HAPPY BIRTHDAY Barbie
La bambola più famosa di sempre compie 60 anni. Festeggia con due nuovi modelli attenti alla sensibilità che cambia, il primo film in cantiere e un progetto globale rivolto alle giovanissime. Parola d’ordine: mai smettere di sognare
EEro ancora una bambina quando ricevetti il no secco dei miei genitori alla richiesta di una piscina per la Barbie. Quel dolore lo ricordo ancora. «Tutti hanno un aneddoto simile», rassicura Kim Culmone, dal 2013 vice presidente di Barbie Design. Maglia nera, jeans scuri, stivali comodi, look da tastierista di una band new wave anni ’80, è la donna grazie a cui, il 9 marzo, Mattel può festeggiare in grande il 60esimo compleanno della sua beniamina, con una posizione solida sul mercato, una voce credibile su temi attuali quali la diversità, l’inclusione, l’emancipazione femminile, e uno sguardo lungimirante al futuro. «Le bambine smettono di sognare a cinque anni», spiega Culmone. «Svariate ricerche dimostrano che, già in età prescolare, cominciano a perdere fiducia in se stesse e a rinunciare all’idea che, da grandi, potranno svolgere qualsiasi professione. Il fenomeno si chiama Dream Gap: per combatterlo, quest’anno Barbie ha avviato il Dream Gap Project, un’iniziativa globale che mira a fornire alle preadolescenti le risorse e il supporto per continuare a credere nei propri sogni». In fondo, nel 1959, Ruth Handler creò la bambola proprio per mostrare alle ragazzine che sarebbero potute diventare pompiere, veterinarie, maestre, chirurghe o una qualunque delle oltre 200 professioni incarnate da Barbie nei suoi primi 60 anni di vita. Nel 1965, quattro anni prima che Neil Armstrong cammini sulla Luna, la Barbie diventa astronauta. Nel 1989 è pilota di aerei. Nel 1991, candidata alla Presidenza degli Stati Uniti. Culmone lo racconta al termine di una giornata trascorsa a El Segundo, il quartier generale di Mattel. È in questo capannone adiacente all’aeroporto di Los Angeles che le nuove Barbie prendono vita grazie al lavoro di un centinaio di addetti specializzati. I designer realizzano uno schizzo che, trasformato in prototipo, viene inviato alle fabbriche in Cina e in Indonesia per la produzione di massa. La prima fase, però, è ancora interamente artigianale: dal disegno alla pittura del viso realizzata con pennarelli sottilissimi, dalla scelta dei tessuti alla creazione degli abiti, minuscoli ma perfetti in ogni dettaglio. Persino i capelli sono impiantati a mano da una signora con competenze da hair stylist e fare materno che prima li fissa alla cute con una sorta di macchina per cucire, poi li spazzola, li taglia, li acconcia in diverse pettinature. Purché sempre, o quasi, bionde. Già, perché, fino a poco tempo fa, qualsiasi professione svolgesse, Barbie aveva comunque gli stessi colori Wasp, il medesimo corpo slanciato, le stesse misure perfette: l’immagine prevaleva sulla personalità, regalando alla società una sorta di macchia di Rorschach sulla quale proiettare ansie, paure, fantasie riguardo alla fisicità femminile. Nel 1997 una di queste visioni prende la forma di una canzone: gli Aqua intonano «I’m a Barbie girl, in a Barbie world» sancendo definitivamente l’equazione tra la bambola e un’estetica vuota che sa di plastica e consumismo. Non poteva durare: come spesso accade alle celebrity, anche Barbie ha dovuto affrontare un drastico cambio di immagine. Dal 2012 al 2014 le vendite sono crollate, rispettivamente, del 2, del 6 e del 14 per cento, dando così la possibilità a Lego Friends, una linea di giocattoli progettata per insegnare alle ragazze a costruire,
di affermarsi come leader mondiale nel settore. Non solo: un’altra concorrente, Hasbro, si aggiudicò l’affare delle Principesse Disney tra cui spicca Elsa di Frozen, che oggi sventola il primato di giocattolo più popolare tra le bambine. Perdita stimata: 500 milioni di dollari. Disorientata, l’azienda commissionò un sondaggio. «I risultati furono drammatici», racconta Culmone. «La maggioranza degli aggettivi associati a Barbie era negativa: superficiale, consumista, vuota, non in contatto con la realtà, portatrice di un ideale di bellezza irrealistico». Mattel capì che era ora di ripensare al suo prodotto più famoso. «Ho riunito il mio team e ho detto loro: immaginate di fondare il marchio oggi e immaginate di non avere regole. Che cosa fareste? La risposta è stata univoca: più diversità nel colore della pelle e nelle proporzioni del corpo. Abbiamo iniziato a lavorare in quella direzione». L’operazione è stata tenuta segreta per tre anni. Nome in codice, Project Dawn: ovvero, progetto alba. Poi, il 28 gennaio 2016, il mistero si è svelato: all’interno della linea Fashionistas, Mattel ha inserito tre nuove silhouette (la «Petite» per la Barbie bassa, la «Tall» per la spilungona, la «Curvy» per quella formosa), sei differenti carnagioni, 19 colori di occhi e 20 tipologie di capelli, decretando così la fine di uno standard di bellezza univoco. Le nuove Barbie riflettono più da vicino il mondo di oggi: un mondo in cui la campagna per l’accettazione dei corpi di diverse taglie è sempre più forte. Un mondo in cui le bambine idolatrano icone di morbidezza, come Kim Kardashian o Beyoncé. Culmone ricorda: «La nostra scommessa poteva trasformarsi in una vittoria schiacciante o in una disfatta». È stato un successo. Che ha generato 5 miliardi di media impression sui social, che ha rivitalizzato le vendite e, in generale, ha segnato l’inizio di un’era per la Mattel. Le novità non sono finite qui: il 2019 vedrà la Barbie con le protesi e quella in sedia a rotelle, e vedrà rimpinguarsi il già ricco ventaglio della collezione Shero, ovvero le bambole con sembianze di donne realmente esistenti, da Misty Copeland, la prima afroamericana a diventare étoile di un corpo di ballo, alla top model curvy Ashley Graham, dalla regista di Wonder Woman Patty Jenkins alla ginnasta di origini portoricane Laurie Hernandez, finola calciatrice italiana Sara Gama, capitano della Juventus. Non solo. Quest’anno Barbie consoliderà la sua già consistente presenza sui social: l’account Instagram @barbiestyle sfiora i due milioni di follower e, come una vera influencer, dispone di una crew che la segue ovunque per le foto. Il canale YouTube è seguito da oltre 5,4 milioni di persone che ascoltano i consigli di Barbie Vlogger su argomenti disparati quali la depressione, l’arte di Frida Kahlo, il bullismo, le imprese dell’aviatrice Amelia Earhart. A dare corpo e voce alla bambola, l’attrice 34enne America Young che, dotata di una tuta per la motion-capture (la registrazione dei movimenti del corpo per la riproduzione), si muove, gesticola, parla. Presto, però, sarà il volto di un’altra star a essere indissolubilmente associato con quello della bambola più famosa al mondo: nel 2020 uscirà il film Barbie, un progetto a cui Mattel lavora da anni e per cui aveva inizialmente individuato Amy Schumer nel ruolo di protagonista. La scelta andava incontro all’esigenza di rappresentare una bambola non troppo perfetta. Pare, però, che l’azienda ci abbia ripensato: la parte (oltre alla produzione del progetto) andrà a Margot Robbie, la bellissima lanciata da The Wolf of Wall Street e da Io, Tonya che, alla Barbie originale, assomiglia davvero parecchio.