Vanity Fair (Italy)

Possiamo riderci su?

In DON’T WORRY, Gus Van Sant racconta la storia di un disabile. Ma senza retorica e con molto humour

- di MATTIA CARZANIGA

Delle vignette di John Callahan, pochi tratti a matita su un foglio bianco e battute fulminanti, vi innamorere­te. E anche della sua carrozzina, dei capelli pel di carota, dello sguardo sul mondo che tende a dissacrare tutto: prima di tutto se stesso. In Don’t Worry (uscito da poco nelle sale) siamo in zona «storia vera» (la racconta pure il memoir omonimo edito da Garzanti), ma il finalmente ritrovato Gus Van Sant aggira il rischio del patetismo, sulla carta altissimo. Il protagonis­ta interpreta­to da Joaquin Phoenix (applausi) è un perdigiorn­o alcolista, fa un incidente dopo una notte di pillole e sbevazzate, si risveglia disabile, comincia a disegnare per i giornali locali (Portland, stessa città del regista, in cui sempre torna a dipingere la sua commedia umana), diventa una piccola celebrità. Ha anche il tempo di avere una relazione con una hostess scandinava (Rooney Mara con parrucca bionda, con cui Phoenix si è fidanzato nella realtà) e di costruirsi una famiglia alternativ­a, cioè un gruppo di depressi non troppo anonimi (con apparizion­i rock-cult: Kim Gordon e Beth Ditto). Al posto delle lacrime c’è una dose massiccia di humour, e tanta empatia senza retorica: è forse il primo biopic «diversamen­te abile» non confeziona­to per strappare Oscar (che meriterebb­e eccome). Cast di giganti: accanto a Phoenix ci sono Jonah Hill, sempre più insuperabi­le nei panni del guru salva-disperati (ma lui non si salva), e Jack Black in due scene tra desolazion­e e struggimen­to è un lampo che non dimentiche­rete più.

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