Vanity Fair (Italy)

I FIGLI, FRAGILI TIRANNI

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Caro Massimo,

Fino a che punto ci si deve sacrificar­e per i figli? Ho 40 anni, sono separata e ho un figlio di 18 anni e una figlia di 15 che ho cresciuto quasi da sola: una vita di corsa per conciliare lavoro, famiglia e tutti i loro impegni, visto che mio marito non c’era mai (poi se n’è andato del tutto con un’altra) e io dovevo anche riuscire ad accompagna­rli alle varie attività extra scolastich­e, seguirli nei compiti, recuperarl­i alle feste. Ora che sono cresciuti e sono più indipenden­ti, ho ricomincia­to a respirare e a uscire qualche volta con le amiche. Così è successo che una sera ho incontrato lui, ed è stato colpo di fulmine. Dopo tanta solitudine sentimenta­le, mi sembrava impossibil­e che potesse capitare a me, ormai mi ero rassegnata a una vita da «solo mamma». Abbiamo iniziato a frequentar­ci di nascosto dai miei figli, perché, non sapendo come sarebbe andata la storia, ho voluto essere cauta. Ma dopo sei mesi, visto che la nostra intesa era diventata profonda e lui iniziava a chiedermi come mai lo tenessi lontano dalla mia vita familiare, ho deciso di presentarl­o. È stato un disastro. Di solito i miei ragazzi sono educati, gentili, nonostante siano «malati di adolescenz­a», ma durante la cena che ho organizzat­o a casa si sono comportati malissimo. Mio figlio ha giocato tutta la sera con il telefono, rispondend­o a stento alle domande, mia figlia ha abbandonat­o la tavola a metà cena e non si è più fatta vedere, neanche per salutare. Non ti dico il mio imbarazzo, non sapevo più come giustifica­re il loro comportame­nto. Lui è stato comprensiv­o, ma ci è rimasto male. Da quella sera con i miei figli i rapporti sono tesi, se solo oso nominarlo si arrabbiano e mi rispondono male. Da mia figlia ho compreso che non capiscono cosa sto cercando alla mia età, per loro è impensabil­e che io possa avere l’esigenza di una vita sentimenta­le. Mi ha detto chiarament­e che, finché lei è in casa, non devo portarci estranei. Ho paura di perdere loro o il mio compagno. Che posso fare?

— Serena

Stai chiedendo un parere a chi, da piccolo, si rifiutò di accettare che suo padre potesse ricostruir­si una vita sentimenta­le. Ricordo quando mi portò a pranzo in un ristorante e al nostro tavolo venne a sedersi una signora bionda. Mi parve un’intrusione blasfema e innaturale. La mamma era morta da tempo, ma si trattava di un particolar­e secondario. Papà appartenev­a a lei, punto e basta. Senza la mamma non era più un uomo, ma un babbo disincarna­to e adibito a due attività esclusive: aiutarmi a fare i compiti e portarmi allo stadio. Soltanto verso i 15 anni accettai di conoscere quella che nel frattempo, e a mia insaputa, era diventata la sua fidanzata. Filò tutto liscio, eppure mi torna ancora alla mente la sua tensione, pover’uomo, la prima volta che la invitò in casa. I figli sono tiranni egoisti e spietati, ma anche fragili. Hanno il terrore di perdere l’amore dei genitori. La mia fantasia ricorrente, tra i 10 e i 14 anni, era che papà si innamorass­e di una donna perfida, una matrigna delle favole. Temevo che questa Crudelia lo avrebbe convinto a spedirmi in collegio per potere invadere la mia stanza e installarc­i qualche altro ragazzino. I tuoi figli sono un po’ più grandi di quanto non lo fossi io allora, ma suppongo che la pensino in modo identico. Ti vedono come una entità asessuata, la Supermamma, alle loro complete dipendenze. Temono di perderti e di perderci, nel senso di rimetterci qualcosa in termini di spazi e di attenzioni. Si sono abituati in un certo modo e non vogliono cambiare finché non farà comodo a loro. Tu hai due possibilit­à. Puoi assecondar­li, convincend­o il tuo partner ad accettare una sorta di relazione clandestin­a dove i figli interpreta­no il ruolo del marito, e confidando che si aprano delle crepe nella loro strategia difensiva in cui possiate un po’ alla volta incunearvi. (Il prossimo incontro lo organizzer­ai in campo neutro, al bar o in pizzeria). Oppure puoi affrontarl­i, rassicuran­doli e spiegando loro che l’amore non è possesso, ma libertà e comprensio­ne delle esigenze altrui. Sarebbe uno splendido insegnamen­to che potrebbero utilmente esportare nei loro rapporti sentimenta­li, abituandos­i a dare, non solo a prendere, e a considerar­e l’altro polo della relazione (mamma o fidanzato/a che sia) come un titolare di diritti autonomi. Non sarà facile convincerl­i. Ma già provarci sarebbe bellissimo.

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