ROMA NON ABITA PIÙ QUI
Gabbiani famelici. Spazzatura. Buche. Traffico. Degrado. La decadenza della Capitale è un caso internazionale. Viaggio in una città smarrita che fatica a ritrovare la propria identità Roberto D’Agostino, anche se c’è chi, come minimizza: «L’unico declino c’è stato all’epoca della caduta dell’Impero, il resto è cronaca e Roma sa distinguere la storia dalla cronaca»
«Oh I love calissino!» Ma l’immondizia, le buche, la puzza? «No, no, calissino it’s fantastic, Rome it’s fantastic». E siccome lassù qualcuno sa scenografare le cose meglio di me, un gabbiano punta Tessa, 64 anni dal Maine, pazza per il calesse, fa un volo radente, risale. E le caga sulla spalla.
Per capire che cosa è successo alla nostra capitale forse basta osservare quello che è capitato ai suoi gabbiani, che la abitano dagli anni ’70 quando – si dice – l’ambientalista Fulco Pratesi ne portò un esemplare da Giannutri, capostipite di una progenie che si è esponenzialmente moltiplicata, probabilmente irrobustita, sicuramente incattivita. E che ora governa sulla città come un primo cittadino occulto e feroce. Attirati dall’immondizia che straborda dai cassonetti (breve storia triste: l’azienda della nettezza urbana ha solo il 30% dei mezzi funzionanti, gli impianti di trattamento dei rifiuti della città sono al collasso, uno si è recentemente incendiato, il resto viene spedito a carissimo prezzo ai termovalorizzatori del Nord), i gabbiani romani tra volare e mangiare la spazzatura scelgono la seconda. E se non è una potente metafora questa, non so. «I più giovani sono belli bianchi, e dopo un po’ li vedi: uno senza una zampa, uno cecato da un occhio, quell’altro ha cambiato colore e non vola più. Per forza: ’a monnezza mica è sana», dice Maurizio che da 30 anni fa lo spazzino per l’Ama, la società che si occupa della nettezza urbana. Nella sua lunga carriera, racconta, ha visto di tutto: «Aprendo i cassonetti c’ho trovato dentro serpenti boa, sostanze radioattive, cristiani che ci dormivano perché non avevano trovato posto in hotel. Ma la situazione di adesso è la più demenziale di tutte». Maurizio ha viaggiato un po’, e ovunque sia andato ha studiato, con l’aiuto della figlia ingegnere ambientale, lo smaltimento dei rifiuti ed è arrivato alla conclusione che quello di Roma è uno dei peggiori: «Ci sono troppi interessi dietro questa azienda. E siamo gestiti da ingegneri solo sulla carta, messi lì dalle spinte politiche e che non sanno fare nulla: per questo ci si appoggia per tutto ai consulenti esterni». Lui e altri colleghi curano la pagina Facebook LILA Laboratorio Idee Lavoratori Ama, nata per dialogare coi cittadini, per dare e ricevere consigli pratici che però, nel tempo, si è trasformata in un’occasione di denuncia per gli operatori ecologici stessi e i romani che, dice Michele, «sono i miei veri datori di lavoro. E, come noi, sono esasperati».
Luca Laurenti più che esasperato si dice disperato. Biologo di fama del Policlinico Umberto I, da qualche tempo gira incessantemente per la città con la sua bici e, con dei video, ne testimonia il degrado. «I miei filmati non cambieranno la situazione, ma forse potranno aprire gli occhi a quelli che credono
alle bugie che ci raccontano, al “va tutto bene”. Ma se devo essere onesto, credo di essermi buttato in questa impresa solo per me, perché non pensino di prendermi per il culo». Con questo spirito, letto l’annuncio dell’assessora all’Ambiente Montanari «Abbiamo piantato 5 chilometri di fiori», il biologo ha pedalato con il metro in tasca fino alla Cristoforo Colombo – infinito vialone alla periferia della città – e ha misurato. «E a parte l’assurdità della scelta di spendere soldi per piantare ciclamini in una città dove niente funziona, ho anche scoperto che hanno detto una balla: li hanno messi su una lunghezza che non è di cinque chilometri, ma di uno e otto». I video di Laurenti sono spesso pubblicati anche sulla pagina Facebook di Tutti per Roma. Roma per tutti, un gruppo nato per iniziativa di 6 donne nel maggio del 2018 dopo la morte di Elena Aubry, 26 anni, sbalzata dal suo motorino per colpa di una buca mentre percorreva la via Ostiense. Tra le fondatrici c’è Francesca Barzini, da poco in pensione dopo una vita come autrice e giornalista Rai. «Abbiamo 24 mila iscritti alla nostra pagina, un dialogo fitto e costante coi cittadini, tanti volontari: il 24 ottobre scorso abbiamo organizzato la manifestazione #romadicebasta dove c’erano cittadini di sinistra, cinque stelle delusi e anche elettori del centrodestra, il disagio ci accomuna tutti». Più difficile invece il rapporto con il Comune: «Composto da analfabeti amministrativi: non sanno niente, rispondono in modo opaco e vago, tanto per dire qualcosa». Tra le fondatrici c’è anche Valeria Grilli, architetto e presidente del Fai Lazio, che racconta come il degrado del verde urbano sia, per i cittadini, un elemento di rabbia, ma anche di coesione. «Se il giardinetto è incolto perché il Comune ha ridotto i giardinieri, i bambini non ci possono andare a giocare, ma le persone, invece di arrendersi, spesso si rimboccano le maniche e si fanno carico loro di quel verde», mi racconta mentre saliamo le scale verso il Campidoglio, ai cui bordi ci sono incongrue fioriere. «Sono di plastica, e i fiori non sono di stagione», sibila, scuotendo la testa. In questo vuoto di cura l’iniziativa personale è l’unica possibilità, sia a livello individuale (la città è tappezzata di volantini affissi da extracomunitari che dicono: «Voglio integrarmi, non chiedo l’elemosina ma pulisco la strada, in cambio vi chiedo un piccolo contributo, 50 centesimi, grazie») sia a livello collettivo: dal movimento Retake, che nasce proprio a Roma nel 2009 e ora è presente in
«IL COMUNE È FORMATO DA ANALFABETI AMMINISTRATIVI: NON SANNO NIENTE»
35 città italiane, alle piccole iniziative che coinvolgono anche un solo condominio.
Piazza Cairoli, tra il ghetto e Campo dei Fiori, in pochi metri quadrati racconta tantissimo di questa città. A spiegarmela comincia padre Rodrigo, parroco di San Carlo ai Catinari, la chiesa che si affaccia sulla piazza, ma che non c’è, chiusa dal 30 ottobre del 2016 quando l’onda lunga del terremoto con epicentro Norcia ha creato delle crepe nella cupola sorretta dalle 4 virtù cardinali dipinte dal Domenichino, messe a dura prova più che dalle scosse dalla burocrazia. In questi oltre due anni la già non abbondantissima comunità di parrocchiani ha seguito il Don che prima ha detto messa in una cappella attigua, poi in un piccolo teatro e ora nella vicina Santa Barbara dei Librai. «Vicina, ma lo stesso alcuni fedeli non vengono più». I fedeli più fedeli, però, sono arrabbiati, «Non capiscono perché non è ancora stato fatto niente per rendere di nuovo agibile la nostra chiesa. Ogni tanto qualcuno delle Belle arti veniva, prendeva una misura, montava un’impalcatura, e poi spariva. Hanno anche messo dei sensori, mi sono accorto io che non funzionavano. Da poco sono tornati, hanno detto che si inizia col restauro. Quando? Ah, questo non lo hanno detto. Io sono come Penelope, aspetto». Mentre mi racconta, passeggiamo nel giardinetto – curato dall’associazione di cittadini Guglielmo Hüffer – della piazza, dove alcuni uomini filippini distribuiscono piatti di cibo: «Chi ha bisogno lo sa, e viene qui per un pasto caldo. Anche gli italiani vengono», spiega il parroco. Chi aveva un bel progetto per ridare vita a questa piazzetta è Pierluigi Roscioli, proprietario, insieme al fratello, di un forno storico e di un ristorante che è diventato uno dei motivi per cui gli stranieri vengono a Roma. «Il fondatore di ResDiary, la piattaforma di prenotazione che utilizziamo, ha voluto conoscerci per capire perché una salumeria con cucina avesse liste di attesa lunghe quanto quelle di Bottura», racconta. Pierluigi – 10 zii, tutti panettieri – ha cominciato a lavorare al forno a 11 anni, e dalle sue vetrine ha visto passare la storia della città, e abbassare le saracinesche nei suoi momenti più difficili. Ora hanno 120 dipendenti, uno stabilimento di pane biologico alla Magliana, chef da tutto il mondo
«ROMA HA SEMPRE RESISTITO A TUTTO, È LA SUA FORZA E LA SUA MALEDIZIONE»
che chiedono di passare dalla loro cucina che in 19 metri quadrati sfama almeno 400 coperti al giorno. «Avrei voluto farmi carico completamente della manutenzione e riqualificazione della piazza, pensavo nelle serate estive di organizzare anche un piccolo cinema all’aperto. In cambio chiedevo di usare il capanno degli attrezzi dei giardinieri, ormai abbandonato, come bar. Dopo infiniti tentativi mi sono arreso, non se ne fa niente. Da imprenditore dico che questo è il punto più basso per questa città. Però poi passo su Ponte Sisto, mi guardo intorno e mi passa ogni rancore. Roma ha sempre resistito a tutto, è la sua forza, e la sua maledizione».
Rino Barillari è il paparazzo romano per antonomasia: ogni amore, tradimento, eccesso o dolore di quelle che una volta si chiamavano star lui lo ha testimoniato con le sue foto, «qualcuna l’ho anche buttata, però». Si sveglia tardi, beve svariati caffè a piazza Navona, poi di notte prende il motorino e gira per i locali. Lo scorso luglio è caduto dalla moto per una buca, zoppica ancora, è in causa col Comune. «A Roma? Non succede più niente», mi dice scuotendo la testa «Gli attori stanno traslocando tutti a Milano, la notte è un mortorio. La vera vita mondana non esiste più: in città rimangono solo i personaggi televisivi, e i politici. Persino Valeria Marini è andata a Milano». Milano è probabilmente la parola più spesso pronunciata dai romani, ultimamente. Quel posto che faceva schifo, e adesso invece. «Se vai a Milano 5 giorni, torni e stai male», dice Carlo Verdone, che per la sua città si è speso molto, anche per l’ultimo referendum per la liberalizzazione dei trasporti dello scorso novembre, a cui ha partecipato, però, solo il 16 per cento dei cittadini. «Dopo quel fallimento penso che la città sia irriformabile, come – scusi se le parlo di malattie – un malato che andava operato tempo fa, e ora è troppo tardi. Ma ha trovato il medico pietoso, e il medico pietoso, si sa, fa la piaga purulenta. È un paragone che fa schifo, lo so. Ma fa schifo pure ’sta situazione». Chi invece si dice per nulla preoccupato è Roberto D’Agostino che, seduto su una delle sue poltrone a forma di fallo (è una delle tante opere d’arte della sua casa che dà su un’ansa del Tevere), sentenzia: «L’unico declino di Roma è avvenuto con la caduta dell’Impero. Il resto è cronaca, e Roma, come diceva Flaiano, sa distinguere la Storia dalla cronaca. Ovvero tutto passa, anche questa stagione. Se esci dal portone e c’hai una fontana del Bernini, come fai a dire che la città declina? Ovvio poi che ognuno vede quello che sa: se non sai niente, non vedi un cazzo». L’unica nostalgia che è disposto ad ammettere è quella per le cene a cui partecipava negli anni Ottanta, quelle per cui ti preparavi perché al tavolo avevi Sergio Leone e Scola, gente con la battuta pronta e feroce, che adesso non trovi più da nessuna parte. Non pensa di guardare le cose da un punto di vista, per lo meno geograficamente, privilegiato?, chiedo. «Ma no, a Roma il centro non è esclusiva dei ricchi, sotto casa c’hai il pizzettaro come in periferia. Roma non è mai diventata metropoli perché è rimasta mischiata, non è come Manhattan dove, per cambiare vita, devi attraversare il ponte. Questo è un paesone, e tutto passerà. ’Sti cazzi».