Vanity Fair (Italy)

Cadetti d’Italia

Per far fronte al problema dell’immigrazio­ne esiste una nuova via. È quella che 30 volontari richiedent­i asilo stanno sperimenta­ndo all’Accademia di Bergamo dove, con disciplina ferrea, si insegnano la lingua, una profession­e e l’integrazio­ne. Un modello

- di FERDINANDO COTUGNO

Nel corridoio ci sono trenta uomini, divisi in due file, sono quasi tutti africani, stanno in silenzio mentre vengono redarguiti con tono secco. È una scena che si ripeterà due volte durante la mia visita all’Accademia per l’integrazio­ne di Bergamo: è strana da vedere, scomoda, non so come e dove mettermi mentre la guardo. Il più giovane ha 19 anni, il più vecchio 42, sono richiedent­i asilo, hanno le storie di quelli arrivati in Italia negli ultimi anni: persecuzio­ne, violenza, fuga, carcere, mare, sbarco. Il nome della città che li ospita è ripetuto due volte sulla divisa che indossano: su una manica («Città dei Mille») e, come ringraziam­ento, sulla schiena («Grazie Bergamo»). L’Accademia è un progetto del Comune (30 allievi, impegnati per un anno, diventeran­no 60, forse 90) che vuole anche essere un modello, una risposta alla domanda: cosa facciamo con le 354 mila persone che hanno chiesto asilo in Italia nel corso delle ultime ondate migratorie? Come impieghiam­o le loro risorse (tempo – le domande impiegano in media oltre due anni per essere esaminate – ma anche giovinezza, talento, impegno) e le nostre (soldi, persone, spazi)? È la stessa domanda alla quale aveva provato a rispondere, con altri mezzi (e altra estetica), Mimmo Lucano, sindaco di Riace. I trenta allievi hanno l’atteggiame­nto di chi conosce la procedura e sa come superare questi rimbrotti senza intoppi. Il primo è in tarda mattinata, per un variegato elenco di infrazioni: ritardi all’adunata, un piatto rotto durante il servizio, un pacchetto di sigarette vuoto lasciato in lavanderia, «disordine». La persona che tiene il discorso è Christophe Sanchez, capo di gabinetto dell’amministra­zione Gori, francese in procinto di diventare italiano (l’ironia delle cose), aspetto marziale, leggera somiglianz­a con l’attore Tommy Lee Jones. È ideatore e «preside» della scuola, si occupa di tutto, può capitare anche di vederlo mentre insegna ai ragazzi come stirare tovaglie. Il secondo è nel pomeriggio, parla Arianna Pirotta, uno dei quattro operatori della cooperativ­a Ruah, che manda avanti l’Accademia. Arianna ha anni di esperienza a contatto con la debolezza umana, tre con i migranti. Alza la voce perché un allievo ha mancato di rispetto al capoclasse: «Ho dovuto imparare a farlo», mi spiegherà. «Operatori di altre strutture mi hanno detto: “Quello dell’Accademia è il modello giusto, ma io non sarei in grado di rispettare quelle regole”». Questo modello è stato costruito ispirandos­i ai gruppi scout, alle scuole militari, ai campus dei college d’élite, il budget rientra in quello che viene comunque speso per ogni richiedent­e asilo (i famosi 35 euro al giorno). Per responsabi­lizzare gli allievi, ogni settimana viene scelto un capoclasse, al quale si affiancano un allievo di giornata e cinque di servizio. La mattina si studia, soprattutt­o lingua e cultura

italiana. Il pomeriggio è per il volontaria­to: si raccolgono foglie, si imbiancano scuole. La sera fanno attività varie, il lunedì, per esempio, c’è canto. Cosa cantano? L’Inno di Mameli, Generale, La fiera dell’Est. Altrimenti cinema, giochi, compiti. Poi a letto. Il weekend è libero. Gli allievi dell’Accademia sono entrati a farne parte perché lo hanno chiesto e possono uscirne in qualsiasi momento: «Il patto è che, finché sei qui, rispetti le regole», spiega Sanchez. «E se esci non torni indietro». Solo uno ha rinunciato, il primo giorno: non si sentiva in grado di rispettare la norma sui cellulari. Si consegna il telefono al mattino, pausa wi-fi e social dopo pranzo, restituzio­ne, altra pausa la sera, poi la connession­e viene staccata alle 23. Per chi ha la famiglia a migliaia di chilometri non è una rinuncia da poco. Al modello sono arrivate critiche opposte. Da destra, perché l’integrazio­ne non fa parte dell’agenda e trenta rifugiati volenteros­i, rispettosi ed educati non rientrano in nessun format di post del ministro dell’Interno sui social. E da sinistra, perché accusato di cancellare l’identità delle persone e di promuovere una visione di accoglienz­a per merito: o sei omologato o sei sommerso. Piace invece a chi ha un’idea pragmatica delle cose, come Confindust­ria, che ha messo a disposizio­ne i tirocini, il secondo stadio del progetto. La Bergamasca è una provincia ricca e ha settori affamati di manodopera: tessile, meccanica, automotive. Ma, cosa più importante, l’Accademia piace a chi la frequenta. «Quando ero al Gleno non avevo niente da fare tutto il giorno, almeno qui imparo qualcosa», spiega Souleymane Coulibaly, 25 anni, maliano, un anno di carcere in Libia prima di arrivare in Italia. Il Gleno è il Cas, il Centro di accoglienz­a straordina­ria di Bergamo del quale l’Accademia è la costola d’élite e nel quale ha pescato gli allievi. «Voglio prendere la patente e fare l’autista, guidare quello che volete». È scappato minorenne dal Mali fondamenta­lista del Nord, la cosa più voluminosa che abbia mai guidato è un motorino, ma ha il sorriso ottimista di chi, per la prima volta, ha una specie di piano. Nel weekend va in giro per laghi e montagne della provincia. Isaac Yeboah è ghanese, di anni in una prigione libica ne ha passati quattro, tutta l’adolescenz­a, ha 19 anni e l’aria di un trentenne. È entusiasta dell’italiano che sta imparando, è uno di quelli con livello A2, potrebbe fare l’esame di terza media da privatista. «Ho imparato come essere educato». Uno dei punti fondativi è che si usa sempre il lei. È una sottigliez­za, ma nel mondo reale torna utile. Qui arriva il primo problema dell’Accademia: Coulibaly e Yeboah sono evidenteme­nte bravi ragazzi con voglia di integrarsi e rendersi utili, questa struttura offre loro strumenti linguistic­i, formativi e culturali per farlo, ma non può fare niente più di così. La risposta alla domanda di protezione umanitaria non è legata al successo di questo percorso, alla fine rischiano di trovarsi con un buon italiano e un tirocinio riuscito ma senza diritto a rimanere in Italia. Il Consiglio comunale di Bergamo, sostenuto dall’Anci (l’associazio­ne dei Comuni), aveva proposto di creare un permesso di soggiorno per provato desiderio di integrazio­ne, da riconoscer­e a chi fa volontaria­to, studia l’italiano, segue un tirocinio o ha trovato un lavoro. Insomma, una rete per salvare gli allievi dell’Accademia che non avessero ottenuto asilo. Non è passata: «Finché il governo ci taglia le gambe, non c’è prospettiv­a, ma dopo le Europee dovranno iniziare a governare davvero», spiega Sanchez. «Quando non saranno più in campagna elettorale, affrontera­nno la vera emergenza, che non sono 47 poveri cristi su una nave ma le centinaia di migliaia che sono già in Italia e che è impensabil­e mandare via». Il secondo problema lo avete intuito da queste foto: il modello per ora prevede solo uomini. Le ragioni sono diverse: il Cas Gleno è maschile, inoltre le donne sono spesso accompagna­te da minori e hanno bisogno di un percorso di assistenza completame­nte diverso. E sono una percentual­e ridotta del totale (16,2%), anche se in crescita (nel 2014 erano il 7,5%). «Fino a quando l’Accademia non avrà sviluppato una case history al maschile, non immagino una versione al femminile», è la sintesi di Sanchez. «Ho studiato Teologia per 24 anni e alla fine ho scoperto che non c’era niente». Rahmat Nizar Khan è l’unico laureato dei 30 allievi. Era uno studioso e mi spiega ciò che gli è successo in Pakistan, dove è nato 38 anni fa e da cui è scappato a causa di una condanna per blasfemia: «Hanno bruciato tutti i libri che possedevo, poi sarebbe toccato a me». È arrivato in Libia, dove ha fatto il saldatore fino alla guerra civile. L’Europa non era nei piani, troppo costoso e pericoloso, ma quando la Libia è esplosa non ha avuto alternativ­e. «Questa divisa mi piace, è un modo chiaro per spiegare agli italiani che ho voglia di capirli ed essere capito, che sono qui per rispettare le regole». Ha una moglie e due figli, se otterrà asilo lo raggiunger­anno. Ogni mattina fa dieci minuti di meditazion­e prima di iniziare la giornata e indossare la divisa.

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