«FACCIAMO I FILM CHE NOI STESSI ANDREMMO A VEDERE. Senza illuderci
di riuscire a pronosticare a quante persone piaceranno. Un bilancio? È molto più divertente di quanto immaginassi»
Non solo recitazione. L’impresa che negli ultimi tempi coinvolge l’attore sempre più è la produzione. Grazie alla quale ha già vinto tre Oscar al miglior film (altri se ne annunciano per l’edizione 2019, in febbraio). Niente paura, però. Al cinema continueremo a vederlo. E sarà il protagonista del titolo più atteso della prossima stagione
I I capelli un po’ più lunghi e più biondi del solito sono così per esigenze di copione, come si usa dire. E il copione è quello di Once Upon a Time in Hollywood di Quentin Tarantino, ambientato nella Los Angeles di fine anni Sessanta. Sullo sfondo c’è anche la vicenda di Charles Manson, l’uomo che uccise la moglie di Roman Polanski, l’attrice Sharon Tate, qui interpretata da Margot Robbie. Ma i veri protagonisti sono Brad Pitt e Leonardo DiCaprio, per la prima volta insieme in un film. DiCaprio è un attore di western in crisi che sta meditando di trasferirsi in Italia per cogliere il momento d’oro degli spaghetti western, Pitt il suo storico stuntman. Once Upon a Time in Hollywood, con questo titolo evidentemente in omaggio a Sergio Leone, dovrebbe essere presentato al prossimo Festival di Cannes e uscire nell’estate del 2019. Capite bene che si tratta dell’evento cinematografico più atteso del prossimo anno. Brad, che ho incontrato a Pechino in occasione del lancio della campagna degli orologi Breitling di cui è testimonial, ha posto qualche condizione a questa intervista: il divorzio da Angelina Jolie e la questione legale dei bambini contesi sono argomenti proibiti, insieme ai dettagli sul film di Tarantino. Ma, molto volentieri, ricorda l’inizio della sua amicizia con il regista, con cui aveva già girato Bastardi senza gloria nel 2009. «Quentin e io siamo praticamente emersi insieme, all’inizio degli anni Novanta», racconta. «Lui con Le iene, io non ricordo bene con quale film, forse era il momento di Vento di passioni. Ma lo stimavo già da prima. Avevo partecipato, in un piccolo ruolo, a Una vita al massimo, un film di Tony Scott, tratto da uno spec script di Quentin. Gli spec script sono delle specie di sceneggiature di prova che i giovani scrittori sottopongono ad agenti e studios per dimostrare di essere capaci di fare qualcosa. La cosa incredibile di Quentin è che già allora si capiva che la sua è una voce unica. Infatti, oggi, nel linguaggio degli addetti ai lavori, basta dire un film di Tarantino o anche un film à la Tarantino per capire di che cosa si tratta». Da quasi vent’anni Brad Pitt non è solo un attore diretto da altri. È uno dei migliori e più fortunati produttori di cinema di qualità a Hollywood. La sua società, Plan B Entertainment, fondata nel 2001 assieme all’allora moglie Jennifer Aniston (poi lei è uscita dalla società) e all’amico Brad Grey, ha già vinto tre Oscar come miglior film: The Departed, 12 anni schiavo e Moonlight. E quest’anno, in attesa delle nomination ai prossimi Academy Awards, ci sono già almeno altri tre titoli di cui si parla un gran bene e che potrebbero essere in corsa di nuovo: Se la strada potesse parlare, sempre di Barry Jenkins, il regista di Moonlight; Vice - L’uomo nell’ombra, il film su Dick Cheney con Christian Bale, e Beautiful Boy con Timothée Chalamet. Mai film facili, c’è una vocazione precisa per il cinema d’autore e gli argomenti complessi, poco commerciali. «Io dico sempre che Plan B è iniziata come una garage band, una band di musicisti dilettanti, e che per fortuna conserva ancora lo stesso spirito», racconta con un gran sorriso. «Sosteniamo i registi che ci piacciono, le storie che ci piacciono e amiamo la
sfida, anche economica, di buttarci in progetti pure quando sono difficili da realizzare, anzi soprattutto quando lo sono! Facciamo i film che noi andremmo a vedere senza illuderci di essere in grado di pronosticare a quante altre persone piaceranno. Un bilancio? È stata ed è un’impresa che si è rivelata molto più proficua e molto più divertente di quanto io avessi mai immaginato». L’altra grande passione di Pitt è notoriamente l’architettura. «Notoriamente?», mi domanda guardandomi un po’ stupito. «È vero ma solo fino a un certo punto. Me lo chiedono sempre nelle interviste, ma non so chi abbia sparso la voce. Ammetto che mi piace osservare i lavori dei grandi architetti, da Frank Gehry a Rem Koolhaas. Un bel palazzo non è solo una scultura: dice anche molto di chi siamo, come viviamo, come interagiamo con gli altri. Ma non sono affatto un esperto, mi definisco un turista dell’architettura», conclude con un tono allegro, di chi vuol minimizzare la propria statura di star globale, di cui ci sembra di sapere tutto ma in verità non sappiamo nulla. Peter Lindbergh, autore della campagna Breitling e fotografo di Brad Pitt in molte occasioni da una quindicina d’anni, mi ha detto che Brad è rimasto uguale a se stesso nel tempo perché ha un rapporto molto chiaro e risolto con la sua immagine. E dev’essere vero perché quando gli chiedo se la popolarità planetaria gli pesi in qualche modo, ecco che Brad di nuovo scansa i paroloni e minimizza: «Le faccio un esempio. Non rivedo mai i miei film. Per esempio, Vento di passioni che nominavamo prima non l’ho mai più visto dopo che è uscito. Mi ricordo che fu una lavorazione dura e impegnativa ma se mi chiede una battuta del personaggio che ho interpretato, zero. Ogni volta che inizio un film mi ci immergo completamente. Mentre lo preparo e lo giro, studio a fondo tutto quello che c’è da sapere e ci sto dentro per tre o magari anche sei mesi. Ma, una volta finito, è come se lo cancellassi, per scriverci sopra il progetto successivo. Ogni tanto qualcuno mi cita una scena o una battuta aspettandosi una mia reazione ma raramente so che cosa dire». Eppure, in occasione delle ultime elezioni di Midterm americane, qualcosa da dire lo aveva. Insieme con Leonardo DiCaprio, forse proprio in diretta dal set del film di Tarantino, ha girato una specie di spot per invitare gli elettori ad andare ai seggi. «Perché lo abbiamo fatto? In America, è evidentissimo, uno strillo scritto al neon, il motivo per cui bisognava partecipare alle elezioni. E, più in generale, ogni volta che un cittadino vota ha l’opportunità di definire o ridefinire se stesso». Un attore impegnato, come si diceva una volta, un uomo di spettacolo che sente di avere responsabilità più alte? Altro sorriso, altro understatement: «Oh no, non credo proprio. Sono solo un uomo che cerca di essere il più possibile sincero e onesto, le uniche responsabilità le ho verso la mia famiglia, le persone a cui voglio bene e quelle con cui lavoro».