L’ALTRO LINO
La fine non esiste, tuona perentoria la headline della Porta rossa. Davvero? Lo chiedo a Lino Guanciale, intercettato al Piccolo Teatro di Milano dove era in scena con Ragazzi di vita di Massimo Popolizio. «Sì, ma non in senso religioso, perché sono ateo. Significa che nessun risultato è definitivo. Così sembra soltanto una prospettiva agonistica, ma è vero anche per le relazioni».
Nella Porta rossa, serie tv mistico-paranormale che torna con la seconda stagione su Raidue, Guanciale è il commissario Cagliostro che, ucciso in servizio, resta sulla Terra per regolare dei conti, invisibile per tutti tranne che per una liceale. Alla soglia dei 40, «che mi minacciano», dice parafrasando Montale (li compirà il 21 maggio), lui che è sempre stato un workaholic – «non vado ai party, non faccio public relation, non ho tempo libero» – ammette di essere a un bivio: «Da un punto di vista affettivo sento che sto scavallando: dopo anni passati a dare priorità al lavoro, ora mi si aprono nuovi spazi». Lino Guanciale è uno dei pochissimi attori-ponte italiani: riesce a tenere insieme la tv mainstream delle fiction che fanno tra il 14 e il 24% di share e infondono linfa ai fan club (come quelli dedicati a Claudio Conforti, il medico legale che interpreta nell’Allieva) e il teatro di ricerca, per il quale nel 2018 ha ricevuto due premi importanti, l’Anct e l’Ubu.