A Roma con un premio Oscar
Non parliamo dell’Italia: si chiama così uno dei quartieri più emergenti, affascinanti e in fermento di CITTË DEL MESSICO. Guarda caso è anche il titolo del nuovo film di Alfonso Cuarón, che ha vissuto qui da bambino negli anni Settanta: siamo andati alla scoperta, seguendo le strade dei ricordi del regista di Gravity
Nel buio incompiuto del crepuscolo, le automobili accendono i primi fari. Dalle gallerie d’arte si leva il chiacchiericcio dei vernissage, i locali si riempiono di clienti e musica. Ragazzi e ragazze sfrecciano da un punto all’altro in monopattini elettrici che si affittano con una app tipo car sharing. Siamo a Roma, non quella in Italia. «La Roma», qui si dice così, è un quartiere di Città del Messico ma è anche il titolo del film di Alfonso Cuarón che ha vinto il Leone d’oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia e che sarà su Netflix dal 14 dicembre. Roma racconta un periodo nella vita della famiglia del regista messicano che negli anni Settanta abitava proprio qui, poco lontano dall’incrocio tra Calle Tepeji e l’ampia Calle Monterrey, un reticolo di vie alberate che il sole illumina a macchie. Non troppo distante, c’è anche il piccolo cinema Tonalá (Tonalá 261). Qui ci sarebbe stata già molti mesi fa un’anteprima segreta del film per gli amici di Cuarón, ma non ne abbiamo la certezza, perché tutti vogliono far credere di essere stati invitati e al tempo stesso convincerci di saper tenere un segreto. Cuarón, premio Oscar per Gravity, è un idolo per tutto il Paese. All’Auditorio Nacional di Città del Messico si danno proiezioni di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban accompagnate da un’orchestra sinfonica. Persino l’esercito zapatista del Chiapas lo ha invitato a presentare Roma al primo festival cinematografico che ha organizzato. E lui ci è andato, portando in dono un proiettore. Dunque, Roma, il quartiere, sorge all’inizio del secolo scorso con il nome Colonia Roma, come area residenziale per benestanti. Ha avuto diverse fasi, anche una di degradazione e pericolo. In particolare, dopo il terremoto del 19 settembre 1985, molti scapparono perché anche gli edifici rimasti erano considerati troppo instabili. Dal 2012 circa (e nonostante un altro terremoto, sempre il 19 settembre ma del 2017), la zona è rinata, in forma di quartiere hipster. Come Brooklyn a New York o il Marais a Parigi, ma in salsa messicana. Per capirci: resistono i baracchini con i tacos normali ma c’è anche El Parnita (Avenida Yucatan 84), ristorante che fa i tacos «gourmet».
Ci vivono gli artisti e gli scrittori, i designer e gli architetti. In Calle Pomona c’è lo studio di Carlos Reygadas, il regista più sperimentale della new wave messicana. Si aprono ogni giorno ristoranti con chef famosi. Quelli più di tendenza al momento sono: Rosetta (Colima 166) e Lardo (Agustín Melgar 6). Gironzolando per Roma, ci si sorprende di continuo. Una panetteria che pare ferma nel tempo convive accanto al teatro-studio La Teatrería (Tabasco 152) e allo spazio di coworking arredato in stile minimalista high tech. Una bellissima casa con patio interno, molto simile a quella della famiglia Cuarón che si vede nel film, è un boutique hotel a nome Nima Local House (Colima 236): ha solo quattro stanze e un’atmosfera incantevole. A Casa Tassel (Córdoba 110), si beve un tè che si chiama Monet, come il pittore, e profuma di ciliegie e petali di rosa. La sera, il cocktail bar di riferimento è Maison Artemisia (Tonalá 23). C’è anche una discoteca, ora un po’ decaduta, che ha una sua storia: M.N. Roy (Mérida 186), dal nome del fondatore del partito comunista messicano. Lo spazio era casa sua e gli architetti francesi Emmanuel Picault e Ludwig Godefroy l’hanno trasformata in night club. Il pranzo classico di chi vive «en la Roma» si fa da Contramar (Durango 200) dove si mangia pesce freschissimo e si discute di arte e business e ci si informa sulla prossima mostra di Carsten Höller al Museo Tamayo (Paseo de la Reforma 51) che non si trova nel quartiere ma è uno dei fari della scena artistica di Città del Messico. Di Roma si parla nei romanzi El vampiro de la colonia Roma di Luis Zapata, storia omosessuale che si svolge nei locali notturni degli anni Ottanta, e nelle Battaglie del deserto di José Emilio Pacheco. Insomma, questo quartiere è entrato nella letteratura da tempo e anche nel cinema, a dir la verità, ben prima che Cuarón dirigesse il suo film. Infatti, nella parte più povera, La Romita, Luis Buñuel girò Los Olvidados (I figli della violenza, 1950). Roma oggi ha circa 50 mila abitanti e si divide in Roma Norte e Roma Sur. Roma Norte, che confina con un altro quartiere molto simile, La Condesa, è la parte in cui l’architettura originaria, ispirata agli stili europei, è meglio conservata, e in cui si può notare il misto di gotico, Art Déco, neo coloniale, in un curioso insieme detto anche «porfiriano», da Porfirio Díaz, il presidente e dittatore messicano che modernizzò il Paese con grandi imprese, impiegando architetti stranieri, come l’italiano Adamo Boari. Roma e La Condesa sono assai lontane, in tutti i sensi, da Polanco, il quartiere del lusso contemporaneo di Città del Messico. A Polanco ci sono le stesse boutique con le firme globali della moda che trovate in ogni capitale del mondo, a Roma ci sono posti come 180° Shop (Colima 180), un concept store ricavato dentro un garage protetto dalle stesse grate della casa dei Cuarón che si vede nel film.
Scrittori, artisti, architetti corrono a vivere qui. Gli indirizzi segreti da scovare sono tantissimi
ARoma, molti luoghi vanno scovati con pazienza, si nascondono dietro portoni in apparenza anonimi. Per esempio Sobremesa (Puebla 135), un immenso appartamento che oggi è location per eventi. O il ristorante elegantissimo Casa Virginia, che sta al piano di sopra di Delirio (Monterrey 116), bar caffetteria. O ancora, Terreno Baldío (Orizaba 177), una palazzina che nasconde una galleria per giovani artisti: periodicamente, il direttore espone alcune sculture nel vicino parco Luis Cabrera perché l’idea è che Roma non sia solo un quartiere ma anche una comunità. @laroma.mx è l’account Instagram che informa sulle attività del quartiere, con giusto orgoglio locale. Il boom di Roma ha cambiato i prezzi dell’immobiliare, ovvio. Oggi un appartamento non si affitta per meno di 1.500/2.000 dollari al mese. Questo scoraggia i messicani pagati in pesos, non gli stranieri. Anzi. La novità degli ultimi tempi è l’arrivo di molti «expat». In una sorta di migrazione a rovescio, si spostano a Roma artisti dagli Stati Uniti (Los Angeles è a sole tre ore di aereo). Qui trovano ispirazione e, se si muovono bene nell’alta società messicana, anche collezionisti disposti a spendere. Basta fare un giro da OMR (Córdoba 100), una delle gallerie top, per rendersi conto che da queste parti l’arte è un mercato in gran fioritura. Dall’Europa, arrivano francesi e spagnoli mentre dal Sud America si stanno spostando in Messico e, in particolare, a Roma, i venezuelani in fuga dalla situazione drammatica del Paese. Tutto cambia. La Roma piccolo borghese di Cuarón bambino è nel film, non più per strada. Ma il fascino resta. Come scrive Pacheco nel suo romanzo: «Guardai la avenida Álvaro Obregón e mi dissi: conserverò intatto il ricordo di questo istante perché tutto quello che esiste ora non tornerà mai a essere uguale».