FACCHINETTI
Mai dire bugie ai figli, parola di Francesco Facchinetti, versione papà. E soprattutto vietato vietare: i bimbi devono poter sempre sperimentare
IL PADRE-FANCIULLO CHE ODIA DIVIETI E BUGIE
C antante, dj, conduttore Tv, talent scout. Difficile imbrigliare Francesco Facchinetti in una definizione. Una vita, la sua, all’insegna della creatività a briglia sciolta. La stessa che lo guida nel suo ruolo di padre di tre figli: Mia, nata nel 2011 dalla relazione con Alessia Marcuzzi, Leone del 2014 e Lavinia del 2016, entrambi avuti dalla moglie Wilma Helena Faissol che a sua volta ha una figlia, Charlotte, di 9 anni, amatissima da Francesco.
Che tipo di papà è?
«Di base sono un bimbo che cerca di restare tale, anche se la gente pensa che io sia cresciuto. Sono un padre-fanciullo e i miei piccoli mi aiutano a ritornare a quella dimensione dove è facile sapere chi sei e da dove vieni».
Lei com’era da bambino? Però i figli vanno anche educati, come ci riesce se si pone al loro livello? Come papà, in cosa assomiglia al suo, quel Roby
«Racconto sempre la verità, bella o brutta che sia, perché la verità ti educa. E poi li lascio liberi di esprimersi, che si tratti di fare una torta, correre a perdifiato, disegnare. C’è un solo punto su cui non transigo, il rispetto. Tra bimbi è normale che litighino, ma sto sempre attento a che abbiano riguardo gli uni per gli altri». «Iperattivo e caratteriale, da grande pensavo che avrei fatto il Papa, perché dona amore, oppure il contadino, perché avevo capito che tutto nasce dalla terra. I miei hanno fatto un lavoro fantastico con me, mi hanno concesso di sfiorare il limite, anche di farmi male, salvandomi così dal rischio della distruzione».
Facchinetti che è una leggenda della musica italiana da frontman dei Pooh?
«Da piccolo detestavo i suoi eccessi di affetto che mi sentivo in obbligo di ricambiare, anche se magari in quel momento non ne avevo alcuna voglia. Adesso sono uguale, riempio i bambini di feste. E sono diventato apprensivo, sfiorando a volte gli attacchi di panico. Quando mi capita, li affronto pensando a come ero io, che a 13 anni me ne stavo in giro magari per tre giorni di fila e che a 16 facevo la mia prima esperienza in Interrail. I miei figli devono crescere liberi».
Come vivono la sua celebrità?
«Per loro è normale vivere la mia dimensione artistica e io li metto in contatto con il mio ambiente perché è molto stimolante. Vengono con me ai concerti, a teatro, al cinema, giocano con i miei colleghi… L’importante è che non si sentano in competizione con me: non devono cercare di eguagliarmi o superarmi, solo essere se stessi».
Il meglio e il peggio della paternità, secondo lei.
«Ti fa sentire vivo. Non puoi morire quando sei un papà, secondo me ti si scatena dentro una chimica che mette in circolo l’adrenalina e tu realizzi cose incredibili. Per me il difficile è rinunciare a quei momenti in cui ti concedi di non avere alcuna responsabilità. A volte serve perdersi per poi ritrovarsi, ma con i figli non lo puoi più fare».
Come vorrebbe essere ricordato da loro quando non ci sarà più?
«Come un sognatore, perché è quello che sono. Uno che vede cose che ancora non esistono e prova a realizzarle».