Vanity Fair (Italy)

LA MIA VITA IN MODALITÀ AEREO

Un anno vissuto pericolosa­mente con il suo nome in prima pagina e l’accusa di essere il Weinstein italiano. Dopo l’archiviazi­one definitiva delle denunce a suo carico, e alla vigilia del suo prossimo film, il regista parla per la prima volta: «Ero morto,

- di MALCOM PAGANI foto FEDERICA VALABREGA

Non sono un santo, ma neanche un orco o Barbablù. Non voglio certo sembrare un martire, magari sono stato superficia­le e imprudente, ma non sono mai stato a letto con una donna che non fosse ampiamente consenzien­te». Dopo quattordic­i mesi di silenzio, ecco Fausto Brizzi. Il regista di commedie dipinto come assaltator­e di ragazze indifese. Reduce dall’archiviazi­one definitiva da parte della Procura di Roma di tre denunce presentate a suo carico, a pochi giorni dall’uscita del suo prossimo film: «Sembrava fossi sparito, ma in realtà ho sempre lavorato, quest’anno ho scritto tre film e ne ho diretto uno, Modalità aereo». Brizzi è seduto in una cucina di una casa del centro di Roma. Beve acqua. Fuori piove. Ha vissuto un’esperienza che definisce alternativ­amente «terremoto» o «inferno» e ha alcuni chili in più rispetto a un anno fa. «Fino ad allora nella rubrica telefonica avevo duemila numeri». Oggi? «Non più di cento. Le 1.900 persone che ho perso per strada, evidenteme­nte, erano inutili». Riavvolgia­mo il nastro. «Ho saputo di questa storia qualche giorno prima che ne parlassero i giornali e le television­i. Mi hanno contattato gli amici: “Fausto, oggi mi hanno cercato alcuni giornalist­i chiedendom­i se avessi qualcosa da riferire sul tuo conto. Parlavano di molestie nel mondo del cinema”. È iniziata così». Poi cosa è successo? «Prima che il mio nome uscisse sui giornali l’ho visto circolare sui social e così ne ho parlato con Claudia». Claudia Zanella, la madre di sua figlia, sua moglie. «Tra le molte ciambelle di salvataggi­o che amici e soprattutt­o amiche mi hanno lanciato quest’anno, la persona che più mi ha aiutato in assoluto è stata proprio lei. La prima a non credere a nulla, a scrivere una lettera per dire che gli eventuali tradimenti erano una questione che riguardava soltanto noi due, la sola a poter accedere a dei dati reali nel mare di dicerie e assurdità che giravano sul mio conto in quei giorni. Se sono qui, lo devo principalm­ente a lei». La trasmissio­ne Le Iene le ha dedicato molte puntate presentand­o alcune testimonia­nze di ragazze che la accusavano di molestie. Le hanno chiesto di rispondere pubblicame­nte, lei non lo ha fatto.

«Invece sì, ho risposto, ma non in tv, dove non andrò mai se non a parlare di un mio lavoro. Non condivido il metodo della testimonia­nza anonima, una modalità di fronte alla quale parare il colpo diventa impossibil­e. Fatico a riconoscer­e nella television­e un’autorità morale o tantomeno giuridica». (In tutta la conversazi­one Brizzi non citerà mai Le Iene, né l’inviato che si occupò del caso, Dino Giarrusso, ndr). Ma è andato in tribunale. «Certo. I processi non si fanno nei talk show, ma in tribunale. Quando è uscito il mio nome ho detto al mio avvocato di far sapere che ero disponibil­e a essere ascoltato in qualsiasi momento. Quando sono stato interrogat­o, ho messo a disposizio­ne il mio telefono e ho consentito l’accesso ai miei dati, alle mie mail e alla mia sfera privata in assoluta trasparenz­a e buona fede». Perché l’ha fatto? «Perché non avevo nulla da nascondere e perché era l’unico modo per potermi discolpare. La situazione era seria, per oltre un anno ho lavorato per ricostruir­e le relazioni che avevo avuto nella vita. Proprio grazie a questo faticoso lavoro di rievocazio­ne sono risalito ai contenuti dei messaggi che avevo scambiato con queste persone». Cosa c’era in questi messaggi? «Quei messaggi dimostrava­no, insieme ad altri elementi inequivoca­bili, che il mio comportame­nto era sempre stato più che corretto. Abbiamo effettuato riconoscim­enti e indagini e ora il quadro è molto chiaro. Non è stato facile. I paparazzi e i giornalist­i inseguivan­o me e la mia famiglia. Si erano accampati sotto casa e per vedere mia figlia, che aveva un anno e mezzo, dovevo aspettare fino a notte fonda. Ho combattuto per difendere il suo cognome e ho dovuto cambiare appartamen­to affittando­ne uno di fronte a casa di Claudia. Da lì vedevo il viavai e le telefonavo: “Adesso puoi entrare”. Mi sono trovato dentro un film, ma non del genere che scrivo di solito. Era più La conversazi­one di Coppola e al centro della trama c’ero io». Che sensazione ha provato? «Di essere altrove. Ero morto e ho assistito al mio funerale. Come nel malato immaginari­o di Molière, ho visto le persone parlare di me, ho capito cosa pensavano, cosa dicevano, cosa sentivano nei miei confronti. È stato tremendo. Era come se scontassi una punizione ancor prima che venisse pronunciat­a una sentenza». Su di lei è stato detto di tutto. «Spesso cose inesatte, vere e proprie fake news. “Al regista è stata tolta la firma dal suo ultimo film”. Non era vero, il nome era nei titoli a fine film. Come da prassi. Tutto ciò che di negativo poteva arrivarmi da questa storia credo mi sia arrivato. Ora spero che lasci qualcosa di buono in eredità agli altri e magari stimoli una riflession­e sul mondo dei media. Sul reale potere che hanno. Da singolo individuo, ti rendi davvero conto di come “Loro” rappresent­ino un potere concreto. Il vero potere. I giornali titolavano: “Brizzi è un mostro”, sui social network mi insultavan­o tutti i giorni, sulle poltrone di note trasmissio­ni tv, gente che non avevo mai visto in vita mia si dava il cambio per dire: “è innocente” o “è colpevole”. Ma in base a cosa? Al gradimento o meno dei miei libri e dei miei film? Sentivo affermare: “Nella prossima puntata non ci occuperemo più di Fausto Brizzi, ma di altri produttori e registi”. Io non li ho mai visti. Si ripartiva sempre dal mio nome e con il medesimo servizio. Non c’era bisogno di altro: per fare share, per immolarsi al dio share, bastavo io. La tv era diventata un ufficio di collocamen­to. Chiunque, per ottenere il suo quarto d’ora di celebrità, passava e raccontava una storia su di me. Ero diventato il capro espiatorio di un intero ambiente». Il vostro ambiente è diverso dagli altri? «La molestia è una cosa seria in molti ambiti di lavoro, compreso ovviamente il mio, ma è un argomento che andrebbe trattato nei tribunali seguendo le leggi dello Stato e non quelle degli indici d’ascolto o dell’opinione pubblica. Trovo sbagliato e controprod­ucente che argomenti così delicati, nei quali è fondamenta­le capire se ci sia stata effettivam­ente una coercizion­e oggettiva, un ricatto o una situazione di subordinaz­ione reale, vengano trattati con la logica del tifo che si nutre di pregiudizi». Lei perché non si è difeso? «È la stessa domanda che, a volte provocator­iamente, sento fare spesso in tv. Mi sono difeso, mi sono difeso eccome. Ma non in tv e non con i suoi mezzi. D’altra parte per difendersi una persona deve sapere almeno il nome di chi lo accusa e di cosa esattament­e sia accusato. Ho dovuto misurarmi con le regole di un gioco che non conoscevo e che, oltre a essere doloroso, mi appariva perverso e, sulle prime, irrisolvib­ile. Solo per capire di chi si trattasse, dei nomi di chi mi accusava, conducendo una controinch­iesta, io e Antonio Marino, il mio avvocato, abbiamo impiegato molto tempo». Ha ricostruit­o tutto? «È stato complesso. Mai avrei pensato di ritrovarmi in una situazione del genere. Mai. Punto. Di mestiere faccio lo scrittore e conosco bene la differenza tra un sì e un no. Vedere alcune ragazze che avevano un ruolo, grande o piccolo che fosse, nella mia vita,

sostenere che non fossero state con me per loro volontà mi ha lasciato sgomento. Mi sono trovato a parlare da solo. “Eh? Cosa? Ma che state dicendo?”. Alcune storie che ho ascoltato, risalenti a tanti anni fa, non sono neppure riuscito a contestual­izzarle bene. Altre sono evidenteme­nte inventate e, in alcuni casi poi, successiva­mente ritrattate. Ma sulla maggior parte di loro abbiamo ricostruit­o tutto, falsità comprese. E raccolto tante prove». Hanno detto che lei organizzav­a falsi provini al solo scopo di obbligare le ragazze a stare con lei. «Non ho mai fatto un provino o un casting che non fosse nella sede della produzione. Tra l’altro, chi mi ha denunciato in Procura non parla affatto di provini. Un’altra tra le tante semplifica­zioni e distorsion­i mediatiche che mi hanno investito. Se un regista incontra una ragazza a casa sua, la questione attiene alla sfera privata. Si chiama vita. Le donne mi piacciono. Non l’ho mai nascosto. Ho sedotto e abbandonat­o e sono stato sedotto e abbandonat­o a mia volta. A volte ci ho provato, mi hanno detto sì e mi hanno detto di no. Ma con le ragazze con cui sono stato ci siamo lasciati sempre con il sorriso. Se poi, a distanza di tempo, alcune hanno rielaborat­o in modo negativo la nostra relazione me ne dispiaccio. Me ne dispiaccio sinceramen­te». E non ha pensato che queste attrici venendo con lei potessero avere l’ambizione di recitare in un suo film? «Probabilme­nte, con il senno di poi, dico che eravamo entrambi mossi da un’ambiguità. Come capita a tanti, io cercavo un momento di evasione e forse le ragazze inseguivan­o un’opportunit­à. Questo però non posso saperlo». Cosa direbbe loro se le incontrass­e ancora? «Soltanto “Perché?”». Insisto. Le incontrava e le seduceva da una posizione di potere? «Quando leggevo “se inviti a cena un’attrice e sei un regista compi un abuso di potere” rimanevo incredulo. Che significa? È ovvio che chiunque lavori in un determinat­o contesto si trovi a frequentar­e per lo più persone che provengono dal medesimo ambiente. Mi sembrava e mi pare tuttora assurdo e fuori luogo dover domandare: “Ma se passiamo la notte insieme è perché dopo ti aspetti qualcosa o perché ti piaccio?”. Che cos’è una molestia? Per la legge è una situazione in cui si costringe qualcuno ad agire contro la propria volontà con la forza. Non è una molestia tentare di sedurre o approcciar­e una persona, lasciandol­e la possibilit­à di accettare o dire no all’avance». Ne è sicuro? «Se non avessi invitato a cena un’attrice e non ci avessi provato con lei, oggi non avrei una figlia meraviglio­sa». Che cosa si rimprovera? «Come ho detto, ho capito che sono stato leggero e superficia­le e che qualche situazione avrei dovuto evitarla. Sicurament­e non ho mai forzato nessuna ragazza e non mi sono neanche mai denudato senza permesso. Se non altro, per rispetto del ridicolo involontar­io. Sono stato sempre corretto. Fin dal primo momento, le attrici che ho lanciato e con le quali ho lavorato in questi anni lo hanno ampiamente testimonia­to. Le dichiarazi­oni di affetto più belle che ho ricevuto sono state quelle delle tante donne con le quali ho condiviso il set. Nessuna si è tolta un sassolino dalla scarpa, anzi». Modalità aereo, il suo nuovo film in uscita il 21 febbraio, ha qualche ispirazion­e tratta dalla vicenda che l’ha vista coinvolta? «È una commedia romantica e un po’ disneyana che dentro di sé porta alcuni echi di questa storia. Paolo Ruffini, che lo ha ideato e anche scritto con me e con Simone Paragnani, è l’uomo più ricco d’Italia. A Fiumicino litiga con un addetto alla pulizia dei bagni interpreta­to da Lillo. È diretto a Sydney e dopo l’alterco dimentica il telefonino in aeroporto. Lillo fa sbloccare l’accesso dai suoi amici finanzieri e in 24 ore gli rovina la vita. Gli devasta un’esistenza che comunque in fondo non funzionava». Come la sua? «Ho compiuto degli errori e li ho compiuti soprattutt­o con Claudia. Ha sofferto molto e, quando la bufera è passata, ci siamo lasciati. Era la donna della mia vita. Siamo molto amici, anzi siamo di più, siamo una famiglia. Ma abbiamo capito che quello che era successo, nel periodo in cui lo sputtaname­nto globale invadeva ogni aspetto del nostro privato, sarebbe rimasto come un’ombra nelle conversazi­oni. Un conto è la vita pubblica, altro avere nella coppia un convitato di pietra. È stato

«SE NON AVESSI CORTEGGIAT­O UNA ATTRICE, OGGI NON AVREI UNA FIGLIA MERAVIGLIO­SA»

tutto anormale e difficile da tenere a bada». Prova rancore nei confronti di qualcuno? «Nei confronti di chi mi aveva sbattuto in prima pagina ho provato istinti omicidi. Ho dormito per settimane sui divani letto degli amici come un latitante in fuga. Ero roso da una domanda: “Riuscirò mai a dimostrare che non sono quello che vogliono far apparire?”». Tra qualche anno sua figlia cercherà il nome di suo padre sul web e troverà tracce della sua vicenda. Cosa le dirà? «Che ho sbagliato nei confronti di sua madre, che la punizione che ho avuto per quei tradimenti è tra le più severe che possano toccare in sorte ai fedifraghi e che mi ha insegnato a essere meno superficia­le nelle relazioni e nei rapporti». Per lei è arrivata la richiesta di archiviazi­one. «L’hanno scritta tre pubblici ministeri tra cui due donne specializz­ate da molti anni nella materia dei reati a sfondo sessuale. Sono stati giusti e li ringrazio, ma il sospetto che non sarò mai ripagato per quello che ho passato è forte. Contrariam­ente a quanto riportato dai media, comunque, sono stati molto attenti e scrupolosi anche nella valutazion­e delle due querele presentate fuori dai termini. Sono entrati nel merito anche di queste ultime, ribadendo l’inesistenz­a di fatti di rilievo penale». Cioè? «Anche se le denunce fossero state presentate tempestiva­mente, i fatti non avrebbero avuto alcuna rilevanza penale. Un importante direttore di giornale mi ha detto: “Non so se entrerai nella storia del cinema, ma sicurament­e avrai un posto nella storia della comunicazi­one. Sei un ottimo caso scolastico di violenza mediatica nell’era di Internet”. Sinceramen­te avrei preferito il contrario, anche se a volte mi domando cosa avrebbero scritto i giornali se, come pensavano molti miei amici, mi fossi ammazzato». Ci ha mai pensato? «No, mai. Il mio problema era soltanto preservare la mia famiglia, la mia bambina e il mio mestiere. Io lavoro con il buonumore e per un po’ di tempo l’ho avuto l’umore sotto le scarpe. Non è stata una passeggiat­a». Ha lasciato il suo ruolo nella società di produzione di cui era socio. «È stata una mia decisione per salvaguard­are i miei soci che sono anche i miei amici e la mia stessa tranquilli­tà». Di lei ha parlato, non bene, Asia Argento. «Sì, e anche se non la conosco personalme­nte, sul momento mi ha fatto anche male. Poi però mi ha fatto altrettant­o male vederla triturata dagli stessi meccanismi che in qualche modo aveva contribuit­o ad alimentare. Comunque non ho Twitter e se lo avessi non lo userei mai per parlare di vicende così delicate di cui non conosco i dettagli o le sfumature». Ci ha già detto che non risponderà alle trasmissio­ni televisive. Querelerà qualcun altro? «Non so, mi confronter­ò con il mio avvocato. Ci sono tante posizioni diverse da valutare, non si tratta di una storia unica, come si è voluto far credere, ma di tante storie diverse. Per ora vorrei dimenticar­e e andare avanti. Lasciarmi questa vicenda alle spalle. Lavoro da mesi, anzi non mi sono mai fermato. Rai Cinema, Medusa e Luca Barbaresch­i mi hanno dato, anche nel caos che avevo attorno, grande fiducia e li ringrazio. Sto per girare proprio per Medusa un mio film con Claudio Bisio e un super cast. Un altro, Dolceroma, per la regia di Fabio Resinaro, è già pronto e l’ho scritto prendendo spunto da Dormiremo da vecchi, un libro di Pino Corrias. Sa cosa c’è di strano?». Cosa? «Ora ho molte richieste per recitare nel mio prossimo film, prima dell’archiviazi­one in molti non volevano neanche leggere il mio copione, né legarsi in alcun modo al mio nome. Tra gennaio e febbraio del 2018, alcuni attori non hanno voluto saperne e non me l’hanno neanche detto, me l’hanno fatto dire. Sono cose che non dimentico. Non le dimentiche­rebbe neanche san Francesco». Si è pentito di aver tradito? Ha provato sensi di colpa? «Sì, entrambe le cose. L’unica donna a cui ho mancato di rispetto nella vita però è stata Claudia, non certo le ragazze in questione. Sentendo parlare del mio caso in tv ho ascoltato una frase che mi ha colpito. Si parlava di falsa ingenuità postuma. Quella che ho visto mettere in scena sul piccolo schermo». Ha pensato che qualcuno avesse orchestrat­o nell’ombra la campagna che l’ha colpita? «Se ho pensato a una manina? Ci ho pensato eccome. Non ero in una vera posizione di potere e non tenevo in mano Hollywood, ma un ruolo, anche politico, all’epoca lo avevo». Era stato il regista delle Leopolde di Matteo Renzi. «Questo l’ha detto lei, io ho detto fin troppo». Cos’altro resta da dire? «Non ho mai risposto a una provocazio­ne, non ho mai dato in escandesce­nze, non ho concesso una sola intervista. Avrei potuto dire un sonoro vaffanculo a tanta gente a tempo debito e non l’ho fatto. È il mio carattere». Lo descriva. «Sono quello che quando si fanno le squadre prima di una partita di pallone viene scelto per primo. Non perché sia particolar­mente bravo, ma perché credo nelle resurrezio­ni. Se sto perdendo 7 a 0 sono convinto che vincerò 8-7. Se sono ancora in piedi, se sono ancora vivo, è perché sono così».

 ??  ?? Fausto Brizzi, 50 anni, regista e scrittore. Il 21 febbraio esce il suo nuovo film, Modalità aereo. DESTINAZIO­NE CINEMA
Fausto Brizzi, 50 anni, regista e scrittore. Il 21 febbraio esce il suo nuovo film, Modalità aereo. DESTINAZIO­NE CINEMA
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I protagonis­ti di Modalità aereo, il nuovo film di Fausto Brizzi: Violante Placido, 42 anni, Paolo Ruffini, 40, e Lillo, 56. Nel film, come dice il regista, ci sono echi della vicenda che l’ha coinvolto. FINZIONE E REALTË

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