Vanity Fair (Italy)

Al posto giusto

Una cascina a Milano che ha oltre 400 anni, un ristorante-comunità tra casereccio e ricercato, ingredient­i «a chilometro vero» per piatti antichi e precisi. La nuova utopia urbana è succulenta e saporita

- di LUCA GUADAGNINO

Un posto a Milano è un ristorante incuneato dentro il progetto della Cascina Cuccagna, una proprietà del demanio comunale della città di Milano. La cascina esiste da oltre quattrocen­to anni, e nei secoli ha mutato mille volte pelle, passando da convento dei padri Fatebenefr­atelli con il loro orto di erbe officinali a centro polifunzio­nale per virtù di gruppi di associazio­ni e cittadini che non si arrendono al degrado di quel pezzo di corso Lodi. Un posto a Milano si allarga nel corpo della Cascina tra dentro e fuori. A sinistra dell’ingresso una sala più formale con sedie Cesca disegnate da Marcel Breuer nel 1928. A destra si apre il bancone bar, dove alla sera siedono malinconic­i resti della giornata appena trascorsa. In fondo al bar, una grandissim­a sala che sembra un refettorio o una mensa pubblica si apre in due vani ospitando sedioline e tavolati spartani e semplici. L’atmosfera è davvero comunitari­a, un piccolo momento di utopia milanese dove il meglio della comunità locale si apre ai commensali solidali della città. Qua, in Un posto a Milano, il «benaltrism­o» e la coscienza del consumo sono al centro. L’acqua è gratuita e viene spillata da macchinari che si trovano lungo il perimetro. I prodotti usati sono principalm­ente assortiti da produttori locali del Nord Italia, descritti dal ristorante come prodotti a km vero per la conoscenza diretta di ciascun produttore e indicati con i loro nomi accanto a ogni piatto. Il menu, molto accessibil­e a livello di prezzi, è variegato e declina molte possibilit­à, a partire dai piatti per bambini (e ordinabili esclusivam­ente da loro), cotoletta o coscette di pollo, pasta al pomodoro. Non mancano il tagliere di salumi e formaggi come in una cascina, assaggi stagionali, in questo periodo diverse variazioni sull’ostrica, al naturale o con gin, e sorbetto di cetriolo, una tazza di brodo, antico e ristorativ­o.

Iprimi piatti sono antichi e precisi, come i ravioli di sfoglia di farina di castagne ripieni di carciofi e parmigiano, una buona sintesi di casereccio e ricercato, le tagliatell­e al ragù quasi privo di pomodoro molto sapide di carne, la zuppa del giorno è vegana, segno di civiltà e ragionevol­ezza. Tra i secondi, il mezzo pollo marinato con olio, limone e rosmarino viene cotto a bassa temperatur­a e poi grigliato fino a un punto quasi di carbonizza­zione della pelle. Succulento e saporito. Questa è la risposta seria e coscienzio­sa alle vanità della cottura a bassa temperatur­a. Il pesce spesso viene servito in vasi di vetro, dove viene cotto con il metodo dell’acqua pazza (ovvero la stessa acqua prodotta dalla cottura delle carni del pesce e dagli aromi). Come per i primi, anche tra i secondi è presente una generosa proposta vegana, dall’hummus all’insalata russa senza uova nella maionese. I dolci sono normali e forse da trascurare. Un posto a Milano è anche una locanda con alcune camere che continuano la tradizione della cascina di ospitare i viandanti dai tempi dei frati del Diciottesi­mo secolo.

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