Cosa mi rende felice
Tutto ciò che pensiamo su Hollywood è sbagliato. O meglio, superato. Una nuova generazione
di attori e attrici tra i 20 e i 30 anni sta bonificando quella labirintica kasbah di scandali e penombre per farne un ordinatissimo quartiere residenziale. Soleggiato e molto politically correct. Dove prima c’era un Johnny Depp pieno di demoni, ora c’è un Timothée Chalamet che si presenta alla cerimonia dei Golden Globe con la mamma. Dove c’era una Marilyn Monroe che, tra un capriccio e un calmante, richiedeva oltre 20 ciak per girare una scena, ci sono professioniste come Saoirse Ronan, apprezzate per la precisione oltre che per la bravura. Anche le droghe e gli amori clandestini pare abbiano ceduto il posto a yoga e letture.
A condurci per le vie dell’odierna e ripulita industria cinematografica americana è Elizabeth Debicki: una 28enne che, dal suo esordio sul grande schermo con Baz Luhrmann nel Grande Gatsby all’ultimo riconoscimento di cui è insignita, il Women In Film Max Mara Face of the Future Award® 2019, si è conquistata un posto d’onore tra quella che in gergo è chiamata la «Young Hollywood». Anche se lei è australiana e a Los Angeles non ha mai vissuto. Ecco uno dei tanti miti che l’attrice con il corpo di silfide e gli occhi di ghiaccio si appresta a sfatare: «Ormai Hollywood è un concetto, più che una città. Spesso i giovani attori scelgono di vivere altrove. Io, per esempio, ho preso casa a Londra. Anni fa mi chiedevo: “cosa può rendere il mio lavoro migliore?”. Ora mi domando: “cosa può farmi felice, cosicché anche il lavoro sia migliore?”. Londra mi fa felice per il suo fermento culturale».
Fine dell’immagine della ragazza di provincia che fa fagotto, si trasferisce in California, si mantiene con lo stipendio di cameriera e la speranza di essere notata. «Oggi i provini si fanno mandando i self-tape», ovvero dei video autoprodotti. «Con i registi si parla via
Skype». Più che al bar, uno viene notato su Instagram, dove l’imperativo è essere felici, amare tanto la propria famiglia, sentirsi fortunati. Elizabeth in questo fa eccezione: non è presente sui social media perché non gradisce l’erosione del confine tra pubblico e privato che, inevitabilmente, l’utilizzo dei network comporta. Ma, in mezz’ora di chiacchierata, avrà ripetuto l’espressione «mi sento molto fortunata» almeno cinque volte. Fortunata ad aver lavorato accanto a Cate Blanchett nello spettacolo teatrale The Maids: «Solo l’idea di respirare la sua stessa aria mi riempiva di gioia». Fortunata a essere stata scelta da Max Mara come volto del futuro: «È un brand che adoro: è simbolo dell’eleganza senza tempo». Fortunata ad aver sempre incontrato co-star maschili «estremamente rispettose». A venir paragonata a Kim Novak, musa di Hitchcock: «complimento che accetto con piacere». Ad avere una famiglia che le ha instillato «una grande disciplina».
Figlia di due ex ballerini classici, madre australiana e papà polacco, è nata a Parigi ma è cresciuta a Melbourne. Studentessa modello, avida lettrice, «a 17 anni ho vinto una borsa di studio per l’università. Se avessi studiato filosofia, avrei reso felici i miei genitori. Ma, allo stesso tempo, sono stata ammessa all’Accademia d’arte drammatica della mia città. Da sempre attratta dalla recitazione, per me la scelta è stata semplice». Le conferme professionali non si sono fatte attendere: appena diplomata, nel 2013 Debicki è chiamata da Baz
Luhrmann. Nel 2015 Guy Ritchie la vuole in Operazione U.N.C.L.E. Nel 2017 entra nel cast del blockbuster Guardiani della Galassia Vol. 2. Nel 2018 è protagonista di Widows, diretta da Steve McQueen che, a Vogue Australia, di lei ha detto: «Il suo limite è il cielo». E, no, non si riferiva al fatto che l’attrice sfiora il metro e novanta. Piuttosto, alla sua capacità di immergersi nei ruoli senza risparmiarsi: «A volte un personaggio rimane dentro di me per mesi, anche dopo la fine delle riprese», conferma Elizabeth.
Le ultime interpretazioni che le sono rimaste «attaccate»? «Berenice, americana coinvolta in una truffa legata al mondo dell’arte, nel thriller di Giuseppe Capotondi The Burnt Orange Heresy. E Christina Braithwhite in Lovecraft Country, serie tv sulla percezione del razzismo negli Stati Uniti degli anni ’50». Per saperne di
Oggi noi donne dell’industria cinematografica siamo più consapevoli di ciò che vogliamo e abbiamo imparato a fare rete
più bisognerà attendere il prossimo autunno. Salvo un aneddoto su una scorpacciata di tiramisù sul set («Ne ho mangiato così tanto!»), Elizabeth non rivela nulla per «paura di spoilerare». Altra caratteristica della Young Hollywood: le parole vanno calibrate quando si parla di film non ancora usciti. Centellinate se si sfiora la vita privata. Appurato che sua sorella studia design di interni, alla domanda «tuo fratello di cosa si occupa?», risponde con un vaghissimo «lavora».
C’è un argomento, però, sul quale non fa economia: interrogata sul crescente coinvolgimento delle donne nell’industria cinematografica, Debicki si passa una mano tra i capelli ossigenati, recupera lo sguardo finora posato altrove, spinge avanti il collo da cigno come per concentrarsi. Poi attacca: «Nel 2019 non è così inconsueto sentire la frase “qui occorre un tocco femminile”. Noi donne siamo molto più consapevoli di quello che vogliamo. Abbiamo imparato a fare rete. Se a cena incontro una collega con cui sento delle affinità, mi viene naturale ipotizzare un progetto da realizzare a quattro mani. Se sento che un’altra sta cercando fondi per finanziare una sua idea, le presento un produttore che potrebbe essere interessato». Collaborazione, questa, figlia del #MeToo? «Certamente: è una delle sue positive ramificazioni», risponde Elizabeth. «Un’altra è che argomenti considerati tabù fino al 2017 sono diventati materia di dibattito. Di colpo, la gente non ha più avuto paura a parlare. Le donne hanno smesso di pensare di non avere voce in capitolo. Morale: io oggi, in quanto attrice, mi sento più potente, più protetta, più libera». Libera di passeggiare nell’elegante sobborgo in cui Hollywood è stata trasformata. Un quartiere senza più drammi, senza più mistero.