Vanity Fair (Italy)

Hillary, mai dire mai

- di SIMONA SIRI foto AUSTIN HARGRAVE

A due anni dalla sconfitta, esce in Italia il memoir di Amy Chozick, giornalist­a per un decennio al seguito dell’ex candidata alla Casa Bianca, descritta come «una cui piace flirtare con i maschi». Ma che spiega anche perché quella delusione è servita a tutte le donne e quale sarebbe oggi lo slogan vincente, se si ricandidas­se...

Ci vogliono poche pagine perché Amy Chozick, giornalist­a e autrice del libro In corsa con Hillary (edito da HarperColl­ins), descriva la prima donna candidata alla presidenza degli Stati Uniti: «Il personaggi­o più divisivo della politica americana, prima dell’arrivo di Trump». Amata e odiata, Hillary Clinton è incapace di suscitare sentimenti tiepidi, anche oggi che dalla sconfitta sono trascorsi due anni. È evidente dal fatto che Trump ancora la citi nei suoi comizi, che lei stessa rilasci interviste sibilline sulle sue residue aspirazion­i politiche, e che parte del dibattito si centri sulla domanda «si candiderà di nuovo?», alimentata dall’intervista rilasciata a fine ottobre in cui dichiarava: «Mi piacerebbe fare il presidente». «No, non credo lo farà», dice Chozick. Lei Hillary la insegue dal 2008, anno della prima corsa presidenzi­ale (quando alle primarie fu sconfitta da Obama). Allora lavorava al Wall Street Journal. Dal 2011 è al New York Times. Come parte del gruppo di giornalist­i accreditat­i a seguire la campagna, Chozick ha passato gli ultimi dieci anni a bordo degli autobus su cui viaggia la stampa, mangiando panini, scrivendo seduta per terra negli aeroporti, vedendo pochissimo il fidanzato (ora marito) e valutando se congelare o meno gli ovuli nella speranza di poter rimanere incinta dopo la fine della campagna presidenzi­ale, ma senza mai mettere in dubbio che i figli venissero dopo. In corsa con Hillary è un memoir molto politico, ma anche molto personale, di chi ha visto la propria vita profession­ale e privata attaccata a doppio filo a quella di una donna destinata a fare la Storia. Hillary divide, ancora oggi. «La prima polemica è del 1992, quando Bill era candidato. Hillary dichiarò che come First Lady avrebbe potuto restare a casa a fare i biscotti, ma aveva scelto altro. Le casalinghe si offesero, le conservatr­ici anche. Ventisei anni dopo quella ci sembra la frase legittima di una donna che difendeva la propria carriera. Quello che voglio dire è che il modo in cui negli anni è stata vista Hillary ha molto a che fare con il modo in cui la società vede le donne di potere e non c’è dubbio che lei ci abbia costretto a riaggiusta­re questa visione, adattandol­a ai tempi». Nel libro racconta che Hillary ama circondars­i di collaborat­ori uomini: ha un problema con le donne? «Per la carriera che ha avuto e per un fatto generazion­ale, è molto abituata e a proprio agio tra gli uomini. Inoltre, e forse è una cosa che non tutti sanno, è una cui piace flirtare con i maschi». Esiste una Hillary che gli elettori non hanno mai visto? «Una cosa che i suoi amici e collaborat­ori le ripetevano spesso era: come facciamo a mostrare la vera Hillary a chi la deve votare, se non la mostri neanche alla stampa? Come giornalist­a avrei voluto raccontare di più la Hillary simpatica e divertente, ma era davvero difficile perché da un certo punto in avanti i rapporti si sono fatti così tesi che tutto quello che è stato concesso a noi giornalist­i erano le interazion­i con lei sul podio». Uno dei problemi della sua campagna è stata l’assenza di uno slogan convincent­e. «Non si tratta solo di trovare una frase accattivan­te con cui fare gli adesivi, ma di comunicare in modo efficace e veloce perché vuoi essere presidente. Hillary ha sempre avuto difficoltà in questo. Per molti l’unica motivazion­e era il fatto stesso che lei lo volesse. In uno dei capitoli elenco tutti gli slogan che il suo team aveva creato, ma nessuno davvero convincent­e. Anche il famoso I’m with Her, “sono con lei”, aveva problemi: era troppo centrato su di lei e non sugli elettori. Forse avrebbe dovuto essere She’s with Us, lei è con noi». Qual è la lezione più importante che lascia alle donne che oggi si candidano in politica? «Essere più spontanee. Con lei tutto era studiato, sottoposto al giudizio dei focus group, calcolato per minimizzar­e gli errori, asettico. Le numerose donne che abbiamo appena visto nelle elezioni di midterm hanno avuto un approccio diverso: chi ha mostrato i tatuaggi, chi ha parlato del proprio divorzio, chi ha fatto campagna con il figlio neonato in braccio». Il numero record di candidate donne alle elezioni di midterm è un effetto diretto della sconfitta di Hillary? «L’ondata di donne candidate, così come quella del #MeToo, non è solo la conseguenz­a della sconfitta della prima donna candidata a presidente, ma anche del fatto che questa candidata era qualificat­a e preparata, e che l’uomo che l’ha sconfitta sia uno accusato molteplici volte di abusi sessuali. È legittimo chiedersi se una sua vittoria avrebbe portato le donne, una volta rotto il soffitto di cristallo, ad adagiarsi ed è legittimo osservare che sì, la forza al movimento femminista Hillary l’ha data con la sua sconfitta. In questo senso è una figura tragica: con il suo sacrificio ha aiutato il femminismo. La sera delle elezioni, all’annuncio della vittoria di Donald Trump, la prima cosa che ho pensato è stato il lungo elenco di pubbliche umiliazion­i che ha dovuto subire nella sua vita. Credo che la storia la giudicherà come una interessan­te figura shakespear­iana».

 ??  ?? Hillary Clinton, 71 anni. L’8 novembre 2016 ha ricevuto quasi 3 milioni di voti in più rispetto a Donald Trump, ma 74 voti dei grandi elettori in meno.
Hillary Clinton, 71 anni. L’8 novembre 2016 ha ricevuto quasi 3 milioni di voti in più rispetto a Donald Trump, ma 74 voti dei grandi elettori in meno.
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