Educare alla bellezza
Icona di stile, Carla Sozzani intorno alle sue boutiquegalleria aggrega tribù del gusto. Ora anche a New York
Quando, nel 1990, Carla Sozzani aprì 10 Corso Como a Milano in quel quartiere non c’era nulla. «Non era neanche in trasformazione, era solo un garage in una zona dove non andava nessuno», racconta. Quello che è oggi lo sappiamo: uno dei luoghi di riferimento non solo dello shopping, ma dell’arte e della fotografia, un posto di cose belle, uno sfizio per gli occhi e per l’anima. È per questo che dopo Seoul, Shanghai e Pechino, Sozzani ha deciso di aprire anche a New York, nel Seaport District, nella punta più a sud di Manhattan, un quartiere prima molto turistico che sta diventando un punto di riferimento importante per lo shopping e la vita culturale. «Non avevo intenzione di portare 10 Corso Como a New York, ma poi ho visto questo posto e mi ha ricordato gli inizi a Milano. È stato il luogo a farmi decidere, non il contrario». Un esempio di eleganza e stile italiano, verrebbe da dire. In realtà non è proprio così: Sozzani, che conosce il mondo e lo abita, sa benissimo che non ha più senso parlare di gusto italiano superiore a quello americano o viceversa. «Il mondo è unico, globalizzato. Le persone si uniscono in comunità a seconda del gusto personale. Esistono piccole tribù di appartenenza in cui la gente si raggruppa perché accomunata da un certo gusto, e non importa da dove si viene o dove si vive, se in India o in Giappone. In questo senso è una comunità globale». Il che non vuol dire che tutte le città siano uguali: «In questo momento trovo molto interessante Berlino, dove sono stata di recente, per la mostra alla Helmut Newton Foundation. E poi Seul: molto stimolante e con donne belle ed eleganti». Ex giornalista di moda, collezionista di fotografia, sorella di Franca Sozzani – storico direttore di Vogue Italia, mancata nel dicembre 2016 –, amica di Azzedine Alaïa, protagonista culturale del XX secolo: Sozzani è anche icona di uno stile minimalista che ha grande connessione con l’arte. «Mia sorella Franca e io siamo state educate fin da piccole alla bellezza classica con ore e ore trascorse nei musei. E poi chiese, chiese, chiese: ma non per la religione, per l’architettura e l’arte. Eravamo sempre in marcia, pronte a visitare un’altra chiesa, vestite tutte e due con la gonna di flanella grigia, le scarpe da uomo e la maglietta verde acqua. Sì, abbiamo avuto un’educazione un po’ severa, ma è servita». Che è anche la risposta perfetta alla domanda se il gusto si può imparare o è innato: «Sicuramente molto dipende dall’educazione ricevuta, si può educare alla bellezza». Da adulta le chiese e i musei visti da bambina si sono trasformati in uno stile personale, lo stile Sozzani, riconoscibile anche nell’abbigliamento. «I tacchi li avrò messi qualche volta negli anni ’70, quando si portava un po’ di tutto. Il trucco lo avrò usato due volte in vita mia. Non ho mai avuto l’esigenza di sperimentare. Forse dipende dal fatto di essere cresciuta ammirando le donne della romanità classica: capelli raccolti, scarpe basse, abiti semplici. Erano bellissime e hanno conquistato il mondo senza aver bisogno del tacco sedici».