LA MATRIGNA CHE SONO STATA
Se fossi una persona onesta vi direi che Matrigna è un romanzo in parte autobiografico, che dietro alla storia di Noemi e Carla, sorella e madre del bambino scomparso, si celano ben altre ragazze, e madri. Ma in quanto disonesta mi concentro sulla vicenda del libro: che succede quando sparisce un bambino? E se quel bambino è tuo figlio o tuo fratello? Per te che rimani esiste futuro? Matrigna è la storia della vita dopo, se davvero esiste. Di come Noemi diventa adulta, e Carla invecchia. La storia di un mistero nel mistero, immaginate una matrioska. Immaginate una bambola che non pareva matrioska, invece lo era, sorpresa: un’altra bambola, e un’altra ancora, fino all’ultima, così piccola e nascosta. Un romanzo che dedico a mia figlia, per tutte le volte che l’ho persa, ma che, se fossi sincera, dovrei dedicare agli innumerevoli bambini da me perduti, tantissimi, confesso. Mi è capitato di distrarmi e non vederli più. Pochi minuti o mezz’ora, medesimo sentimento: sono finita. Sono finita, penso le volte che smarrisco mia figlia (tre). Mentre gli altri la cercano, mentre qualcuno chiama la polizia, io rimango immobile perché annichilita: no, non c’è vita dopo un figlio. Per strada, in spiaggia, ovunque tu sia, ovunque tu eri. A questo punto del racconto, se fossi leale non ometterei ciò che si fa largo a lato della disperazione, s’insinua, prende il sopravvento contro ogni ragionevolezza. Cosa, con gli occhi del mondo addosso, inizia a provare la donna che conta al suo attivo soddisfazioni, piccoli traguardi raggiunti, frustrazioni, sogni infranti, gloria mancata. Che significa per la donna ordinaria stare al centro dell’attenzione, essere qualcuno, la mamma della bambina scomparsa. Mia figlia viene ritrovata, e io ridivento parte della folla. Felice, felicissima, di nuovo in ombra. Andando indietro, all’infanzia, m’imbatto nel desiderio di sparire. Fuggire, aspettare mamma, papà che si spaventino, vederli piangere. Succede però che a forza di nascondersi, nessuno si preoccupi più. Non datele importanza; deve essere qui intorno. Fino al giorno con gli amici – loro sì che mi amano –, fino a quel giorno d’autunno in cui io diciottenne fuggo, e non mi volto indietro. Entro nel bosco, fuggo, fuggo. Mi fermo, il fiatone. Aspetto l’arrivo delle squadre speciali, dei cani a perlustrare la zona. Centinaia di persone alla ricerca della ragazza. Gli amici piangono: sta passando un momento difficile. C’è chi azzarda: potrebbero averla rapita, è bella, ricca (bella e ricca: doppio salto carpiato della fantasia). Frattanto io non sento alcun vociare, nessuno che urli il mio nome. Alzo gli occhi al cielo: non ci sono elicotteri. E allora tornare, rabbiosa, tornare e scoprire gli amici al bar. E scoppiare in lacrime, addolorata disperata: nessuno mi ama. Quindi desiderare di essere lei, lei che non è mai stata ritrovata. Dieci anni indietro: eccomi di fronte al manifesto di una ragazzina bellissima – più bella a ogni sguardo, a ogni giorno di assenza. Capelli lunghi, fascetta nera sulla fronte. Se non avessi paura del vostro giudizio, il timore di essere considerata una persona spregevole, vi racconterei quanto la me bambina avrebbe voluto essere la ragazza del manifesto, la ragazza dai capelli lunghi, e il sorriso sbilenco. E di come – nell’immaginazione – avrei trionfato. Eccomi, avrei detto comparendo in mezzo alla gente, sono io, sono tornata. Applausi. Passano gli anni, la ragazza del manifesto non torna, di contro io cresco, mi fidanzo, litigo, piango, ingrasso. La ragazza dai capelli lunghi rimane per sempre lì, a quindici anni, con la fascetta sulla fronte, mentre l’altra diventa adulta, madre, perde la figlia, la ritrova. Finalmente trova quella cosa piccola e nascosta. Se fossi spudorata dedicherei questo libro alla matrigna che sono stata e continuo a essere, alla matrigna dei bambini che ho smarrito, da mia figlia a quella meno speciale di tutti, me stessa.