Quando una mamma BATTE IL DRAGO
Al cinema, Pina Turco è una donna dura, in un mondo difficile dove la miseria fa vendere i bambini. Un film faticoso da interpretare. Un po’ perché il marito le ha mandato di traverso i calamari. E un po’ per colpa di un carattere inquieto e mai domo
EÈ a casa, in «quieto relax», perché Giorgio «è andato al parchetto con gli amici piccolini». Pina Turco, 34 anni, da un anno e mezzo è la mamma di Giorgio. L’ha avuto con il marito, il regista Edoardo De Angelis. Oltre che una coppia nella vita, i due lo sono adesso nel lavoro: il 22 novembre esce al cinema Il vizio della speranza, diretto da lui, con lei protagonista. Il film, che ha vinto il premio del pubblico alla Festa del Cinema di Roma, è una storia di bambini venduti sulla foce del fiume Volturno, madri immigrate e disperate, e una donna che traghetta questi traffici. Ma poi quella donna, Maria, scoprirà di non aver perduto quello che Scerbanenco definiva appunto il «vizio della speranza». Parliamo allora di bambini: con chi è in questo momento suo figlio? «Con la tata, quando invece ci spostiamo più a lungo sta con la mamma di Edoardo, senza di lei sarei una donna finita». Lei non ha la mamma? «L’ho persa a 17 anni, mi manca tantissimo, anche se ormai è una cosa con cui convivo da tanto tempo, è radicata in me. Era una donna senza fronzoli, e credeva in questo mio futuro. Ma io prima ho fatto l’università, Antropologia culturale: come capita spesso alle ragazze del Sud, pensavo di dover trovare un posto “normale”».
Che lavoro si immaginava? «Forse l’insegnante. Invece dopo la laurea ho fatto l’assistente sociale, ho seguito un ragazzino autistico, uno down, una indiana disabile, un’altra bambina con un disturbo schizofrenico...». Ci vuole vocazione per fare questo mestiere. «Ti stimola la sensibilità. Ma – non avendo io mai fatto scuole di recitazione – da questi ragazzini ho preso tanto per il mio lavoro: hanno una istintività molto forte, con loro crei una empatia extralinguistica, devi “essere”, non parlare. Questo lavoro ti dà una immediatezza nella comprensione dell’essere umano, ti provoca una reazione quasi animale che ti dà la chiave per capirli». Per capire i personaggi sofferenti, oppure tutti? «Anche il personaggio più felice parte da un dolore: tutti hanno un proprio dolore di partenza. E tu lo devi rispettare, mescolarlo con il tuo». Quale dolore avete condiviso lei e la Maria del Vizio della speranza? «Quando abbiamo girato avevo appena finito di allattare, era un momento molto delicato. Ho avuto un baby blues pazzesco e il lavoro mi ha aiutato». Suo marito le è stato vicino? «Stare con un artista come Edoardo ha tante cose bellissime, ma c’è un prezzo da pagare: il fatto che spesso lui era via con il pensiero, concentrato su ciò che faceva». Perché avete scelto il nome Giorgio? «Il nostro primo appuntamento è stato il 23 aprile, San Giorgio. E il 23 aprile dell’anno seguente ci siamo sposati. Poi Giorgio è un santo bellissimo: abbatte il drago, si batte per i poveri, molto cool...». Lei ed Edoardo per il primo appuntamento avete scelto proprio le zone in cui è stato girato il film, posti degradati con una popolazione disperata: perché? «Siamo andati sulla darsena, un posto puzzolentissimo dove però c’è un ristorante che amiamo molto, anche se sa di fogna. Poi volevamo vedere il tramonto sul litorale Domizio, che è meraviglioso. Dopo, siamo andati a ballare in un locale di rumeni molto hardcore dove si fa il karaoke rumeno: il locale è pieno di prostitute e muratori che bevono la qualunque, prendono una banconota, la buttano sulla fronte del cantante e gli chiedono la canzone. Mi sono molto divertita e abbiamo ballato come due pazzi». Come vi siete conosciuti? «Nel 2016 ho vinto un David di Donatello come sceneggiatrice del corto Bellissima. Quando Edoardo, che non mi conosceva, l’ha saputo, mi ha chiamato perché credeva fossi una sceneggiatrice e cercava storie». Quindi lui che è napoletano è l’unico napoletano che non l’ha vista in Un posto al sole. «Già. Quella soap è magica: quando la facevo, mi fermavano gli ex carcerati dicendomi che a Poggioreale tutti la guardavano e poi, pochi metri più in là, incontravo un professore dell’Orientale: “L’ho vista in Un posto al sole, meravigliosa!”. Dagli intellettuali ai criminali: tutti entusiasti». Tornando al film: lei di solito vede rosa? «La speranza è il seme di ogni rivoluzione: è attraverso la speranza che passi all’azione e cambi la tua vita rendendo questo posto un mondo migliore». È molto combattiva? «Sì, ma il primo combattimento lo faccio con me stessa perché ho demoni molto grossi, sono anarchica e cocciuta, manichea. Ho avuto una vita molto poco solida, perciò sono sempre alla ricerca della solidità, mi piace avere convinzioni molto forti, la fragilità mi terrifica, mi dà un senso di vuoto». Ma che tipo di mamma è? «Quella è l’unica relazione in cui sono molto brava a non cedere a malumori: se c’è qualcuno che devo inguaiare, sono io, non lui». Invece, la relazione con suo marito... «Mi tiene in trincea. Una trincea d’amore». Battagliera comunque, se è vero che lui le aveva detto di non essere sicuro che lei fosse in grado di entrare nel personaggio del film. «Una sera eravamo a Castel Volturno a cena, prima di iniziare le riprese, e mentre mangiavamo i calamari Edoardo mi chiede di fargli sentire le battute di una scena. Ma lasciami mangiare in pace!, gli rispondo. Si è incavolato tantissimo, ha iniziato a sbraitare che io non ero concentrata sulla storia. Io ero basita, e da allora per tutto il film non sono più andata a cena con lui: ero terrorizzata che mentre mangiavo il pane potesse chiedermi di recitargli una scena». Davanti al dolore, come quello del film, lei ed Edoardo avete lo stesso sguardo? «Io sono più asciutta, non tratto le cose con compassione. Penso anche che potrebbe capitare pure a me. A lui invece il dolore entra dentro, è più tenero». Le è capitato di conoscere donne coinvolte nell’«acquisto» di bambini? «Ne conosco diverse a Castel Volturno. Non le giudico: hanno fatto adozioni “caserecce”, in cui magari i bambini frequentano ogni tanto la mamma biologica. Spesso la donna “affida” il figlio a famiglie che stanno meglio e che gli possono far vivere una vita migliore. Una di queste mamme, che aveva il bambino di una prostituta, mi diceva: “Questo figlio di colore lo sento più mio di tutti, perché gli altri sono miei e non gli succede niente, questo se me lo levano non so come fare, è più indifeso». Presto la vedremo nella serie di Ivan Cotroneo, La compagnia del cigno: che parte ha? «Si vedrà in Rai, non so bene quando, non sono aggiornata: non ho la tv. Io sono una trans, trans Rai intendiamoci, bellina e borghesina. Un personaggio che fa ridere. È stato il miele sulla ferita, dopo questo film così pesante mi ci voleva una botta di frivolezza». L’hanno travestita per diventare una trans? «No! Sono molto più io vestita da trans e truccata che nel Vizio della speranza, dove Edoardo mi ha lasciato senza trucco, e io mi vedo un mostro, con ’ste sopracciglione che sembro Caccamo, le unghie sempre tutte nere. A me invece piace essere pasticciata, lo so che è da tamarra ma l’apparecchiamento mi piace».