DIREZIONE FUTURO
Lo troviamo nellÕÇecumenopoliÈ
GIANNI BIONDILLO: LA CITTÀ CHE VERRÀ
GIANNI BIONDILLO 52 anni, è uno scrittore e architetto milanese. Il suo ultimo romanzo è «Come sugli alberi le foglie» (Guanda, 2016). È stato docente di psicogeografia e narrazione del territorio.
Le città del futuro esistono già, solo che non ce ne siamo accorti, perché le descriviamo con parole antiche. Le dualità centro/periferie, città/campagna sono residui di una visione del mondo che è ormai obsoleta. Parliamo di metropoli, ma già dovremmo ragionare di megalopoli (metropoli di metropoli) se non direttamente di ecumenopoli (il pianeta come un’unica realtà antropizzata). Perché nel volgere di un secolo la popolazione mondiale urbana è passata dal 10% al 50% e da qui a una generazione sarà il 70%. Oggi esistono conurbazioni sovra-regionali, persino sovra-nazionali, di 20-30 milioni di abitanti, spesso vere e proprie città-stato: metropoli sovrane dei territori che occupano. Hanno legislazioni, stili di vita, progettualità, economie indipendenti se non addirittura alternative agli stati-nazione che dovrebbero contenerle. Parigi (per quanto ossessionata dal suo essere capitale) non è la Francia, Londra (e la Brexit lo ha chiaramente dimostrato) non è la Gran Bretagna. E questo non solo nelle città dell’Occidente avanzato, ma soprattutto in realtà emergenti dell’Asia o dell’Africa: Pechino, Karachi, Seul, Lagos. I grandi poli d’innovazione vivono nelle metropoli e da esse ne vengono vivificati. La metropoli è un attrattore naturale di eccellenze. Da qui, obbligatoriamente, dovranno partire le soluzioni che metteranno in sicurezza il pianeta stesso. Per dirla con Friedrich Hölderlin: là dove maggiore è il pericolo, maggiore è la sfida. Le metropoli sono voraci di suolo e stanno necrotizzando il mondo. Ciò che resta della campagna s’insinua negli spazi lasciati liberi dalla metropoli e non sono rari i vuoti incolti, irrisolti. Luoghi dove la natura fa un po’ quello che le pare, quasi oasi dell’inconscio urbano. Nelle metropoli il verde non può più essere accessorio, romantico, quasi fosse una eterotopia circoscritta, una concessione della città produttiva. Dovrà essere innanzitutto difesa del suolo. Poi, ripensandolo in modo innovativo, riserva biologica, spazio di socialità, scorta alimentare. Occorre stilare un patto fra umanità e mondo. Cambiare stili di vita per migliorarli, per stimolare la creatività proprio di fronte al bisogno collettivo impellente, per renderci più umani, con dignità. Ci penserà l’automazione, come profetizzava Marx quando immaginava un mondo dove le macchine avrebbero sconfitto il capitalismo? Oppure il liberismo avanzato farà dell’automazione il sistema per renderci tutti schiavi, alla maniera di Matrix? Questo io non lo so. Questa è politica, troppo anche per me.