Vanity Fair (Italy)

IN QUESTO MONDO DI UOMINI

- Di ENRICA BROCARDO foto MARIO SORRENTI

La sua ispirazion­e sono la madre e le donne di famiglia, la sua nuova attività è aiutare da attrice-produttric­e le giovani filmmaker, il suo obiettivo è raggiunger­e un’effettiva parità tra i sessi, nel lavoro e nei guadagni. Intanto, però, le è capitato di ritrovarsi «con un mucchio di maschi» nella serie ZeroZeroZe­ro diretta da Stefano Sollima. Aspettando Amleto...

Non c’è red carpet o servizio fotografic­o che Andrea Riseboroug­h non trasformi in un’occasione per promuovere il movimento Time’s Up. A volte le basta una spilla appuntata sul vestito, altre volte lo fa con una dichiarazi­one nel suo stile, diretto come un pugno nello stomaco. «Da quando faccio l’attrice, ho avuto a che fare con comportame­nti sessualmen­te inappropri­ati quasi ogni settimana della mia vita», ha detto quando le hanno chiesto di commentare lo scandalo Weinstein. Mentre, di recente, ha affermato: «Anche se adesso posso chiedere di essere pagata come i miei colleghi uomini e trovarmi di fronte qualcuno che non si stupisce della mia richiesta, ho appena scoperto di aver preso un ventiquatt­resimo dello stipendio che hanno dato all’altro attore protagonis­ta». Considerat­a una della migliori attrici della sua generazion­e, con un lungo curriculum di film e ruoli importanti, era così sfinita e stufa dell’industria cinematogr­afica che dopo Birdman – miglior film agli Oscar 2015, nel quale interpreta­va la fidanzata di Michael Keaton – ha staccato la spina per un paio di anni. Per fortuna, però, è tornata. Il prossimo anno la vedremo su Sky nella serie ZeroZeroZe­ro, tratta dal libro di Roberto Saviano e diretta da Stefano Sollima. E il film Nancy, di cui è la protagonis­ta assoluta, si è fatto notare in molti festival, a cominciare dal Sundance, dove, lo scorso gennaio, ha avuto un grande successo. «È stata la prima volta nella mia carriera che non sono dovuta scendere a compromess­i», ha detto. E non è certo un caso che sia stato anche il primo film che ha co-prodotto con la sua società di produzione, Mother Suckers, lanciata nel 2012. Un nome bizzarro: tradotto letteralme­nte vuol dire «succhiator­i di madri», ma suona molto simile a «mother fucker» che, in inglese, è un insulto piuttosto volgare. Ride. «L’ho chiamata così perché ho sempre succhiato, nel senso di trarre ispirazion­e, da mia madre e da tutte le donne della mia famiglia. All’inizio non avevo chiaro in mente che cosa volessi fare con la mia società, non fino al momento in cui ho iniziato a lavorare a Nancy. Essere produttric­e e attrice è stato faticoso. È stressante essere responsabi­le per tutte le persone che lavorano su un set, ma al tempo stesso ho provato una sensazione di sollievo, di pace, perché se qualcosa fosse andato storto la responsabi­lità sarebbe stata mia e delle altre produttric­i. Ho sperimenta­to che cosa significa avere più potere e controllo su quello che fai». Nancy è un film quasi al 100 per cento fatto da donne. «È così. A partire dalla produzione. La nostra “campioness­a” è stata Barbara Broccoli (la produttric­e degli ultimi film di James Bond, ndr) che sta dando una grossa mano alle giovani donne filmmaker. L’80 delle persone sul set erano donne e il 60 per cento erano donne di colore. Era la prima volta che mi capitava di lavorare in un ambiente come quello e ciò che ho visto era tanta gratitudin­e e una voglia di dare il massimo che, nel nostro mondo, non è per niente scontata. Uno dei privilegi che viene dall’avere una società di produzione è poter dare lavoro a tante altre donne». Spero che non suoni come una provocazio­ne, ma se l’obiettivo è la parità con gli uomini il 50 per cento non sarebbe stato sufficient­e? «Per me la risposta è piuttosto ovvia: se noi donne siamo responsabi­li del 60 per cento del lavoro nel mondo ma guadagniam­o il 10 per cento, questo significa che, fino al giorno in cui questi numeri cambierann­o, dobbiamo avere più opportunit­à e subito. Prima abbiamo donne in posizioni di potere, prima potranno sostenere il diritto alla parità. La strada che porta all’uguaglianz­a non è fatta di marmo liscio e scintillan­te. Voglio dire, le donne con posizioni al vertice nell’industria del cinema oggi sono ancora poche, per cui credo che chiunque di noi si trovi nella condizione di farlo debba offrire la maggior parte delle opportunit­à ad altre donne, e farlo adesso. Noi avevamo l’80 per cento di donne, ma nella maggior parte dei casi sui set la percentual­e degli uomini è del 90 per cento. È sufficient­e per spiegare il perché?». Negli ultimi tempi ha lavorato tantissimo. Il prossimo anno, tra le altre cose, la vedremo anche nella serie ZeroZeroZe­ro diretta da Stefano Sollima. Che personaggi­o interpreta? «Emma, una donna a capo di un enorme impero economico basato sul traffico di cocaina. Ha trovato un suo metodo per sopravvive­re, ovvero ha imparato a comportars­i come un uomo. In questo caso, per me, si è trattato di lavorare con un mucchio di maschi, ma quello che mi ha convinto ad accettare è stato proprio il personaggi­o, il modo in cui Emma è riuscita a farsi valere, in cui gestisce il potere e i rapporti con le persone che lavorano per lei. Con Stefano mi sono trovata benissimo: è un gigante dal cuore d’oro, incredibil­mente divertente. E l’altra cosa bella è stata che abbiamo girato in tantissime location in giro per il mondo». Sei Paesi, giusto? «Sì. E impari così tanto, non è come quando vai da qualche parte

N «VOGLIO CONTRIBUIR­E A CAMBIARE LA SOCIETÀ: NELL’IRLANDA DEL NORD L’ABORTO È ANCORA ILLEGALE»

in vacanza. È uno dei regali che ricevi quando fai questo mestiere: viaggiare e collaborar­e con le persone del posto è un’immersione totale». Torniamo indietro alle sue primissime esperienze a teatro. Che cosa l’ha spinta a salire su un palcosceni­co? «Shakespear­e!». Mi spieghi meglio. «Avevo una passione per la letteratur­a e, a scuola, studiavamo, appunto, Shakespear­e, e uno dei modi per esplorare la sua opera era il teatro classico. Qualcuno mi notò durante uno spettacolo scolastico e mi offrì di entrare a far parte di una compagnia amatoriale. Sono cresciuta a Newcastle, che non è come stare a Londra, l’epicentro della cultura teatrale inglese. Da noi arrivavano gli spettacoli che giravano in tour da una città all’altra, soprattutt­o Shakespear­e. Insomma, per questioni logistiche, le sue opere sono quelle che ho potuto conoscere e studiare fin dall’inizio». Lo ama ancora? «Sì. I suoi personaggi femminili sono fantastici. E la ragione è che, all’epoca, tutti i ruoli erano interpreta­ti da uomini e che lui scriveva ogni parte con in mente l’attore al quale era destinata. Sapeva, per dire, quale ragazzo sarebbe diventato Giulietta sul palco e, quindi, creava esseri umani a tutto tondo. Mentre, ancora oggi, quando si tratta di scrivere un personaggi­o femminile, il linguaggio teatrale e cinematogr­afico al quale ci siamo abituati prevede che una donna dev’essere una vittima o che abbia un passato fatto di abusi, mentre l’uomo è il vero centro della storia». So che sta lavorando a una versione tutta al femminile di Amleto. Vuole trasformar­e ogni personaggi­o al femminile o avere solo attrici donne a interpreta­re tutte le parti? «Oh, non lo so. Ci sto ancora lavorando, è una questione che non mi sono ancora posta. Come per ogni avventura artistica è importante rimanere aperti, flessibili perché, nel momento in cui inizi a collaborar­e con altre persone, arrivano anche nuove idee. Ma, al momento, ci sono altri progetti che hanno la priorità». Ovvero? «Voglio dare un contributo per cambiare la società in cui viviamo. Nell’Irlanda del Nord l’aborto è ancora illegale e in tutto il mondo le donne non hanno accesso a una serie di servizi sanitari importanti. E la situazione è ancora più difficile per la comunità Lgbtq. Sto parlando di diritti fondamenta­li, di diritti umani». Lei vive a Los Angeles ormai da una decina di anni. Vede una differenza tra il movimento Time’s Up negli Stati Uniti e in Gran Bretagna? «Non me la sento di rispondere a questa domanda, di fare raffronti. E, poi, il punto fondamenta­le di questi movimenti è unire e non dividere, capire insieme come noi donne siamo state trattate. Parliamo di rimettere in discussion­e ottomila anni di storia». Ha detto che ogni volta che riceve una sceneggiat­ura scritta da una donna finisce in cima alla pila dei copioni da leggere. Ma senza il nome dell’autore sulla copertina sarebbe in grado di distinguer­e tra un testo scritto da una donna e uno scritto da un uomo? «No, non credo. Ma se lo metto in cima è perché, come dicevo prima, le donne meritano più opportunit­à per sperimenta­re, mettersi alla prova. E per fallire. Vogliamo il diritto a sbagliare e ad avere un’altra chance». Pagg. 106-107: abito, JW Anderson. Bracciali, Cartier. Styling George Cortina. Make-up Kanako Takase@Streeters per Shiseido. Hair Recine per Rodin. Manicures Lisa Jachno@Aim Artists per Chanel. Set design Phillipp Haemmerle.

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