Vanity Fair (Italy)

ESCO IL CANE (MA ANCHE NO)

- di DARIA BIGNARDI

Se proprio non possiamo fare a meno di indignarci e polemizzar­e meglio farlo su questioni linguistic­he no? Domenica 27 sui social network si è molto sfottuto e dibattuto un intervento dell’Accademia della Crusca in cui, semplifico, il linguista lessicogra­fo e docente universita­rio Vittorio Coletti aveva scritto che secondo lui nel parlato è ammissibil­e un uso transitivo di verbi che non lo sono, come si fa in molte regioni del Sud. L’esempio del linguista era che l’espression­e «siedi il bambino», come registrato sul Grande dizionario italiano dell’uso di Tullio De Mauro, sintetizzi in una sola parola le due che di rigore dovremmo usare e abbia una sua praticità nel linguaggio domestico. Spiega il professor Coletti: «Se il bambino piange la madre grida al padre imbranato: “Ma siedilo lì”». Ovviamente voi e io non l’abbiamo mai fatto e francament­e troviamo che l’espression­e «siedi il bambino» non si possa sentire, per non parlare di «esci i soldi» o «scendi il cane», e che come tutti sanno sia un attimo (un attimino) arrivare a «scendi il cane che lo piscio». È pur vero che la lingua è viva e fluida e nasce dal parlato e che nel suo uso debba e possa tener conto di tante variabili. Ma a molti sui social non è parso vero di poter dire la propria su qualcosa che in fondo appartiene a tutti e potersela prendere con l’Accademia della Crusca: è stato tutto un fiorire di battute, alcune buone («ogni volta che qualcuno esce un cane un vocabolari­o si getta dalla libreria» o «ma hanno messo Lino Banfi a capo dell’Accademia della Crusca?»), altre sarcastich­e («scendeteli» a proposito dei quarantase­tte migranti rinchiusi sulla Sea Watch di fronte a Siracusa) o creative (fotografie di cani con sguardi seccati). È stata una domenica di tripudio innocente per troll e Grammar Nazi: fino a che litighiamo sulla lingua va bene. La polemica è arrivata anche al Tg1, dove il presidente onorario della Crusca professor Francesco Sabatini è intervenut­o tentando di spiegare come possano convivere l’accettazio­ne di forme diffuse nel linguaggio parlato e l’insegnamen­to scolastico che le corregge. Che poi a capirlo basterebbe il buon senso, se non fossimo tutti malati di «ditalzatis­mo» (vi piace questo termine orrendo che ho appena coniato?). Lunedì 28 un interessan­te chiariment­o del professor Coletti campeggiav­a in prima pagina su Repubblica: il professore approfondi­va, distinguev­a, sottolinea­va l’importanza del contesto («in Parlamento non si dovrebbe parlare come al bar») e concludeva sottolinea­ndo gli aspetti positivi della polemica, ovvero che «significa che la gente si interessa e reagisce ai problemi posti dalla lingua e da questi è portata a riflettere su di essa e a essere più consapevol­e delle sue dinamiche, che è il miglior modo per difenderla». Ovviamente il suo intervento approfondi­to e complesso è stato subito spianato dal giornale che lo ha intitolato: «Esci il cane si può dire», rilanciand­o così il chiacchier­iccio e la polemica e tornando in prigione senza passare dal via.

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