 37 degli adulti, ben percepita: il 44% ritiene di «lavorare» più dei genitori. Costretti a non fermarsi mai, spinti solo a primeggiare, i ragazzi perdono energia, loquacità, senso dell’umorismo e immaginazione, a favore di un crescendo di paura, rabbie improvvise e forte stanchezza: «Un’agenda troppo affollata può strutturare un’abitudine a considerare la vita scandita dalla performance. Il senso di protezione può trasformarsi in oppressione», spiega Patrizia Conti, docente di psicodiagnostica e psicologia dell’età evolutiva al Cipa, consulente per Tribunali dei minori e membro della IAAP (International Association for Analytical Psychology). «A dimostrare di saper fare insegna già la scuola, se l’impegno si estende all’intera quotidianità si perdono gli ambiti della relazione e del divertimento». Anche se bisogna imparare? «Il divertimento è fondamentale, per apprendere meglio. L’equilibrio si trova nel far bene una cosa che ci fa stare bene. Se viene chiesto dal ragazzo di continuare
un’attività perché ci vanno gli amici, è un’ottima ragione». Stimolare sì, ma anche abbandonarlo, in un tempo senza orari, alla più utile delle attività, l’ozio creativo: «Lasciare libertà a un figlio significa trasmettergli fiducia. Sorvegliato ma non organizzato si può conoscere e differenziare, conquistando spazi di autonomia sempre maggiori». Ma l’ozio non è più di moda: «Quale genitore non apprezza uno stacco, un momento in cui non farsi carico di tutto e sgomberare la mente? Perché non dovrebbe averne bisogno anche un bambino o un ragazzo? Un figlio sente che i genitori chiedono quelle performance, ha bisogno di stima e considerazione, è ancora più dipendente e condizionabile». Per non parlare delle scelte di vita: se il figlio che sogniamo ingegnere diventerà invece un primo ballerino, perché combattere? «Arricchire la vita del figlio è una forma di cura. Dirigerlo sulle proprie aspirazioni e passioni mancate è compensazione narcisistica. Un figlio è un essere distinto da noi», precisa Conti. Forme d’incomprensione sempre più diffuse nella società dell’apparire e del rappresentarsi: non devono diventare piccoli adulti, oggetti di consumismo contemporaneo». Il genitore è ansioso di vedere suo figlio primeggiare? Si impegni lui a essere più competitivo, leggi creativo, raccontandogli una fiaba, accompagnandolo al parco e al cinema oppure a quel concerto da cui, chissà, scoccherà la scintilla per la musica. Il punto non è evitare che faccia attività, ma spingerlo a trovare quelle che gli piacciono. Se mai ce la farà, in un mondo bambino in cui la vera performance è diventata trovare uno spazio, per il sé. Lasciare libertà a un figlio significa trasmettergli fiducia. Sorvegliato, ma non organizzato si può conoscere e differenziare, conquistando spazi di autonomia maggiori