La roulette della vita
Pianura padana. Uno scrittore divorziato con una figlia adolescente e sconosciuta, uomo appena sopra il baratro, una vita scandita da un foglio bianco che non ne vuole sapere di riempirsi. Una giovane donna bella da mozzare il fiato, insegnante di danza in una fabbrica abbandonata, e una «tale aria da causa persa che le avrei proposto su due piedi di sposarmi, inondandola di promesse che non sarei mai riuscito a mantenere». Si incontrano per caso, come nelle grandi storie d’amore, nel nuovo romanzo di Cristiano Cavina, 44 anni (sopra), Ottanta rose mezz’ora (marcos y marcos, pagg. 208, € 17), sempre in bilico tra leggerezza e profondità, speranza e disperazione. Lo scrittore e la ballerina cominciano a frequentarsi senza mai lasciar spazio a romanticherie da due soldi, senza incatenare il loro rapporto a un nome, senza progettare il futuro. Cominciano a vedersi come due che potrebbero aver perso tutto, ma che uniti, forse, hanno una nuova possibilità. I mesi passano trovandoli ancora insieme come per miracolo, tra un lavoro parttime come commessa e una serie di piccoli impegni di lavoro dello scrittore – che ha murato la sua esistenza in compartimenti stagni per non farsi ferire troppo (la faccia per il lavoro, quella per gli amici, quella per la sua inconoscibile figlia) – e una tenue speranza di poter essere finalmente veri, insieme. Ma il fato è in agguato, o se non è il fato è dio, o se non è dio è la roulette della vita, bene, male, successo, disgrazia, felicità, lacrime. Qualunque cosa sia, a volte è benevolo, altre si abbatte sui grandi uomini come sulle piccole persone che punteggiano la faccia della Terra. Questa volta deflagra sullo scrittore e la ballerina. In un romanzo sfacciato come il sesso e tragico come un sorriso, in cui Cavina racconta, senza risparmiare niente a se stesso, la vita, la disfatta, l’amore.