Solo gli idioti non cambiano idea
Da quando è nata sua figlia, quattro anni fa, Francesco Mandelli ha cambiato prospettiva. Dopo il successo dei Soliti idioti e una lunga pausa, ecco la regia di due film, uno spettacolo e soprattutto un libro. Che l’ha tolto dal (suo) centro dell’univer
Per quasi vent’anni Francesco Mandelli è stato un formidabile creatore di maschere italiane, dal «Nongiovane» alla lunga avventura dei Soliti idioti. Non che abbia proprio smesso: su Instagram si vede che si sta dedicando a quella miniera per caratteristi che è la musica trap. A quasi quarant’anni, però, Mandelli ha deciso che una carriera di sole maschere non gli bastava più, così ha inchiodato ed è ripartito su basi nuove. Ha diretto un film, Bene ma non benissimo, presentato alla Festa del Cinema di Roma, delicata storia di bullismo e adolescenza. Ne sta dirigendo un altro (Appena un minuto, esce nel 2019), è a teatro con un testo di Will Eno e ha scritto un romanzo ispirato al fatto che quattro anni fa è diventato papà di Giovanna, grande detonatore di tutti questi cambiamenti. Il libro si intitola Mia figlia è un’astronave, non parla della vita di Francesco («Non è così interessante», dice) ma contiene tutta l’ondata di emozioni che arrivano a un uomo quando diventa padre.
Ha scritto che il libro è la cosa di cui va professionalmente più fiero di tutta la carriera. «Per una volta, mi sono fatto veramente il culo. Io non sono mai soddisfatto al 100%, ma in questo libro ci sono tante cose di cui vado fiero e ho trovato il modo di raccontarle nella maniera giusta. Viene fuori qualcosa di me che la gente non è abituata a vedere». Quello che non è costretto a far ridere a ogni costo? «Il libro fa ridere, ma ci sono cose che sono e mi fa schifo usare questa parola mature, che vengono da una persona che ha costruito una famiglia, che ha un bagaglio di vita per scrivere qualcosa di profondo: mi sento completo. Di solito ho pudore a far vedere le mie cose, non sto mai in sala, mi fa ribrezzo quello che faccio, ma ora sono contento. Poi magari non lo leggerà nessuno...». Quanta fatica le è costata questo passaggio? «Molta. Abbiamo deciso di non fare più I soliti idioti perché ci eravamo spremuti troppo. Improvvisamente le cose non funzionavano. Da un lato, dopo un successo così cambiano le priorità, diventa importante fare qualcosa di cui andare davvero fieri. Dall’altro, sono rimasto a casa tre anni. L’anno scorso facevo solo Quelli che il calcio, perché non avevo niente da dire. Ho scritto roba che ho buttato, ho provato a fare progetti che non hanno funzionato...». È arrivato il panico? «No, perché è normale. Non esiste una carriera sempre sulla cresta dell’onda. Sono stati anni complicati, ma è stato bello vivere quella complicazione. Stavo lì e mi dicevo: “Minchia, non arriva niente...”, a settembre non sapevo proprio cosa fare. Poi mi hanno proposto il libro, il film, lo spettacolo, il secondo film». Cosa non le piaceva più della fase precedente della sua carriera? «Non ero più quella persona lì. Ho fatto provini per altri ruoli e lo dico senza vergogna: non mi hanno preso. Erano cose meno alla Soliti idioti, niente Cinepanettoni, ho detto basta alla roba da ragazzino, come sono stato considerato fino ad allora. In Italia c’è un’età indefinita tra i 20 e i 35 anni in cui non c’è nessuna differenza, sei sempre un ragazzo. Ho provato a seguire una strada più da uomo. Oddio, che parola brutta...». Non per forza. Come è passato alla regia? «Avevo fatto la scuola di cinema nel 2004, pensavo sarebbe servita per la carriera da attore. Avevo co-diretto un film con Fabrizio (Biggio, socio nei Soliti idioti, ndr). Quando è arrivata la proposta, ho pensato che mi avrebbe tolto dalla zona di comfort. Ora preferisco centomila volte fare il regista a fare l’attore». Autori del cuore? «Monicelli, Woody Allen, Nanni Moretti, Wes Anderson, Verdone». Tutti alle prese con il grande enigma della leggerezza. «È esattamente il senso di tutto per me, raccontare le cose con una leggerezza che sia l’antitesi della pesantezza, non della profondità». È questo che ha visto in lei chi le ha proposto di girare un film? «C’è una spiegazione razionale. Bene ma non benissimo è una commedia, per la mia storia hanno pensato che sarei stato a mio agio in questo linguaggio, al quale ho aggiunto una nota di delicatezza. Il film racconta la storia di una ragazzina e avendo una figlia ho vissuto la storia con trasporto diverso. Poi c’è una spiegazione meno razionale. È banale, ma io sono una persona banale: se vuoi qualcosa, te lo attiri. Io volevo un cambiamento, l’ho cercato, è arrivato». La paternità cambia tutti: lei cosa ha scoperto di sé? «Essendo un egocentrico narcisista, mi sono svegliato per tutta la vita pensando a me. Giovanna mi ha tolto dal centro dell’universo. E poi penso molto alla morte. Prima la tua morte riguarda solo te, sei libero di morire quando ti pare. Quando diventi padre, non più. E questo ha segnato la fine della mia lunghissima adolescenza, che è andata dai 15 ai 35 anni». A quattro anni si svela già il carattere... «È espansiva, si fida della gente. È entrata nella fase dei travestimenti, che è stata essenziale anche nella mia vita. Ogni giorno tornavo da scuola e mi travestivo da qualcosa. Lei si sveglia la mattina, si mette il costume di Frozen e sceglie il personaggio per me». L’anno prossimo compie 40 anni. «Mi fa un effetto strano. Non mi sono proprio accorto di essere arrivato a quarant’anni».