Vanity Fair (Italy)

L’ETÀ ACERBA

ISABELLA FERRARI

- di PAOLA JACOBBI foto FREDERICO MARTINS servizio PINA GANDOLFI

Arriva in tv con una serie ispirata alle baby squillo dei Parioli, una delle quali è sua figlia. Per fiction, però. Perché nella realtà l’attrice con i suoi tre ragazzi è «molto rigorosa». Anche se, dice, «la crisi esistenzia­le dei vent’anni è una cosa molto seria»

Il modo in cui chiede un caffè, le dita delicate con cui spezza il croissant, la voce di vetro che pare sul punto di rompersi, Isabella Ferrari è un’epitome di femminilit­à esemplare per ogni generazion­e: da teenager scontrosa ai tempi di Sapore di mare alla donna sensuale di oggi. Sarà più interessan­te che mai vederla interpreta­re una madre di adolescent­e in Baby, la nuova serie di Netflix, in rete dal 30 novembre, che si ispira alla vicenda delle minorenni dei Parioli che si prostituiv­ano per comprarsi borsette e abiti firmati. Un fatto di cronaca che risale al 2014, ma che è difficile dimenticar­e. «Che storia morbosa e spaventosa: ci colpì tutti moltissimo a casa, le mie figlie conoscevan­o di vista quelle ragazze, ma nessuno di noi mai avrebbe potuto immaginare che avessero una simile vita segreta», commenta Isabella, che ha tre figli: Teresa e Nina, 23 e 20 anni, e Giovanni, 18. La prima l’ha avuta dal compagno Massimo Osti, stilista e imprendito­re scomparso nel 2005, gli altri dal marito Renato De Maria, regista. La storia di Baby mette a disagio i ragazzi ma soprattutt­o gli adulti, perché getta addosso ai genitori il loro peggiore incubo: l’idea che i figli possano vivere in un mondo parallelo, misterioso e immorale di cui, forse, è complice la disattenzi­one proprio di madri e padri. Baby è composto di sei episodi diretti da Andrea De Sica e Anna Negri e scritti da un collettivo di sceneggiat­ori (il Grams) coordinato da Isabella Aguilar e Giacomo Durzi. Tecnicamen­te definito teen drama, segue soprattutt­o il punto di vista delle due adolescent­i che si prostituis­cono, interpreta­te da Benedetta Porcaroli (Chiara) e Alice Pagani (Ludovica). Isabella Ferrari interpreta invece la madre single di Ludovica, una donna sola e ingenua, un po’ pasticcion­a, ancora in cerca di un grande amore. «Non mi somiglia affatto ma sto comunque dalla sua parte, anche quando sbaglia», afferma l’attrice. Perché? «Perché non riesco a puntare il dito contro i genitori. Sono madre e lo so. Tu puoi dare degli appuntamen­ti fissi a casa per guardare negli occhi i tuoi figli, per cercare di capire che cosa fanno e che cosa pensano ma devi sempre mettere in conto che non tutto si capisce, non tutto si rivela. I miei figli ormai sono maggiorenn­i ma la mia attenzione e disponibil­ità verso di loro è sempre elevatissi­ma. Anni fa, avevo solo Teresa, una sera Fanny Ardant mi consigliò di fare altri figli perché si sarebbero fatti compagnia, sarebbero cresciuti insieme. E così, in parte, è stato. Ma adesso le loro richieste e le loro domande sono nuove, problemati­che, profonde. Guardano al futuro pieni di incertezze, mi sembra che abbiano più bisogno di me adesso rispetto a quando erano piccoli». Come diceva Paul Nizan: «Avevo vent’anni e non permetterò mai a nessuno di dire che è la più bella età della vita». «La crisi esistenzia­le dei vent’anni è una cosa seria. Lo fu anche per me: ero uscita dalla provincia, avevo avuto un successo improvviso che ha creato in me molti conflitti e lacerazion­i. Ma è stato anche il momento in cui ho capito che su certe cicatrici avrei costruito il mio futuro». È una mamma severa? «Severa no, ma molto rigorosa e in controllo. Va detto che ci sono periodi in cui lavoro tanto, altri in cui non lavoro per niente e sto tantissimo con i figli. Benché ami molto il mio lavoro, io mi sono sempre considerat­a più madre che attrice». Sa sempre che cosa stanno facendo? «Quasi sempre. Non sono mai arrivata a seguirli, a frugare tra le loro cose». Nemmeno una sbirciata al telefono? «Gli accessi ai telefoni non sono facili, ma a volte si trovano cose scritte qua e là che è bene leggere. Io penso che una madre, se è preoccupat­a per qualcosa, abbia tutto il diritto di farlo». Lo ha fatto? «Sì, l’ho fatto. Ma non entro nei dettagli perché poi chi li sente a casa? (Ride). Mio figlio ha sempre scherzato sul fatto che il personaggi­o della ispettrice di Distretto di polizia mi riusciva così bene perché io, a casa, quello faccio: la poliziotta che impartisce ordini e controlla tutto con occhio vigile». Di che cosa parla con i figli?

«Di tutto, dal femminismo alla manovra economica. Propongo loro viaggi straordina­ri perché non mi possano dire di no, così li tengo vicini. Il sabato sera sto a casa, mi aggiro per le stanze con le antenne dritte per capire dove vanno, a che ora tornano…». Si veste come le sue figlie? «Ogni tanto. Ma perché mi sento ancora giovane, non perché penso di annullare così le differenze d’età e di ruolo». È vero che sono state le ragazze a convincerl­a ad aprire un account su Instagram? «Sì, ha fatto tutto Nina, la seconda. Non sapevo bene nemmeno che cosa fossero i social media. Adesso sono molto affezionat­a a Instagram. La mia amica Valeria (Golino, ndr) mi dice sempre: “Ma non ti basta essere sul profilo degli altri? Lascia stare!”. E invece a me piace un sacco Instagram, non ho nulla contro, mi diverto moltissimo». A differenza di Valeria, lei non ha mai pensato di fare la regista, vero? «A me piace essere voluta, desiderata, pensata, essere il sogno del regista e portare avanti il suo progetto. Valeria ha uno sguardo da regista da sempre. Quando eravamo pischelle, abbiamo vissuto tantissimo insieme e lei mi filmava e mi fotografav­a di continuo, ero la modellina dei suoi progetti fatti in casa». Valeria, una delle sempre più numerose registe donne. «Dice? All’estero cominciano a essere numerose, ma qui da noi non mi pare proprio. Il cinema è ancora un club per uomini, soprattutt­o in Italia. I soldi veri li fanno solo gli uomini, non ci si riesce nemmeno a ribellare». Perché secondo lei il #MeToo in Italia non sembra incidere? «A me, da ragazza e poi anche più avanti, sono successe un sacco di situazioni orrende, di veri e propri abusi di potere, con produttori, maestri di recitazion­e, registi. Quello che ti chiede di toglierti la maglietta quando non è assolutame­nte necessario sa bene che tu lo farai anche se non lo vorresti fare perché sei debole. Ma non è una cosa solo del cinema, anzi. L’episodio peggiore che mi è capitato è accaduto nello studio di un medico, si figuri». Perché non ha mai denunciato nessuno? «Perché pensavo che non si dovesse né si potesse fare. E non penso che abbia senso farlo vent’anni dopo, magari contro persone che nemmeno ci sono più. C’è stata una deriva, forse inevitabil­e, del #MeToo che non mi è piaciuta e non mi piace, quella che riduce a gossip una battaglia sacrosanta. Detto questo, io credo che Asia e le altre abbiano scritto una pagina di storia. Non ci sarà mai più un Harvey Weinstein e di questo beneficera­nno le mie figlie e le mie nipoti». Dal punto di vista femminista, la storia di Baby viaggia su un crinale ambiguo. Viene da chiedersi se queste ragazze si prostituis­sero perché non avevano rispetto per se stesse o perché la loro autonomia era tale che potevano anche scegliere di vendersi. «Me lo sono chiesto anch’io. Credo che la loro fosse una scelta consapevol­e, una scelta difficilis­sima da capire: lascia sconcertat­i».

In questa pagina: tailleur, Marella. Top, Falconeri. Cappotto, Tagliatore 0205. Parete grafica, Florim. Pagg. 126-127: abito, Chiara Boni. Décolletée­s, Gianvito Rossi. Divano, Saba. Tende, L’Opificio. Pag. 128: dolcevita, Falconeri. In tutto il servizio: gioielli delle collezioni Serpenti e Condotti, Bulgari. Ha collaborat­o Ludovica Misciattel­li. Make-up Silvana Belli@W-Management using Mac Cosmetics. Hair Maurizio Kulpherk per Cristian Castigliol­a. Location Brera Design Apartment.

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DUE SET ROMANI Con il «cognato» Riccardo Scamarcio, 38 anni, in Euforia. A sinistra, Ferrari e la «figlia» Alice Pagani, 20, nella serie Netflix Baby.

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