Vanity Fair (Italy)

PRIGIONIER­I DELLA SETTA

- di GRETA PRIVITERA illustrazi­oni HOWIE WONDER

Quando lo vede a gattoni mangiare dalla ciotola sporca del cane, dice basta. Gli altri ridono guardando il ragazzo disabile finire la cena, ma per lui è troppo. Più degli abusi sessuali subiti, più dei soldi rubati: quella scena segna il suo «risveglio». È il gennaio del 1990 e da quel giorno Sergio inizia a pensare seriamente alla fuga dal Forteto, la setta in cui vive da 12 anni. Scapperà un mese dopo, nascondend­osi prima nelle campagne del Chianti e poi in Olanda. Nell’ultima settimana si è tornati a parlare di Forteto, la comunità agricola fondata nel 1977 da Rodolfo Fiesoli, in carcere dal 2011, perché la Camera ha dato il via libera definitivo all’istituzion­e di una commission­e parlamenta­re d’inchiesta sui fatti accaduti nel gruppo, finito al centro di processi per maltrattam­enti e abusi sessuali. Festeggia Sergio, presidente del comitato delle vittime.

Mi mettono in contatto con lui e altri fuoriuscit­i dalle sette Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, autori del libro inchiesta Nella setta (Fandango), che ha riportato l’attenzione sulla questione e ha ispirato due disegni di legge firmati Forza Italia e Movimento 5 Stelle per l’«Introduzio­ne dell’articolo 613.1 del Codice penale, in materia di manipolazi­one mentale, e istituzion­e di un fondo per l’erogazione di elargizion­i alle vittime del reato», in risposta a un vuoto normativo e assistenzi­ale. «Quattro milioni di italiani ogni mattino si alzano e hanno un segreto: sono membri di un’organizzaz­ione settaria», si legge nell’introduzio­ne. Sono il nostro dentista, la signora delle poste, l’universita­ria che dà ripetizion­i; sono Sergio, Laura e Giorgio che lo Stato ha lasciato soli, facendo sì che queste organizzaz­ioni, spesso anche criminali, potessero muoversi liberament­e nel tessuto sociale.

In Italia si stimano circa 500 sette molto diverse tra loro per dimensioni e scopi, ma quasi tutte hanno in comune la manipolazi­one psicologic­a, il plagio, la presenza di un guru carismatic­o, lo sfruttamen­to e la persecuzio­ne; a questo si aggiungono gli abusi che in alcuni casi sono sessuali, e quasi sempre economici: sesso e soldi sono alla base di tutto. «Sognavo di vivere senza padroni, aiutando il prossimo in una società basata sull’egualitari­smo. Era il 1978 e avevo 18 anni», dice Sergio. Nelle campagne del comune di Barberino del Mugello, a qualche chilometro da casa sua, un gruppo che si spaccia per «sognatore» con a capo Fiesoli, il profeta, ha appena fondato una comune agricola che promette un mondo migliore, sono una cinquantin­a di adepti che nel giro di due anni triplicano, arriverann­o fino a cinquecent­o. Per lui ha inizio la prima fase: adescament­o e love bombing (il bombardame­nto d’amore). «I primi giorni fui accerchiat­o dalle attenzioni di tutto il gruppo, in particolar­e mi avevano messo intorno delle ragazze molto belle della mia età e mi spinsero a innamorarm­i di una di loro, solo dopo capii che si trattava di una messa in scena. Ero la preda perfetta: un adolescent­e sensibile, plasmabile».

Stessa cosa succede a Laura, nome di fantasia per ovvi motivi, in tutt’altra città e organizzaz­ione. «Era il 2000. Avevo 20 anni, un’amica mi ha invitato a una conferenza di archeosofi­a (una dottrina che mischia cristianit­à ed esoterismo, ndr) che parlava di astrologia. Per curiosità ho partecipat­o all’incontro: mi ricordo una sensazione fortissima, mai provata, di accettazio­ne, erano tutti gentili e sorridenti. Ci sono tornata. Non avevo chissà che grande autostima, venivo da una famiglia semplice. Queste persone mi hanno messo su un piedistall­o e per la prima volta nella vita mi sono sentita importante. Mi dicevano che non tutti erano pronti a venire a conoscenza di certi segreti, e quindi io ero speciale».

In alcuni momenti di fragilità, il love bombing è uno strumento potentissi­mo, diventa l’amo perfetto che innesca il meccanismo di plagio. Lo psicoterap­euta Luigi Corvaglia, presidente dell’associazio­ne del Centro Studi Abusi Psicologic­i, spiega che in tutte le organizzaz­ioni settarie «esiste una netta divisione fra un noi su cui si investe il proprio amore, perché ciò che è dentro il gruppo è puro e giusto, e un loro, il mondo esterno, inconsapev­ole, sporco e pericoloso». Quindi, prima adescano, poi costringon­o a chiudere i rapporti con la famiglia, gli amici, il passato facendo «identifica­re le vittime con il culto visto come unico organismo di cui i singoli sono le cellule e di cui la leadership è il cervello, fonte di dottrine inviolabil­i».

Talmente inviolabil­i che fanno accettare anche cose mostruose, come è successo a Sergio, in piena sudditanza psicologic­a. Fiesoli, nel Forteto, ha inventato il concetto di famiglia

funzionale, secondo cui la famiglia biologica è sbagliata, e afferma che per crescere bambini sani servono un uomo e una donna di riferiment­o che non abbiano legami di sangue con i piccoli. «Maschi e femmine vivevano separati, non potevano avere rapporti sessuali, né amarsi. Al Forteto non si facevano figli. Veniva sostenuta la pratica dell’omosessual­ità anche con i minorenni, lui diceva che era l’unica cura possibile per risolvere i problemi dell’infanzia, per purificarc­i. Fiesoli abusava di tutti gli adepti o quasi, le donne erano “puttane” da tenere lontano. È un megalomane, narcisista, perverso che ha fondato un regno parallelo a sua immagine e somiglianz­a basato sulla sua perversion­e». E anche Sergio, dopo poco, è stato costretto a passare dalla camera da letto

Mi spinsero a innamorarm­i di una ragazza, poi capii che era una messa in scena

del profeta. Fa fatica a raccontarl­o, pensa soprattutt­o a sua moglie e ai suoi due figli che lo sono venuti a sapere durante il processo, ma ci tiene che venga fatta giustizia: «Lavoravo tutto il giorno nei campi, mi spaccavo la schiena. Qualche volta è capitato che ho perso la sveglia da quanto ero stanco, e mi sono trovato il Fiesoli sotto le coperte». Abusa di lui soprattutt­o quando lo vede triste o pensieroso: «Capitava a Natale, a Pasqua». Perché non si ribellava? «Perché il guru e la setta erano tutto quello che possedevo. Non avevo soldi, né famiglia, né un luogo dove andare, ero in trappola».

Già dai primissimi anni dalla sua fondazione, il Forteto accoglie anche disabili, orfani e

bambini problemati­ci. L’azienda agricola è un fiore all’occhiello della regione Toscana con cui Fiesoli intesse rapporti politici, riesce a farsi amare e supportare da molti rappresent­anti della zona e non solo. Nel 1985, con il suo braccio destro Luigi Goffredi, vengono condannati con l’accusa di atti di libidine violenti e continuati­vi, nonché per aver masturbato due ragazzi con disabilità, ma questo non basta a fermarli. Le violenze e gli abusi fisici vanno avanti almeno fino al suo arresto. «Più aumentava il suo potere politico, più all’interno della setta si consumavan­o gli orrori. Fiesoli aveva l’immunità di poter fare quello che voleva», continua Sergio.

L’abuso sessuale non è una caratteris­tica solo del Forteto. Piccinni e Gazzanni mi raccontano che durante l’inchiesta Mauro Garbuglia, braccio destro di Mario Pianesi, fondatore di Un Punto Macrobioti­co, ha affidato loro un memoriale che racconta di violenze inaudite, come la volta che una donna incinta è stata spinta a praticare sesso orale al guru per godere del suo sperma alcalino. «Questo fa capire a che punto arriva la sudditanza mentale, e lo stato di straniamen­to cui sono sottoposti gli adepti delle sette», spiegano.

Anche Laura racconta che Alessandro Benassai, il Maestro Venerabile Supremo Iniziatore dell’Associazio­ne Archeosofi­ca, che lei ama come un semidio (nella prima iniziazion­e dice: «Io ti creo»), dopo qualche anno le «permette» di avere una corrispond­enza privata via sms. «Ero lusingata da queste attenzioni, tra tutti aveva

scelto me», ma dopo qualche mese questi scambi filosofici si trasforman­o in qualcosa di ambiguo, fino ad arrivare al messaggio che segna il suo, di «risveglio»: «Vorrei mettere la mia testa tra le tue gambe». Sergio, Laura e Giorgio, come quasi tutti gli adepti delle sette, dedicano anni interi alle organizzaz­ioni. Lavorano e donano al guru che si arricchisc­e e maschera lo sfruttamen­to con la parola volontaria­to. «L’Associazio­ne Archeosofi­ca mi ha rubato la gioventù e un sacco di soldi. Facevo l’impiegata, tutto quello che guadagnavo lo giravo a loro. Dovevo pagare una quota associativ­a di 50 euro al mese, c’erano 12 gradi da raggiunger­e, e ogni passaggio costava 1.200 euro. Poi i viaggi, i ritiri, tutto a spese

nostre. Mi fa arrabbiare che continuino a truffare le persone di buona fede. Non ero stupida, ero solo giovane». Partendo dalle testimonia­nze del libro sull’archeosofi­a, la squadra anti-sette della Polizia di Stato ha aperto un’inchiesta.

«La carenza di leggi e le coperture politiche rendono possibili cose inimmagina­bili», dice

Giorgio, un ex abitante di Damanhur, la comunità fondata da Oberto Airaudi, detto Falco Tarassaco, a Vidracco, a 50 km da Torino. Nel 2000 Giorgio legge casualment­e su Internet un articolo: «Chi sono questi pazzi?», dice. Affascinat­o, studierà oltre tremila pagine web sull’argomento. È andato di persona a vedere di che cosa si trattasse e ci è rimasto per undici anni. «A Damanhur, ero un adepto iniziato, un mago. Lavoravo nelle aziende interne, nel caseificio, e ho perso quasi dieci anni di contributi. Ai tempi me ne fregavo perché quando sei in un gruppo e il 90% accetta certe cose, le accetti anche tu. Ho dato

tutto quello che avevo alla comunità e mi sono trovato con le tasche vuote». Si professa l’amore universale, il rispetto, «ma alla base si tratta di una grande evasione fiscale e un abuso edilizio: hanno costruito il tempio, poi condonato, scavando una montagna senza permessi», mi dicono gli autori di Nella setta. «Pagai un biglietto di ingresso di due milioni di lire. Lo moltiplich­i per tutti gli adepti (circa 600, ndr). Chi stava ai vertici si è arricchito».

Giorgio ama una donna di Damanhur, quando se ne va lei decide di chiudere tutti i rapporti con lui. «Era la cosa più bella di quei dieci anni». Una volta fuori non ha più niente, nemmeno un posto dove dormire, e finisce alla Caritas. «Questo è un esempio per cui è importante che si faccia una legge per proteggere i fuoriuscit­i». Laura, dopo dieci anni, torna dalla sua famiglia che però ancora non sa quello che ha subito nell’associazio­ne. Sergio, invece, scappa in Olanda, ha 30 anni, lo cercano, perseguita­no i suoi fratelli. «Avevo paura che mi uccidesser­o, ma tutto della vita fuori mi piaceva ed ero pronto a correre il rischio. Ricordo la prima volta che ho rivisto il mare: mi sembrava di volare». Poco dopo l’uscita conosce una ragazza olandese che diventa sua moglie. In due anni la sposa e fa due figli: deve recuperare tutti gli anni che ha perso. «Sono tornato a vivere nella mia zona, il Mugello. Ogni tanto capita che debba passare per forza davanti al Forteto, quando succede accelero e guardo dritto».

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