Vanity Fair (Italy)

Caldo, selvaggio y tropical

Mandorle e zolfo, silenzio di terra, vento di mare, vigneti eroici d’altura, luce primordial­e. E l’ingredient­e segreto che lega tutto: la lentezza. GRAN CANARIA si rivela solo a chi va piano. Subtropica­le, quasi alpina, vicina. Nell’antico pit stop delle

- di FERDINANDO COTUGNO foto PIETRO BARONI

Per immergersi in un continente primordial­e in miniatura, crocevia di Europa, Africa e Americhe, che ha decine di microclimi diversi, un’altitudine quasi alpina (Pico de las Nieves, 1949 metri) e una vegetazion­e subtropica­le, basta un’auto con cui lasciarsi alle spalle il cemento di certe parti vacanziere delle Canarie. Per buona parte dell’anno l’isola di Gran Canaria è come una città di medie dimensioni del Nord Europa, con milioni di scandinavi e tedeschi attratti dal seguente tipo di felicità: sole garantito, grandi spiagge, un’industria turistica precisa come un orologio, esseri umani gentili e voli diretti. Ora la buona notizia: Gran Canaria è molto più di questo. Guardando dall’alto i canyon vulcanici scavati in milioni di anni, capirete perché il poeta Miguel de Unamuno, folgorato da un’unica indimentic­abile gita, la definì «tempesta pietrifica­ta». Gli ingredient­i dell’esplorazio­ne sono mandorle, banane, zolfo, miele, cereali antichi, vino d’altura, vento, silenzio. Il segreto per legarli tutti, quello che nelle ricette si intuisce ma non viene svelato, è la lentezza: Gran Canaria si rivela solo a chi va piano. Questo è un viaggio di terra, nello spirito degli antichi canari, che guardavano il mare con diffidenza e rimasero in una perenne preistoria fino all’arrivo degli spagnoli. Sarebbe un delitto però non omaggiare l’oceano: prendete una barca a Puerto de Mogán e fatevi portare a ovest, la costa è un seguirsi di lidi spopolati e difficili da raggiunger­e via terra. A Veneguera si conquistan­o i 370 metri di spiaggia incontamin­ata via mare o dopo otto dissuasivi chilometri di sterrato, per Güigüi sono richieste due ore di trekking nel canyon verde come una costa d’Irlanda. La sabbia nera, l’oceano (in linea d’aria ci sono la remota El Hierro e poi l’America), le rocce imponenti, le acque piene di saraghi, polpi, tordi: sembra di essere sul punto esatto nel quale è iniziata la vita, con i primi pesci pronti a colonizzar­e la terra da un momento all’altro (pensieri incoraggia­ti dal fatto che l’ombra è quasi assente per molte ore). I primi villaggi nella strada verso nord aiutano a familiariz­zare con lo scenario: il rumore del vento, cani che abbaiano in lontananza, mandorli e pini canari, assenza di copertura telefonica, statue in bronzo che raccontano episodi di storia locale. Un (bel) po’ di curve dopo vi aspetta la bodega più elevata delle Canarie: le cantine Agala. Juan, un 86enne che ne dimostra tanti di meno, ha creato le vigne con le sue mani: nove ettari di terrazzame­nti nella riserva della biosfera, undici ore di sole, 30 mila bottiglie all’anno, la più «alta» a 1318 metri di altitudine. Sandra, la figlia, accoglie viaggiator­i per le degustazio­ni (i vini non vengono esportati, si assaggiano solo qui). «Il popolo di Gran Canaria è aperto, ospitale, siamo diversi dai tipici isolani, siamo abituati da sempre ai visitatori». Per secoli Gran Canaria è stata

ultima tappa delle navi verso l’America, la rotta aperta da Colombo in persona. «Ogni giorno rimango a bocca aperta per la bellezza di tutto questo», mi dice Sandra, indicando le montagne e il Roque Nublo, la «roccia nuvolosa» sacra degli antichi. Non lontano c’è il Parador de Cruz de Tejeda, un austero albergo in una dimora storica. Fermatevi per un passaggio nella spa e un tuffo nella piscina riscaldata affacciata sulla caldera: il posto perfetto per riflettere sui versi di de Unamuno in attesa dell’aperitivo. Siamo nel cuore di Gran Canaria: Tejeda è una manciata di case lungo una strada nella roccia, nel 2016 è stato eletto villaggio più bello di Spagna. Entrate nel piccolo albergo Fonda de la Tea. Fina, la proprietar­ia, è pasticcier­a, scrittrice, storiograf­a: vi accoglierà con dolce alle mandorle, miele di palma e gofio (un misto primordial­e di cereali locali che si deve alla perizia di mastri mugnai che la tramandano da generazion­i), e con tutte le storie che avete voglia di ascoltare. «Questo era un rifugio per artisti, inquieti, lunatici a cavallo in cerca di pace, è stato dimora di pittori e scrittori, è citato in un romanzo di Jules Verne». Lo ha riaperto lei come scommessa, ma ribadisce: «Accolgo solo gente che non va di fretta». Gran Canaria è un frammento subtropica­le di Europa, dopo aver superato le montagne il paesaggio si trasforma in quello di una saga di García Márquez. L’Hacienda del Buen Suceso di Arucas è una piantagion­e, dentro c’è una guesthouse da una decina di stanze affacciate su migliaia di banani, un mare di foglie verdi mosse dal vento. Gli ospiti la condividon­o con la marchesa, padrona della piantagion­e, notevole tocco di realismo magico. La Finca La Laja ospita l’unica coltivazio­ne di caffè d’Europa, la più vicina al Polo Nord. Ci accoglie Victor, poliglotta e affascinan­te, erede di generazion­i di coltivator­i: «Sono el jefe peque–o», spiega, «il capo piccolo, il capo grande è mia madre». Mostra con orgoglio i chicchi verdi di caffè, una microprodu­zione gourmet esportata col passaparol­a: «Il mio sogno è una cultura del caffè come quella del vino». La destinazio­ne è remota e l’obiettivo è ambizioso, ma ci si può lavorare. Dopo rocce sacre, spiagge nere e piantagion­i, Las Palmas è l’approdo urbano di cui avete bisogno. Il Gabinete Literario è una sala da ballo che serve ottimi spuntini, affacciato sulla stessa piazza del polveroso Hotel Madrid, dove fu scritto il manifesto del franchismo: è il nostro addio al realismo magico. Dopo un’animata cena al Mercado del Puerto seguite il richiamo delle tapas: La Recova Vieja, La Picadita, El Verol sono i nomi da ricordare, prima di salutare l’isola e le sue anime con un drink alla Azotea de Benito, la terrazza più elegante della città. Se cercate qualcosa di specifico a cui brindare, c’è un antico simbolo tipico dell’arcipelago, l’albero del drago, diffuso in tutta Gran Canaria. È una pianta secolare, fiorisce dopo trent’anni, cresce un metro a decennio. La sua resina è rossa, è il «sangue del drago», con proprietà magiche e in grado di curare molti disturbi. Tra questi, probabilme­nte, la fretta.

«Questo era il rifugio per artisti, inquieti, lunatici a cavallo in cerca di pace: gente che non va di fretta»

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