LE STORIE SIAMO NOI
Il 24 e il 25 novembre, a Milano, è andato in scena il primo grande festival di Vanity Fair. Tra ospiti d’eccezione, amici, musica, emozioni, intrattenimento. E una missione: raccontare. Perché non c’è diversità che non rappresenti un valore
L’alba del giorno prima è uno srotolare di tappeti, un camminare nervoso per le sale dell’Anteo di Milano, un’aspirazione virtuosa e frenetica al controllo di ciò che non si può controllare. Il Vanity Fair Stories sta per iniziare, ma non c’è uno che possa davvero prevedere con certezza, al netto di un’organizzazione capillare, come andrà davvero. A palco smontato e ospiti partiti, dopo 48 ore di incontri, confessioni, note e applausi, senza trionfalismi inutili, possiamo dire che si è trattato di uno spettacolo memorabile e che nell’osmosi tra ospiti e pubblico, parole e musica, commozione e ricordo, umorismo
e riflessione, i due giorni sui quali la redazione di Vanity Fair, dalla segreteria all’ufficio grafico, ha gettato per settimane il cuore oltre l’ostacolo, hanno rappresentato un evento molto riuscito. A Milano per Vanity Fair è arrivato un bastimento pieno di fantasia. La voce di Elisa, le avventure di Fabio Volo, le freddure di Paolo Sorrentino, i sogni di Terry Gilliam, la passione di Alessandro Borghi, il talento di Valeria Golino, le memorie esilaranti e malinconiche di Carlo Verdone, il fuoco di Rosario Fiorello, la libertà dialettica di Valeria Bruni Tedeschi, la scrittura come salvezza incarnata da Peter Cameron, Daria Bignardi e Massimo Gramellini, l’ironia di Mariacarla Boscono e la simpatia di Cristiana Capotondi, Paolo Genovese, Chiara Francini, Marco Giallini e Stefano Sollima. Decine di incontri affollatissimi per ascoltare Alba Rohrwacher e Saverio Costanzo, Andrea Pirlo e Alessandro Del Piero, Mika e Francesco Piccolo. Consessi utili a sorridere con The Jackal o Geppi Cucciari o commuoversi ascoltando il ricordo di Ugo Tognazzi per mano della figlia Maria Sole. Tante lingue, dal napoletano di Marco D’Amore e Fortunato Cerlino all’Italia che guarda oltre frontiera con Francesco Vezzoli,
Alessandro Roja e Luca Guadagnino. Lo rifaremo perché ascoltare storie, in un’epoca liquida, aiuta a tramandarle e a fissare una parte di noi. Ad àncorarla al presente e a proiettarla nel futuro. Lo rifaremo perché ci siamo divertiti ed emozionati. Perché si è trattato questa volta come mai di un lavoro collettivo che ha esaltato le individualità di ciascuno. Perché la storia siamo noi e mai come questa volta, tra pubblico, giornalisti e lettori – oltre ventimila persone sono passate dall’Anteo tra sabato 24 e domenica 25 novembre – nessuno si è sentito escluso. L’obiettivo del Vanity Fair Stories era proprio questo: includere chi si fosse affacciato animato dalla curiosità nel flusso di un racconto unico e dissimile da tutti gli altri. Non esiste diversità che non rappresenti un valore, non esiste narrazione che non valga la pena di essere ascoltata. Appuntamento all’anno prossimo. Per altre storie, sotto il segno di Vanity Fair.
«IN UN’EPOCA LIQUIDA, ASCOLTARE STORIE AIUTA A FISSARE UNA PARTE DI NOI»