Il genio degli spaghetti
È difficile trovare un ristorante di hotel di buon livello. Ma nel caso del Bulgari e di Niko Romito la qualità è ottima. A cominciare da un piatto di semplice perfezione
Nella pratica del turismo di lusso la cucina d’albergo è stata spesso vista come il difetto più grave. Un grande albergo dove la qualità dell’ospitalità significa un soggiorno speciale e indimenticabile per l’ospite spesso, al momento dell’offerta gastronomica, si risolve in piatti senza personalità, non legati al genius loci, antiquati nella concezione e nelle tecniche, maldestri nelle porzioni. Insomma brutta esperienza. In alcuni casi poi abbiamo grandi alberghi che ospitano, in una sorta di mutua indipendenza, chef che gestiscono i loro ristoranti come soggetti separati, alle volte raggiungendo l’olimpo della grandissima gastronomia, il nome di Ducasse dovrebbe essere immediato come esempio per ogni gourmand che si rispetti. La lussuosissima catena di alberghi Bulgari, di proprietà della multinazionale del lusso LVMH (per chi non lo sa l’acronimo significa Louis Vuitton Moët Hennessy, ovvero due enormi pezzi di bien vivre francese fusi in una scatola finanziaria che possiede una costellazione di altri grandi marchi, tutto di proprietà della famiglia Arnault), ha preso una decisione davvero saggia e lungimirante nell’andare nella direzione opposta ai due casi di cui sopra: invitando il sublime maestro Niko Romito a creare l’identità dei ristoranti di alcune sedi. Quelle di Dubai, Shanghai, Pechino e, da poco più di un paio di settimane, Milano. La carta che troverete in questi quattro angoli del globo è la stessa, il principio quello di offrire al cliente l’eccellenza della cucina italiana di famiglia: piatti che riflettono la frammentarietà regionale del nostro Paese, sapori e scelte che evocano il piacere della tavola archetipica del nostro essere italiani e del nostro essere amati nel mondo in quanto italiani. Per esempio, il genio di Niko si sintetizza negli spaghetti al pomodoro. Un piatto perfetto e mirabile nella sua semplicità icastica. Una salsa di pomodoro che è il risultato di un processo culinario ardito e tecnicamente sofisticatissimo per realizzare la sintesi assoluta (parola questa amata da Romito) del nostro vanto nazionale. Pomodoro spaghetti e basta. Poi al palato esplode in una miriade di rivoli di sapori, quasi come un affinamento vinicolo.
La carta vasta e spiritosa nel suo attraversare luoghi topici dell’immaginario sulla nostra cucina va dall’antipasto all’italiana, una cavalcata nel cibo da strada da dividere in tavola, pane e ragù che trionfano… Il cocktail di scampi diventa un piatto generosissimo di scampi pasciuti, teneri e dolcissimi accostati a una maionese di patate, polvere di corallo di scampo e peperoncino, goloso, buonissimo. Il vitello tonnato ha una consistenza sorprendente, la ventresca di tonno ai fagioli e cipolle è mirabile tuffo nella tradizione contadina, mai imbarazzato da essa anzi forte di quella sapienza, l’uso dello scapece in diversi contorni così vivificante nel riscoprire un metodo di cottura e un sapore dimenticati. Il risotto alle ostriche e bottarga è generoso, avvolgente, leggerissimo primo piatto da luogo del lusso qual è quello in cui ci troviamo, la tagliata di manzo con jus ridotti e affumicati si fonde in bocca ed esplode in molte nuance di virtù bovine. Ma è nella cotoletta alla milanese che Niko mostra la sua altezza vertiginosa: una alta fetta di vitello con l’osso è servita dorata e fragrante di frittura ma leggerissima e, miracolo, è succosa e rosa all’interno. Solo molta ricerca, molto umile lavoro, un enorme talento possono in riuscite del genere. I dessert, come sempre con Romito, sono aerei e spiazzanti nel senso migliore, il tiramisù senza mascarpone servito tiepido, piacere con cui il pranzo non chiude ché dei mini krafen sono lì che aspettano di essere mangiati in un solo boccone. Milano ha aggiunto un grandissimo nuovo indirizzo.