Peccare è un’arte
È stato uno dei più grandi scrittori americani di racconti. Esce una nuova raccolta di ANDRE DUBUS, tutto da riscoprire
Nato nel ’36 e morto nel ’99, Andre Dubus appartiene alla schiera dei grandi scrittori di racconti americani, come Carver e Cheever, pur avendo goduto di minore successo (in Italia Mattioli 1885, sotto l’attenta cura di Nicola Manuppelli, sta ripubblicando tutte le sue opere). Dopo l’esordio con un romanzo, capì d’essere fatto soprattutto per la forma breve e pubblicò una prima raccolta. In questa seconda pubblicata nel 1977, dal titolo meraviglioso, Adulterio e altre scelte (pagg. 244, € 16), attinse all’infanzia nella prima parte, alla giovinezza nella seconda e alla maturità nella terza. In alcuni casi si sente, fortissima, l’ispirazione autobiografica, ma mai banale o narcisista, semmai sofferta, rielaborata fino a diventare emblematica. Scrittore sopraffino, sapeva raccontare storie senza perdere di vista lo stile e sapeva trovare accenti lirici senza essere pretenzioso. «Scrivo con Cechov sulla spalla», diceva, e infatti era in grado di comprimere cento pagine fino a farle diventare sette. Diceva di amare i racconti perché rispecchiavano il modo in cui viviamo. «I racconti sono quello che ci raccontano gli amici, in preda al dolore o alla gioia, alla passione o alla rabbia». E come viviamo allora? Viviamo nel terrore dei nostri genitori, cercando di capire che cosa volevano da noi e da sé stessi nel momento in cui ci hanno messo al mondo. Viviamo nel timore dei compagni di classe e dei loro umori instabili. Viviamo scegliendo le carriere sbagliate, come quella militare che lui effettivamente abbandonò per scrivere dopo essere diventato capitano. Infine viviamo tradendo e venendo traditi dalle donne o dagli uomini che abbiamo scelto per la vita. C’è un momento emblematico in questa raccolta. Una ragazza obesa sceglie un istituto femminile insieme ai genitori che cercano di ignorare il problema dell’attenzione maschile: «Tutti avevano evitato nel modo più accurato possibile la parola “ragazzi”, tanto che, in certi momenti, era sembrato che la loro conversazione non riguardasse nient’altro, appunto, che i ragazzi». Viviamo accanto ai fantasmi della paura e dell’accettazione e dell’ambizione e del desiderio: sono lì. Di formazione cattolica, Dubus una volta disse che senza peccato non ci sarebbe arte. I suoi personaggi peccano, lui faceva arte.