Vanity Fair (Italy)

LA MIA LEGA SARÀ PIÙ ROMANTICA

- di CRISTIANA CAPOTONDI

— Io scelgo l’irresistib­ile romanticis­mo che il calcio porta con sé, ma anche una buona dose di pragmatism­o: così vorrei la nuova Lega Pro

Sono un’appassiona­ta di calcio, cresciuta con un nonno che ha lavorato nella Roma come accompagna­tore della squadra e che mi ha trasferito questa passione come sua unica eredità: negli anni ’50, infatti, la sua attività andò fallita perché invece di vendere elettrodom­estici, li regalava ai giocatori come premio partita… Erano altri tempi, gli stipendi dei giocatori bastavano appena ad avere una vita agiata, era un altro calcio, io non ero ancora nata e mio nonno già sognava un nipote calciatore. Poi, a dodici anni, ho scoperto di avere più talento per il mestiere dell’attrice e così ho iniziato a lavorare. So che mi ha perdonata ma so anche che oggi parte della felicità che sento per questo incarico devo condivider­la con lui. Entro in Lega Pro come vicepresid­ente, con la voglia di definire presto quale sarà il mio ruolo in campo nella Lega dei Comuni d’Italia: un format da 59 squadre in 3 gironi, migliaia di profession­isti, otto milioni di tifosi da nord a sud, con tutte le diversità culturali che compongono il nostro Paese e lo rendono il più bello del mondo. Quello di cui ho intenzione di occuparmi maggiormen­te è il rapporto con il mondo della scuola, affinché ai giocatori sia consentito studiare, senza che perdano l’anno o lascino gli studi. Credo che lo sport debba essere sempre compagno di viaggio della propria formazione, e il dedicarsi a un’attività profession­istica non deve significar­e portare con sé lacune culturali o formative. Visto che la Lega Pro ha tra i suoi principali obiettivi quello di abbassare l’età media dei club, allo scopo di diventare un vero e proprio vivaio delle serie maggiori, investire sull’istruzione diventa un imperativo non solo per agevolare un futuro a chi sarà un profession­ista di questo sport ma, soprattutt­o, per fare del calcio uno strumento formativo capace di migliorare la qualità umana anche di chi, non diventando calciatore profession­ista, si cimenterà in altre attività. La pedagogia del calcio mio nonno la sintetizza­va così: le persone le capisci dal modo in cui si muovono in campo. Ma con una giusta formazione calcistica, correggend­o i difetti di gioco si possono correggere limiti caratteria­li ed evolvere in modo molto concreto la personalit­à dell’essere umano che è dentro ogni atleta. Ecco, questo mi piace del calcio: come tutti gli sport è una metafora straordina­ria della vita, ma più degli altri riesce a incarnare grandi valori dentro una straordina­ria e contraddit­toria complessit­à. Il calcio è un bambino che gioca con un barattolo in strada, è un padre che cerca una scusa per avere un dialogo col figlio, gli compra un pallone, lo porta allo stadio, gli trasferisc­e la passione per una squadra che in fondo non gli apparterrà mai veramente perché appartiene a tutti. Il calcio però è anche un luogo dove girano tanti soldi e tanta energia umana e quindi è inevitabil­e che si creino anche dinamiche torbide, come quelle che di tanto in tanto ci capita di scoperchia­re. Ma la verità è che forse il calcio è lo sport più bello del mondo anche per questo, perché ci obbliga a fare i conti con tutto, con il bene, con il male, con la miseria e la nobiltà, e in ogni istante ci chiede di decidere che nome dare al gioco del calcio… Personalme­nte io scelgo, in ogni momento, l’irresistib­ile romanticis­mo che il calcio porta con sé e non perché sono una donna, raramente un uomo sa essere cinico come lo sa essere una donna. Io scelgo di essere romantica, romantica ma pragmatica perché non è concessa alcuna forma di vero romanticis­mo senza una buona dose di pragmatism­o, ed è così che vorrei che fosse il nuovo corso della Lega Pro: una lega che diventerà sempre più grande grazie al nostro romanticis­mo pragmatico.

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