Omaggio allo chef del secolo
Un grande poeta della gastronomia, il rivoluzionario dell’alta cucina: JÖEL ROBUCHON non c’è più, ma la ricetta dei suoi Atelier rimane. Semplice: tovagliette di carta, sgabelli vis-à-vis e amore
Joël Robuchon è scomparso il 6 agosto scorso, dopo Paul Bocuse un altro grande chef del XX secolo che se ne va. In realtà Robuchon è stato anche un enorme interprete della cucina del XXI secolo e anche uno dei suoi agenti del cambiamento. Nato a Poitiers nel 1945, fin dall’infanzia ha trovato nella cucina, l’ambiente e l’arte, il motivo che ha informato la sua vita. Talento speciale e precoce, a 31 anni viene insignito della prestigiosissima onorificenza di Meilleur ouvrier de France, era il 1976. Nel 1990 la guida Gault-Millau lo elegge Chef del secolo. Nel 1995, al massimo picco della sua fama e del suo potere di cuoco, si ritira, appena cinquantenne. La vita sotto continuo stress delle cucine non faceva più per lui e un certo disagio per cosa l’alta cucina stava diventando, così immersa nella pompa del servizio e della gastronomia d’élite, portano Joël a pensare che la Vita vada ripresa in mano. Dopo aver speso quasi un decennio tra trasmissioni tv e viaggi nel mondo, in particolare in Giappone, il maestro torna nel 2003 con una rivoluzione, aprendo una vera e propria catena di ristoranti, gli Atelier de Joël Robuchon. Addio all’alta cucina come è stata concepita per un secolo: adesso il cliente è prossimo allo chef, la sala è un susseguirsi di banconi dove, appollaiati su sgabelli, i commensali sono di fronte al cuoco che cucina davanti a loro esattamente come in un tipico sushi bar giapponese. Nessuna possibilità di prenotare, no tovaglia ma tovaglietta di carta, décor tutto nero e uso di forti colori primari negli oggetti che lo compongono. o shock è enorme, l’abitudine spazzata via. Forse adesso, retrospettivamente, in questa intuizione geniale e indefessa ricerca della contemporaneità futuribile, Joël Robuchon ha anticipato l’idea global e capitalista delle sinistre riformiste ed elitarie: il lusso travestito da prossimità ed eguaglianza, il gusto mutuato da sentimento pop diffuso. Infatti, dopo l’apertura e il trionfo dei primi Atelier, fateci caso a quanti bar, tavole calde, ristoranti sono diventate funebri e pretenziose scatole di plastica nera... Tutta colpa di Joël? Direi di no perché, oltre all’idea intellettuale feconda di Robuchon, che è stata mal interpretata, poi arriva il cibo, i piatti stupendi e ormai leggendari che qualsiasi Atelier del mondo, da Las Vegas a Tokyo e in molti altri angoli del pianeta, vi propone in un’esecuzione sempre eccellente. La barbabietola con mela, dolce e pungente, il classicissimo caviale e granchio in gelatina, sontuoso e iodato, l’uovo in camicia con funghi, imitatissimo, l’agnello arrosto con aglio confit, un grande piatto mediterraneo, e ultimo, ma solo per brevità, il miglior purè di patate mai provato, tecnica e ingredienti estremi: una parte di patate una parte di burro! Ma una volta nella vita fatelo. Joël teorizzava che la cucina è amore, che per cucinare bisogna amare, amare l’altro senza nemmeno conoscerlo, questa era la spinta che imprimeva nei suoi chef. Un grande uomo e un grande poeta della gastronomia, già manca in questa brutta Europa dell’odio e della separazione.
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