Robin Hood dimmi grazie
«Le donne irlandesi non si fanno mettere i piedi in testa e sono sempre un po’ più avanti degli uomini». Parola di una ragazza tosta che a diciott’anni ha lasciato Dublino (la città del papà Bono) per New York ed è diventata attrice: ora interpreta Lady Marian, la battagliera compagna dell’eroe di Sherwood
Un paio di occhi meravigliosi, blu intenso («ereditati da papà», dirà più tardi la proprietaria), l’unico dettaglio di un viso nascosto sotto un velo. È la prima scena di Robin Hood - L’origine della leggenda e se pensate sia insolita, è perché questa edizione del principe dei ladri più famoso del cinema – esistono innumerevoli versioni, da Errol Flynn a Kevin Costner, passando per Mel Brooks – ha in effetti elementi nuovi. Un po’ è una romantica favola d’amore alla Giulietta e Romeo, un po’ è una storia di amicizia alla Tre Moschettieri, un po’ è una vicenda che tocca argomenti attuali come la diseguaglianza e la rabbia sociale. Soprattutto, è una versione della leggenda in cui l’unica femmina della combriccola, Lady Marian, solitamente relegata a un ruolo marginale, diventa protagonista, portatrice di istanze rivoluzionarie come e forse addirittura più dello stesso Robin. Come si dice in questi casi: una tosta, concreta, per nulla svenevole. A interpretarla il regista Otto Bathurst (un Bafta vinto per
«È IMPOSSIBILE RIMANERE INDIFFERENTI A QUANTO SUCCEDE NELLA SOCIETÀ: SI LOTTA PER L’OGGI, MA ANCHE PER LE GENERAZIONI FUTURE»
la serie tv Peaky Blinders) ha scelto Eve Hewson. Ventisette anni, irlandese doc, è la secondogenita di Bono Vox, dopo la primogenita Jordan e prima dei due maschi, Elijah e John, tutti avuti da Ali, che come ogni fan degli U2 sa è l’amore di Bono da sempre, da quando si conobbero quindicenni. Cresciuta lontano dai riflettori, Eve a 18 anni si è trasferita a New York con il sogno di fare l’attrice. Nel suo curriculum ci sono già l’esperienza con Steven Soderbergh per The Knick, la serie tv del 2014 con Clive Owen nei panni di un medico cocainomane agli inizi del Novecento (lei era l’infermiera Lucy), Il ponte delle spie di Steven Spielberg, dove interpretava la figlia del protagonista Tom Hanks, e il debutto in This Must Be the Place, dove era la figlia di Sean Penn. Robin Hood – L’origine della leggenda è il suo ruolo cinematografico più importante, quello che le dà l’occasione di risplendere, anche grazie a un cast notevole: Taron Egerton nei panni del protagonista senza calzamaglia, ma con cappuccio da rapper, Jamie Foxx in quelli dell’amico Little John e Jamie Dornan è il politico Will Scarlet, l’uomo con cui Marian ha una relazione durante i quattro anni di assenza di Robin, quando lei lo crede morto.
Marian è davvero al centro della storia. Si può dire che senza di lei non ci sarebbe Robin Hood? «Dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna, no? Robin è insicuro, non sa chi vuole essere, è spaventato perché non sa se riuscirà a realizzare tutte le sue potenzialità, sono John e Marian che gli indicano la via della grandezza. Di lei mi piace che non è solo la ragazza carina della storia, ma è un personaggio complesso ma integro, testarda ma con il cuore grande, così intelligente da capire che in quanto donna ci sono dei limiti alle cose che può ottenere e quindi usa gli uomini per arrivare dove lei non può». È anche politicamente molto appassionata, vuole combattere l’ingiustizia sociale. Condivide questa passione? «Assolutamente. Al giorno d’oggi è impossibile rimanere indifferenti o non avere risposte emotive di fronte a quello che succede nella società. In noi donne poi penso ci sia anche un approccio materno alla questione: non si lotta solo per l’oggi, ma anche per le generazioni future. È per questo che sono orgogliosa di Marian: è un ottimo esempio per le ragazze più giovani, non la solita fidanzatina del supereroe». A 18 anni ha lasciato Dublino ed è andata a studiare a New York. Come è stato l’impatto con le diseguaglianze estreme che ci sono negli Stati Uniti? «È stato interessante. Prenda la questione razziale: in Irlanda non esiste, mentre in America è una conversazione aperta, con una parte della società che lotta davvero per raggiungere l’uguaglianza. Venire qui a 18 anni è stato uno shock culturale che però mi ha resa consapevole di problematiche che forse avrei continuato a ignorare se fossi rimasta a casa: mi ha aperto gli occhi, mi ha aiutato a crescere e a formare la mia voce, le mie opinioni». Che ruolo ha avuto la sua famiglia nel sensibilizzarla alle questioni sociali? «Fa parte del nostro patrimonio genetico, l’abbiamo nel Dna». Qual è la caratteristica più irlandese della sua personalità? «Le donne irlandesi non si fanno mai mettere i piedi in testa e sono sempre un po’ più intelligenti e avanti degli uomini, proprio come Marian». Come mai ha scelto di vivere a New York e non a Los Angeles? «Sono più vicina a casa, meno ore di volo. E poi a New York c’è una comunità irlandese molto più ampia». Per molti, la musica di suo padre è stata uno degli elementi formativi dell’adolescenza. Quali sono stati i suoi? «I film di Steven Spielberg e quelli di Julia Roberts. E poi Lady Gaga: la trovo un’artista vera, ha studiato piano classico e danza, non è soltanto una pop star. Per combinazione abbiamo anche frequentato lo stesso college, io sento che c’è una strana connessione tra noi due».