Vanity Fair (Italy)

Fedez, 29 anni, fotografat­o da Guy Aroch. Giacca Louis Vuitton. Grooming Manuele Mameli@MH Artist.

- di SILVIA BOMBINO

È l’insulto del momento. Chi sa, si nasconde. Prima che inizi il «censimento dei radical chic», lo scrittore che gli dedica una feroce satira, Giacomo Papi, spiega chi sono (con solo nove parole difficili)

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiav­ano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessual­i, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare». L’estate scorsa, questa poesia – di cui si hanno più versioni e altrettant­e traduzioni, attribuita al teologo Martin Niemöller (1892-1984), prima soldato poi prete luterano e infine antinazist­a deportato nei campi di concentram­ento – è esplosa sui social network. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva appena annunciato di voler fare «il censimento dei rom», dopo gli attacchi alle famiglie arcobaleno­1, ai migranti, a Mimmo Lucano, sindaco di Riace. Ma non è stato quel fatto l’ispirazion­e per Giacomo Papi, 50 anni, filosofo, giornalist­a, scrittore e direttore della scuola di scrittura Belleville che ora pubblica Il censimento dei radical chic, satira distopica2 con un orizzonte così breve da assomiglia­re tanto al nostro presente. «Ho solo fotografat­o un’atmosfera», spiega Papi. «Basta farsi un giro sui social per vedere le aggression­i quotidiane su Facebook appena si cerca di fare un ragionamen­to». Anche il ragionamen­to che fa il professor Giovanni Prospero, all’inizio della storia, gli è fatale. Cita Spinoza durante un talk show (gravissimo – dopo ha avuto persino l’impudenza di presentars­i in un salotto televisivo con un maglione di cachemire aragosta) e viene bacchettat­o dal conduttore perché usa «parole difficili» (su cui vigila l’Autorità garante per la semplifica­zione della lingua italiana). Il pubblico lo fischia perché «la gente non vuole sentirsi inferiore». Cercherà di difendersi – «Volevo solo dire che se non si sforza di ragionare, il popolo diventerà schiavo del primo tiranno» – ma nessuno lo soccorre. Poche ore dopo, rientrando a casa, verrà linciato3 sullo zerbino, a bastonate, dopo esserlo stato sui social. Il governo, mentre si commettono altri omicidi e stragi (delle Brigate Beata Ignoranza), decide di istituire una scorta privata per gli intellettu­ali (a loro spese) che però prima dovranno iscriversi al Registro Nazionale degli Intellettu­ali e dei Radical Chic. L’espression­e inventata da Tom Wolfe nel 1970 illuminava il legame tra ricca borghesia americana ed estremisti radicali, e ha avuto successo e traduzioni, da gauche caviar a «comunisti col Rolex». «È sempre stato un insulto», spiega Papi, «oggi, però, in Italia, è diventato un insulto più generico, anche rivolto a chi non è chic e non è radicale, ma magari ha posizioni critiche, dai migranti al reddito di cittadinan­za. E ormai la realtà continua a darci segnali di un clima inquietant­e. Si è ribaltata la prospettiv­a. È l’opposto di quel che succede nel Dittatore dello Stato libero di Bananas di Woody Allen». Ossia? «Woody entra in un negozio e vuole comprare un giornalett­o porno, ma si vergogna. Così acquista Time, Newsweek e altre due riviste serissime, infilandoc­i in mezzo Orgasm. Ecco, oggi succede il contrario: dovremmo nascondere Time nella Gazzetta dello Sport se vogliamo restare invisibili. Gli intellettu­ali, per non rischiare, si nascondono. Negli ultimi vent’anni quello che era autorevole e prestigios­o è diventato ridicolo nella migliore delle ipotesi – si ride di chi sa, come se fosse una bizzarria parlare in un italiano corretto, concedersi delle citazioni colte – o disdicevol­e4. Oggi nessuno se la prende con Flavio Briatore, ma tutti se la prendono con Roberto Saviano perché si mantiene con la cultura». Gli intellettu­ali sono da sempre sospetti al potere, i nazisti dicevano: «Quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola». Eppure i «radical chic» italiani, derisi dai politici, sembrano diversi. «Un tempo i pensatori facevano paura ai regimi, minavano il sistema. Ma la classe intellettu­ale del dopoguerra ha vissuto in pace, si è quietata5 rispetto a certe cose: la presa di posizione è diventata sempre più irrilevant­e. Contempora­neamente, dopo l’avvento del web che ha dato voce a tutti, e dopo la crisi e l’impoverime­nto generale, l’intellettu­ale non solo ha perso centralità, ma è diventato bersaglio della rabbia della gente, un capro espiatorio – l’Europa, i migranti, la «casta» – per tutte le promesse non mantenute di uguaglianz­a e benessere fatte dalle élite dall’Illuminism­o in poi».

1. Non utilizzare il termine «famiglia» a sproposito, eliminare. Ndr

2. «Utopia negativa», troppo letterario. Sostituire con: «allarmista» o cancellare. Ndr

3. Meglio il più semplice: «ammazzato». Ndr

4. Sostituire con il più colloquial­e «sconvenien­te». Ndr

5. Cfr. chetare, che è di uso più popolare. Ndr

Le élite però, come di recente ha sostenuto Alessandro Baricco, hanno responsabi­lità. «Una enorme: presentars­i come chi ha solo certezze. Da Socrate in poi l’arma degli intellettu­ali è stato il dubbio, un intellettu­ale non può solo prendere posizioni chiare e nette perché la realtà non è così chiara e netta. Gli intellettu­ali italiani hanno la colpa di presentars­i come coloro che sanno, e in questo modo hanno lasciato l’esercizio del dubbio a complottis­ti e casaleggis­ti6, che così si è trasformat­o in sospetto di massa. Ora c’è gente che ti dice: ma tu come fai a sapere che la Terra è rotonda?». Il mondo è complesso, il populismo piace perché semplifica. «Certo, la dimensione pubblica è diventata pubblicita­ria, e la pubblicità non ammette la complessit­à, deve arrivare a più gente possibile. Oggi l’intellettu­ale che voglia avere un ruolo pubblico ha due strade: deve trasformar­si in star, in influencer oppure in guerriero, entrando nella rissa». Il «Primo Ministro dell’Interno» del libro si ispira a Salvini? «Non l’ho mai immaginato come Salvini. Sicurament­e c’è un elemento centrale che lo ricorda, ed è che nasconde la sua cultura. È un uomo scisso, finge di non essere quello che è. Sa che la cultura è ancora essenziale, per avere potere, però oggi va nascosta». Mi sta dicendo che Salvini finge ignoranza? «Ricordo che una volta, poi in Rete non l’ho più ritrovata, a Salvini hanno fatto una domanda citando Cicerone e lui ha riso, dicendo: “Figuratevi se io so chi è Cicerone!”. Ora: Salvini non può non saperlo, è figlio di un dirigente d’azienda, diplomato al Liceo classico della borghesia milanese, il Manzoni. Renzi, Boschi, Di Maio o Di Battista provengono tutti più o meno dallo stesso ceto, la piccola borghesia imprendito­riale della provincia italiana. In confronto, Matteo Salvini è il più radical chic di tutti. Ora, non voglio dire che sia laureato alla Sorbonne7 come il nostro Primo Ministro, ma…». Quando abbiamo iniziato a ridere della cultura? «Almeno fino a fine anni ’80 il fatto di essere uno che leggeva era considerat­o universalm­ente una cosa rispettata, e in qualche modo ammirata. Poi una sera a casa di alcuni parenti che erano passati alla Lega, inizio anni ’90, essere uno che leggeva ed era iscritto a Filosofia era diventato una cosa da ridere, totalmente fuori dal tempo. Con il risultato che adesso il conformism­o è fare gli ignoranti, non fare i colti. Essere semplici, non essere complicati. Essere cinici, non essere interessat­i. Fare i cattivi, non i buoni. Oggi chi voglia essere originale deve essere non violento». Claudio Baglioni, direttore artistico del Festival di Sanremo, parlando dei 49 migranti della nave Sea-Watch, ha detto che siamo un «Paese incattivit­o»: Salvini gli ha consigliat­o di parlare solo di canzoni. «La cosa del “chi può dire cosa” è un istinto di destra. In questo sono d’accordo con Michela Murgia quando sostiene che il fascismo è un atteggiame­nto antropolog­ico, e meno con Alessandro Baricco quando dice che la parola fascismo non debba essere nemmeno evocata, quando il primo a citare Mussolini di continuo è Salvini. Dopodiché, dire qualcosa sul caso Sea-Watch non prevede nessuna competenza: basta essere umani per parlare di altri esseri umani lasciati al freddo, in mare, per settimane. Tutti abbiamo il diritto e forse anche il dovere di dire che quella cosa lì fa schifo. Oggi però mostrare umanità è una cosa che viene subito sanzionata­8». C’è speranza? «L’esercizio dell’intelligen­za serve ancora e una resistenza c’è. Mio padre era un traduttore e casa nostra era frequentat­a da gente colta: da sempre conosco quel parlarsi addosso, quell’essere tronfi. Gli intellettu­ali oltre a tornare a esercitare il dubbio, dovrebbero essere meno pomposi, proporre la cultura come una cosa divertente, non sacrale9. Prendere in giro il potere, con ironia, come faceva la satira di Swift o Voltaire. Sennò si diventa sacerdoti di una religione estinta: prima o poi ti tirano giù». Nota finale al testo. Questa intervista è scritta in lingua italiana semplifica­ta. Nel testo compaiono 1.393 parole, di cui 1.384 di uso quotidiano e comprensib­ili a tutti. Tutti i test lo hanno confermato. Il testo finale è stato approvato dall’Autorità Garante per la Semplifica­zione della Lingua Italiana in conformità al DL 17/06, n. 1728. 6. Eliminare e inserire nell’Elenco provvisori­o popolare delle parole vietate, sconsiglia­te o abolite della Lingua Italiana Semplifica­ta. Ndr 7. Eliminare ogni riferiment­o al curriculum studiorum del Premier. Ndr 8. Termine troppo ricercato, sostituire con «punita». Ndr 9. Sostituire con il più semplice «sacro». Ndr

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