SONO UNA NONNA REGALE
Una madre che l’abbandona bambina, la tristezza del collegio e dell’adolescenza. Eppure Carole Bouquet oggi si sente una donna fortunata. Perché ha due figli («maschi, grazie a Dio») che la amano, con cui si è molto divertita, e che le danno grandi soddisfazioni
Tra i muretti a secco che chiudono viti, ulivi, fichi e cespugli di capperi nella sua tenuta di Pantelleria, Carole Bouquet «riscalda» quella bellezza fredda cui ci ha abituati in anni di cinema. L’attrice ha la voce bassa di chi sa che è il tono a contare più del volume, e parla di età, amori, «sciacche» (come qui sull’isola chiamano le ferite create sulle rocce dal vento e dal mare) che hanno il loro punto originario e di ritorno in una madre. La sua. «Sono venuta in questa terra tra oriente e occidente vent’anni fa. Ero in cerca delle radici che mi erano mancate da bambina. Ne ho fatto casa mia. Lo è anche Parigi, certo, ma solo qui mi sento avvolta, protetta. Solo questo posto mi calma, mi dice: “Appartieni alla storia. Provieni da una cultura arcaica, da greci, romani, cartaginesi, arabi, normanni”. Io mi siedo, mi guardo intorno, respiro e sì, questo è un mondo che capisco, un’illusione che posso toccare».
Come ci arrivò? «Ho un’amica, Isabella Rossellini, che quando racconta le storie le monta in un millefoglie di fantasia. Quella volta tornava da Pantelleria, ci vedemmo in Francia, di giugno, e iniziò a parlarmi di quest’isola in mezzo al Mediterraneo, venuta da un vulcano, con questi abitanti che vivono nei dammusi, irraggiungibile nei giorni “no” perché soggetta agli umori del cielo, per buona parte ancora senza elettricità e acqua. Avverto un richiamo, lo seguo». Giunge qui e… «Andavo a nuotare al lago di Venere, al mattino, passavo di fronte alle tombe bizantine, poi giù per piana della Ghirlanda. Lungo la strada mi attirava sempre un cartello su un piccolo rudere: “Si vende”. Ma tutti mi sconsigliavano: che te ne fai, è scomodo, ha solo un ettaro e neanche troppo coltivabile... Tornai a comprarlo l’anno dopo – era il 1996 – senza dirlo a nessuno, eccitata come per una promessa di felicità». L’ha mantenuta? «Ettaro dopo ettaro, siamo a 18. L’espansione è stata come la costruzione di un amore, cioè non facile. Per ogni metro quadrato c’è stato da liquidare fino a sette fratelli. Io poi adoro il vino: mi piaceva l’idea di una cantina e di un passito d’uva zibibbo – che ho chiamato Sangue d’oro – da vendemmiare, imbottigliare, che mi somigliasse e fosse come la terra da cui nasce: duro ma voluttuoso, di una dolcezza incredibile». Che autoritratto farebbe di sé? «Sono una donna, un’attrice, con 61 anni alle spalle. Nonostante inizi cupi, baciata dalla buona sorte, soprattutto perché ha due figli (Dimitri, nato nel 1981 dal matrimonio con il produttore libanese Jean-Pierre Rassam, che la lasciò vedova a 28 anni, e Louis, avuto dal fotografo Francis Giacobetti nel 1987, ndr) che sembrano amarla. Significa che ho fatto un buon lavoro». Con lei non l’hanno fatto? «I miei si sono separati che avevo 3 anni. Mio padre ottenne l’affido esclusivo, mia madre non si credeva capace di crescerci così è andata via nel Sud della Francia:
altra vita, altri matrimoni. Fui educata in collegio, religioso. Ero un maschietto con i capelli corti e niente di femminile, avevo perso l’allegria. Nell’adolescenza la tristezza si è allargata, il mio corpo cambiava e io non avevo modelli, vagavo in compagnia di una malinconia e una timidezza che erano le mie migliori alleate sul palcoscenico, dove non vedevo l’ora di diventare altro da me». L’esordio con Buñuel avvenne quasi per miracolo. «Mentre ancora pensavo che forse volevo essere un’attrice, Luis mi scelse per Quell’oscuro oggetto del desiderio. Avevo 18 anni, cambiò tutto». Sua madre l’ha più rivista? «Per le vacanze estive. O da grande. Ma se il rapporto non si crea quando sei piccola, dopo non c’è nulla da ricostruire, non lo puoi inventare. Sono diventata madre dei miei figli, che per fortuna sono venuti maschi (così è potuto essere un campo aperto, di cui non sapevo nulla) e mi hanno divertita sempre, da quando sono arrivati, e non la madre di mia madre in cui mi sarei dovuta trasformare per recuperarla». Suo padre che tipo era, invece? «Aveva studiato da ingegnere aeronautico. Un alto senso del dovere, ma non parlava. Mi guardava però con fiducia, come non avesse da preoccuparsi per me. Morì troppo presto, avevo 21 anni, e mi dispiace perché oggi le avrei avute io le parole che servivano a conoscerci». Suo figlio Louis si è appena sposato, qui a Pantelleria, con Charlotte Tarbouriech. Dimitri sta per dire sì a Charlotte Casiraghi. Lei ha amato molti uomini, fra cui Gérard Depardieu dal 1997 al 2005, ed è figlia di genitori divorziati: crede nel «per sempre»? «Sì, ci credo. Se non si pensa di poter inventare una storia insieme che duri, perché iniziarla? Con Philippe (Sereys de Rothschild, suo compagno, figlio della baronessa Philippine de Rothschild e del direttore della Comédie-Française Jacques Sereys, ndr) posso affermare che quel che scriveva Petrarca è ancora vero: non puoi niente contro accidenti, malattia, ma quel che dipende da noi è l’attenzione, la cura di chi hai al fianco. Quella puoi scegliere di averla o meno. È un lavoro, e puoi decidere se faticare o no. Oggi io fatico molto di più di quando ero ragazza». Quale regalo, per le nozze dei suoi figli? «Meno sofferenza possibile. Un’esistenza senza non esiste, è una favola, lo so da che ero bambina, ma navigare sopra la linea si può tentare». Due nuore, due Charlotte. «Sposano i miei figli nello stesso anno. E nello stesso anno ci fanno i figli: insieme (sono incinte entrambe, ndr). Quando ci riuniamo e ne chiamo una, si girano in due. Ma abbiamo trovato come non confonderci: una è bionda, una è mora». Lei è già nonna di Darya, 7 anni. E a breve diventerà «nonna reale», imparentandosi con il Principato. Cambia? «No, se non che vorrei avere più spazio per farla. Tra nuovi film in Francia, il teatro a settembre (un adattamento di Felici i felici di Yasmina Reza, ndr) e la campagna Chanel, di cui sono stata testimonial a lungo in gioventù, non ho mai lavorato tanto. La nonna è un ruolo in cui non sei responsabile dell’educazione dei piccoli ma allo stesso momento puoi far vedere cose che i genitori non sanno. Portarli con te in viaggio, trasmettere loro che hanno un nido speciale, una famiglia serena». Con la futura consuocera Caroline di Monaco come va? «Ci siamo conosciute ventenni a Parigi, poi per tanto non ci siamo più viste: lei aveva un gran daffare monegasco e io ero sempre in giro, ma abbiamo rispetto e ammirazione reciproca. Insieme ce la ridiamo. Chi l’avrebbe mai detto?». Le dive esistono ancora? «Non più. Di noi non si sapeva quasi nulla, conservavamo il mistero e così proteggevamo il talento. Instagram ha ucciso l’epoca del sogno sospeso, delle cose che ci venivano naturali e agli occhi altrui parevano incredibili». Com’è invecchiare? «Quando dico l’età che ho ancora non ci credo, e mi viene in mente un pomeriggio in cui guidavo, vantandomi della mia giovinezza e mio figlio mi disse: “Mamma, ma a 40 anni giovane?”. Allora pensavo che invecchiare significasse guardare la pelle farsi più resistente, da coccodrillo, invece col tempo con lei si assottiglia tutto, ci si infragilisce. Continui a organizzarti, ma hai più paura della tempesta di maestrale che vedi avvicinarsi. Poi subentra la tenerezza». Nei confronti di? «Di te stessa, di chi hai amato. Sai che una seconda vita non è dietro l’angolo, e non vuoi perdere niente, non rinunci più a nessuno. Neanche a chi, chissà quando, ti ha fatto soffrire. Sempre d’amore s’è trattato, e l’amore è un tempio sacro. Anche se sfuma, tradisce. Perfino quando fa male».
Styling Natalie Yuksel. Abiti e bijoux, Chanel. Orologio, Chanel Horlogerie. Make-up e hair Cyril Lanoir using Chanel e Dyson.