«LA MIA UNICA COMPAGNIA FU QUELLA DEGLI UCCELLI»
Tilda Swinton è forse l’attrice più camaleontica della sua generazione: pur bellissima e dalla presenza quasi regale, è in grado di trasformarsi, come ha fatto per tanti film, in un uomo anziano, nell’elegante direttrice di una rivista di moda, in un angelo asessuato o in una strega. Il tutto con una disinvoltura quasi inquietante. Alcune delle sue mutazioni più sconvolgenti, però, non hanno nulla a che vedere con il cinema. Da qualche anno, Tilda e il fotografo Tim Walker danno vita a una schiera di interessanti personaggi storici – la collezionista e filantropa Dominique de Menil, l’artista Leonora Carrington, il poeta e mecenate Edward James, David Bowie – in ritratti fotografici splendidamente surreali realizzati per la rivista W. L’ultima musa che hanno scelto, protagonista di queste immagini, è Dame Edith Sitwell: nata nel 1887, oltre a essere poetessa, critica letteraria e donna notoriamente eccentrica, era anche lontana cugina di Swinton, e a otto anni fece da damigella della sposa al matrimonio di Elsie, bisnonna paterna dell’attrice. Era proprio a Elsie, celebrata chanteuse ritratta dal pittore John Singer Sargent, che Sitwell attribuiva il merito di averla introdotta al mondo dell’arte. «Conosco la storia dei Sitwell da sempre», dice Tilda a proposito di Edith e dei fratelli minori Osbert e Sacherevell, anche loro scrittori. «In quanto esempi significativi di artisti con i quali posso dirmi imparentata, per me sono sempre stati figure preziose». «Ripercorrere i passi» di Dame Edith, come dice Walker, era un’idea che la coppia creativa accarezzava da tempo. Il fotografo era affascinato dai famosi ritratti di Sitwell realizzati da Cecil Beaton, di cui si definisce «mega fan», uno dei quali campeggiava su un tour book di Morrissey degli anni Novanta. «Un mio amico aveva una
maglietta con la copertina, e a me piaceva tantissimo», ricorda. «La bellezza unica di Sitwell mi ha sempre affascinato». Rovistando negli archivi del Victoria & Albert Museum di Londra per una mostra fotografica in programma l’anno prossimo, Walker a un certo punto si è imbattuto in una quantità di gioielli appartenuti a Sitwell, che li preferiva voluminosi e riccamente ornati e «ho intravisto immediatamente il loro potenziale fotografico». Pur non essendo riusciti a ottenerli in prestito, lui e Swinton erano certi di poter «ricreare il mood di Edith» utilizzando pezzi contemporanei. Inizialmente, il fotografo aveva pensato di far realizzare una versione con una protesi del naso di Sitwell, così prominente e aquilino che i genitori la costringevano a indossare una fascia contenitiva, nella speranza di correggerlo. Ma ricorrere a una proboscide posticcia «sarebbe stato come usare un martello pneumatico per spaccare una noce. Abbiamo deciso che sarebbe stato più divertente andare a Renishaw, la casa in cui i Sitwell erano cresciuti». Renishaw Hall, che si trova nel Derbyshire, vicino a Sheffield, è una grande villa risalente a quasi quattro secoli fa, con balaustre merlate e circondata da giardini di sublime bellezza (i papaveri bianchi grandi come ruote di bicicletta che vedete in queste fotografie sono veri). Quella di Edith però fu, a detta di tutti, un’infanzia infelice. Nata con problemi alla spina dorsale e quella che Swinton definisce «una testa da levriero», da piccola fu costretta a portare non solo l’apparecchio correttivo per il naso, ma anche un corsetto in ferro simile a una gabbia. I suoi genitori erano ora assenti, ora crudeli. La madre, Lady Ida, considerata una grande bellezza, era un’alcolista dal temperamento malvagio, e finì in carcere per truffa. La figlia raccontò anche di essere stata spedita a impegnare la dentiera della madre per comprarle il brandy. Cinque anni separavano Edith da Osbert, e Sacherevell arrivò dopo altri cinque. «Fino alla nascita dei miei fratelli, la mia unica compagnia fu quella degli uccelli», raccontò nel programma della Bbc Face to Face, dove fu ospite nel 1959, con i suoi caratteristici anelli grossi come pomelli di porta, uno dei suoi copricapi impossibili e le sopracciglia disegnate. In un modo o nell’altro – e grazie alle attenzioni della governante Helen Rootham, con cui Edith visse fino all’età di 50 anni, quando Rootham morì – i tre Sitwell non solo riuscirono a sopravvivere, ma lo fecero con il talento letterario intatto. Separatamente e insieme, pubblicarono antologie, scrissero romanzi e saggi su arte, architettura e musica. L’impresa più ambiziosa di Edith fu una serie di poesie intitolata Façade, che cominciò a pubblicare nel 1918 e poi trasformò in una performance dove, nascosta dietro una tenda come una sorta di mago di Oz in turbante, strillava quelli che vengono definiti «versi nonsense» in un Sengerphone (un megafono fatto di erba pressata) mentre un’orchestra suonava un medley di canti marinareschi. Per il fatto di essere donna e per le origini nobili – oltre che per le scelte in fatto di abbigliamento – l’opera di Edith Sitwell è stata a più riprese liquidata come il piccolo hobby di una signora a caccia di attenzioni. Swinton dissente, definendola «una poetessa davvero straordinaria», e da qualche anno più di un critico prestigioso sostiene tesi analoghe. Checché si possa pensare dei suoi versi, tuttavia, la sua influenza è innegabile. Nel corso della vita è stata fotografata e ritratta da numerosi artisti, e a più di mezzo secolo dalla sua scomparsa rimane un punto di riferimento culturale per gli eccentrici di ogni dove. In fin dei conti chi, per un verso o per l’altro, non è un po’ eccentrico? «Lei prese ciò che la natura le aveva dato e lo indossò con grande orgoglio», dice Walker. «C’era qualcosa di molto potente nel modo in cui accettava e celebrava il proprio aspetto. Faccio il fotografo da vent’anni, e ho visto mutare moltissimo la concezione della bellezza e dell’individualità, specie negli ultimi tempi. Stiamo imparando a valorizzare le nostre differenze, e questo è a dir poco entusiasmante. Edith promuoveva ed esaltava questo spirito in grande anticipo sui tempi».