Mai rinunciare a qualcosa
«Sentirsi sulle spalle la responsabilità dei genitori quando si è ancora ragazzi è sempre sbagliato», dice l’attrice romana che al cinema interpreta una madre «difficile». Lei, invece, è una mamma di tre figli soddisfatta. Anche grazie a una promessa che si è fatta (e mantiene)
«Anna come sono tante. Anna permalosa. Anna bello sguardo, sguardo che ogni giorno perde qualcosa. Se chiude gli occhi lei lo sa. Stella di periferia. Anna con le amiche. Anna che vorrebbe andar via».
Per il regno sottile delle corrispondenze, Anna Foglietta nasceva e nelle radio andava Anna e Marco di Lucio Dalla. Era il 1979, inizio di primavera, e «Anna, nella mia famiglia di origini napoletane, da madre di Maria, valeva più di Maria stessa: era la madre della Madonna, la prima vera grande genitrice del pianeta, portatrice in sé di forze e leggi femminili universali. Si chiamavano così già la nonna e la zia. Anna eravamo tante davvero». Come adesso, dove da attrice è contemporaneamente, in (dis)ordine sparso, madre senza salute psichica in Un giorno all’improvviso («Sentirsi sulle spalle la responsabilità dei genitori quando si è ancora ragazzi è sempre sbagliato»), presidente e tesoriera della Onlus Every child is my child («Con cui facciamo piccoli immensi passi quotidiani per i bimbi della Siria»), amante a teatro in Bella figura («Un ritratto crudele dell’ipocrisia borghese») e pronta per Palloncini («Dove una festicciola di compleanno si trasforma in un palcoscenico per quei mostri inadeguati che a volte siamo da adulti, all’apparenza garbati, ma poi squallidi, con le etichette in mano se un balletto en travesti di un bambino mina le nostre certezze»).
Anna siete tante davvero. «Ho cambiato pelle mille volte e continuo a cambiarla in questo percorso verso l’accettarsi nel cambiamento che è la vita». Com’era agli inizi? «Una bambina introversa. Su una sedia, vicino al camino, con i capelli corti, osservavo gli altri senza perdermi una sfumatura. Sono cresciuta poi adolescente ribelle: nella fascinazione per Che Guevara, leggevo I diari della motocicletta, e difendevo i diritti di chiunque. Tornavo tardissimo ogni sera, tra occupazioni e concerti». Durò? «Poco. Travolti da seri problemi economici, presi a lavorare a teatro: maschere, botteghino, pulizie. E facevo la commessa in un negozio di intimo. Intanto studiavo all’università. Insomma, già allora non mi fermavo mai». La leggerezza quando è tornata? «Dopo l’indipendenza, il riscatto sociale. E superati gli attacchi di panico da cui non si guarisce mai, ma dentro cui puoi imparare a calmarti». Quando arrivano che succede? «Dal niente sale l’ansia, t’immobilizza. La tachicardia galoppa. Sudi. Senti il mondo caderti addosso. Pensi di morire. E appena passa, che possa tornare. E hai paura nella paura di non riprendere più il contatto con te. Ma per fortuna poi è solo un incubo». Come si è aiutata? «Con l’analisi, che è cura della testa, un dono di lucidità che da tre anni mi aiuta a non giudicare i miei personaggi – non amarli o odiarli troppo – e mi ha liberata da alibi che avevo sempre pronti in tasca. Ascoltando poi mio marito (Paolo Sopranzetti, consulente finanziario, ndr), che mi ha pacificata, rasserenata in questa coccola che mai mi ero saputa concedere, dell’amarmi oltre i difetti per quella che sono, senza bisogno di dimostrazioni e conferme». Che amore è il vostro? «Ci piacevamo già al liceo, ma a distanza: è stata una fortuna non essersi consumati allora. Averlo chiuso in una teca di cristallo. E sprigionato poi da consapevoli». Quand’è stato? «Trent’anni io, 32 lui, il ginnasio ormai lontano. Uscivo da legami fallimentari e nel matrimonio e nei figli non avevo mai visto una destinazione. Apro Facebook, tra i messaggi un suo affresco di come eravamo. Ricordava tutto: come mi vestivo, che banco occupavo, la sciarpa che indossavo. Io, che mi sentivo solo un piccolo ragno, e mi mascheravo coprendomi, vestendomi larghissima. Ancora oggi, quando vuole farmi un complimento, mi dice che lui, la mia luce, l’aveva vista prima degli altri, quando ancora la nascondevo». Come rispose? «“Vediamoci”, risposi “Vediamoci”. D’altronde anche io ricordavo tutto: lui, spalle larghe, bellissimo e accerchiato sulle scale della scuola. Non avevo il coraggio di avvicinarmi, chiusa in una maledetta timidezza». Cantava Dalla: «Anna bello sguardo, sguardo che ogni giorno perde qualcosa». «Sì, ma qualcosa lo guadagna anche. E i miei occhi non mentono mai». «Anna che vorrebbe andar via». «Spesso. Scendere da una testa che è una giostra veloce. Rallenterei volentieri i giri chiusa nel silenzio di qualche convento sperduto, e invece ci provo la notte, tra i bambini che mi chiamano e la lista della spesa». Come si fa a proteggere la propria seduzione, da madri? «La mia era solita ripetere: “Ho fatto tanti sacrifici per voi”, che da una parte ti viene da dire “Che brava”, dall’altra “Ma chi te li ha chiesti!”. Così, quando lo sono diventata io, mamma, mi sono fatta una promessa: quella che non avrei rinunciato a niente, men che meno all’eros. Che avere una madre risolta, soddisfatta, sarebbe servito
anche a loro, i figli. Non voglio ricatti neanche inconsapevoli, dentro casa mia». Come stanno crescendo? «Lorenzo è l’indipendente, Nora la gelosa, Giulio il simpatico: un trio meraviglioso di quasi gemelli che si bastano, e non hanno bisogno di tablet o altro per intrattenersi. La fratellanza è un’intenzione potentissima, un sentimento che ti connette oltre gioie e inciampi di cui spero si mantengano capaci». Dentro quanti gruppi whatsapp di mamme è? «Prima che cambiassimo quartiere, e quindi scuole, in 8. Li silenziavo. Utili, eh, quando lì ci si scambiano appuntamenti, deleghe, costumi per le recite, ma fastidiosi quando iniziano a partire i video di Babbo Natale con le renne e della Befana alle Maldive, e tu gridi vendetta ma non puoi abbandonare perché pare brutto». Nel 2019 compie 40 anni. «Significa nostalgia di Beverly Hills, 90210, nei primi acciacchi. Ma mi sento ancora decisamente giovane, mi guardo allo specchio e mi piaccio tanto, anche nel cedere delle levigatezze al tempo in una ruga d’espressione che ieri non c’era. Vorrei arrivare ai 60 brillante, attiva e figa, senza ansie». Serena Dandini, nella Tv delle ragazze, l’ha invecchiata: si è vista come sarà. «E mi sono messa a piangere. Ma perché ho sentito di colpo che tutto poteva sfuggirmi un domani, che è un sentire stupido perché a ogni età può sfuggirti la vita». Minacciò di non accettare una parte in un’occasione se non fosse stata pagata come il protagonista maschile. «A parità di ruolo e carriera, pretesi quella di genere e compenso. E l’ottenni». Delusa da un Pd stagnante, e da un voto dato poi alla Raggi, quando scrive sui social che «confida nel buonsenso delle istituzioni» ci crede davvero? «No. C’è così poca identificazione tra noi onesti lavoratori che paghiamo le tasse senza odiare i neri, e chi ci rappresenta. Io la politica la faccio dov’è il mio: a teatro, per esempio con Una guerra di Michele Santeramo, storia vera di una donna che parte dalla Libia per mare, con due figli, su un barcone che si rovescia. Lei non può salvare entrambi, e deve scegliere. Uno solo dei due. Siamo persone perbene, ci meritiamo persone perbene, ma i migliori esseri umani non governano niente».
In questa pagina: cardigan, Caractère. Body, Intimissimi. Calze a rete, Calzedonia. Pagg. 66-67: trench, Burberry. Collant a rete, Calzedonia. Pump, Aquazzura. Ha collaborato Mariangela Filippin. Make-up Nicoletta Pinna. Hair Domenica Ricciardi. Si ringrazia il teatro Sala Umberto di Roma.
«MIO MARITO MI DICE CHE LUI, LA MIA LUCE, L’AVEVA VISTA PRIMA DEGLI ALTRI, QUANDO ANCORA LA NASCONDEVO» 09.01.2019