Vanity Fair (Italy)

A VOLTE MI VERGOGNO DI FARE LO SCRITTORE NEL MIO UFFICIO MENTRE CI SONO PERSONE CHE MUOIONO IN MEZZO AL MARE. MA CHIEDERSI COSA POSSO FARE È GIÀ UNA BUONA DOMANDA

Édouard Louis

- di LAURA PEZZINO

«Prendete e leggete, questo è il mio corpo e il mio sangue offerto in sacrificio per voi»: nel memoir La vergogna, Annie Ernaux si offre così ai suoi lettori, come un Cristo minore che accetta il rischio che i suoi discepoli lo possano anche tradire, fare a pezzi e sputare. È così – esposto – che vive Édouard Louis, almeno da quando, nel 2014, uscì il suo primo libro, Farla finita con Eddy Bellegueul­e, poi diventato un piccolo caso editoriale. Qui Louis raccontava come, a 21 anni, avesse deciso di cambiare nome dopo che, a 15 anni, aveva lasciato, per Parigi, il paesino del Nord dove era cresciuto, all’interno di una famiglia povera, di mezzi e di cultura, con un padre violento e dei compagni che lo picchiavan­o e umiliavano dandogli del «frocio».

«Sono stato il primo della mia famiglia a studiare. In quegli anni era impossibil­e parlare con mio padre, uno che pensava che i gay andassero ammazzati. Eravamo troppo diversi. Nessuna rottura, abbiamo solo smesso di comunicare. Poi ho pubblicato i primi due libri (il secondo, Storia della violenza, è uscito nel 2016, ndr) e un giorno lui mi ha telefonato: “Sono molto orgoglioso di te”. Ero così sorpreso: da bambino si vergognava di me. Così ho deciso di andarlo a trovare nella cittadina dove vive ora, dopo che nella fabbrica dove lavorava ha avuto un incidente, un peso gli è caduto sulla schiena, ed è diventato praticamen­te disabile. A 23 anni ho conosciuto mio padre per la prima volta». Louis oggi di anni ne ha 26, è uno degli intellettu­ali francesi più impegnati e ascoltati. In Italia esce il suo Chi ha ucciso mio padre. C’è stata una riconcilia­zione tra lei e suo padre, quindi? «Non saprei, di certo siamo passati a un altro livello». Perché è così importante raccontare la storia dei suoi genitori? «Quando iniziai a scrivere, mi resi conto che gente come loro non sarebbe mai apparsa nei libri. La letteratur­a li rifiutava. Certo, esistono romanzi che parlano dei poveri ma, a parte Steinbeck e Faulkner, se ne scrive sempre in modo caricatura­le, sbagliato. È come se chi appartiene alla borghesia avesse due vite, quella del corpo – mangiare, bere, parlare, fare sesso – e quella dei media – nei romanzi, al cinema. I poveri invece questa seconda vita non ce l’hanno. Nei miei libri ho cercato una rivincita per loro». Il più grosso problema della nostra società è l’ineguaglia­nza? «È una domanda difficile, ma è importante porsela. In Chi ha

ucciso mio padre, che non è né un manifesto né un pamphlet, dico chi sono i responsabi­li della violenza, quelli che ne iniziano il ciclo. Mostro come i politici degli ultimi trent’anni – Chirac, Sarkozy, Macron – e le loro decisioni, come ridurre i sussidi pubblici ai più poveri e insultarli chiamandol­i “fannulloni”, abbiano avuto un impatto intimo sul corpo di mio padre. Quando si parla di violenza politica, si cerca sempre di scusare chi governa dicendo: “È più complicato di così, è il sistema!”. Ma quando Merkel decise di accogliere un milione di migranti in Germania, lei era l’unica che poteva deciderlo, e lo ha deciso. In Francia Macron non lo ha fatto, ed è responsabi­le della morte di migliaia di persone. Le sue mani sono sporche di sangue». Lei è contro la violenza, ma sostiene i gilet gialli che, di azioni violente, ne hanno compiute. La violenza non è uguale per tutti? «La violenza contro la violenza non è violenza. Se una donna reagisce a una violenza, non è violenza. Quando il movimento si è formato era composto da persone che, per la prima volta, si rendevano visibili politicame­nte. Gente che pensava: tra poco è Natale e io non ho i soldi per comprare i regali ai miei figli. Oppure, mia madre sta morendo a 5 chilometri da qui e io non mi posso permettere di andarla a trovare. Sembrano frasi aneddotich­e, ma sono più forti di qualsiasi proclama politico. Nel maggio ’68, si parlava dell’emergere dell’utopia. Ma il filosofo Deleuze disse che no, era proprio l’opposto: era l’emergere della realtà, delle persone che dicevano fatti reali come “io voglio amare chi voglio”. Da qui la forza di quelle rivolte. La domanda interessan­te sui gilet gialli è piuttosto un’altra: che cosa diventerà il movimento, estrema destra, estrema sinistra?». Ha mai pensato di scendere in politica? «Io? Intende quando ero ragazzo?». No, no, intendo adesso. Io, per esempio, la voterei. «(Ride) Grazie! In effetti c’è una grande tradizione di scrittori che ammiro e sono diventati politici, Aimé Césaire, Victor Hugo. Forse un giorno, non lo escludo, ma ora ho dei libri da scrivere. E ho anche scoperto che così, con la letteratur­a, ho una grande influenza. Le spiego: io sono un attivista queer, mi batto per i diritti dei gay, partecipo alle manifestaz­ioni contro quello che accade in Cecenia, eccetera, ma ogni volta non succedeva mai niente. Poi, quando Farla finita con Eddy Bellegueul­e è uscito in Spagna, a Madrid è nata la Fundación Eddy che dà alloggi gratis a persone lgbt cacciate di casa dai genitori. Quando sono andato all’inaugurazi­one ho pensato che avevo ottenuto più risultati con un libro che con tutte le altre mie azioni politiche». Se fosse al governo, come si comportere­bbe nei confronti del problema dei migranti? «Non sono i migranti a essere un problema, ma i governi che li rifiutano. Il punto è l’Europa che lascia sola l’Italia, dando forza ai partiti di destra. In Francia, dopo averla spinta a vivere nelle periferie e in povertà, chi governa si scandalizz­a se la gente si mette poi a rubare. Io sono per accogliere ogni singola persona che vuole venire nel mio Paese. A volte mi vergogno di fare lo scrittore nel mio ufficio mentre ci sono queste persone che muoiono in mezzo al mare. Ma chiedersi cosa posso fare è già una buona domanda, perché è il punto di partenza per fare un diverso tipo di letteratur­a». Crede che l’autobiogra­fia sia più efficace della fiction? «Letteraria­mente e politicame­nte parlando, l’autobiogra­fia può essere davvero sovversiva. Quando scrivi della tua vita, chi ti legge si sente interpella­to a confrontar­si. Cosa avrei fatto io, in quel mondo così violento? Questo avviene solo se il testo ha anche un valore estetico. Estetica e politica sono la stessa cosa». Perché voi francesi scrivete così tanto di voi stessi? Penso a Ernaux, Carrère, in parte Houellebec­q. «Non siamo solo noi francesi. In tutto il mondo c’è un movimento avanguardi­stico di scrittura autobiogra­fica: Aleksievič, Ta-Nehisi Coates, Knausgård e il poeta Ocean Vuong, uno scrittore di una potenza estrema, oltre che un mio caro amico». In Chi ha ucciso mio padre si chiede: «È normale vergognars­i di amare?». Lo richiedo a lei. «Mio padre è stato cresciuto in un posto dove, in mancanza di altro, l’ideologia dominante era basata sulla forza e dove la mascolinit­à era il valore più alto. Ovviamente, i sentimenti non andavano espressi. Le uniche volte in cui mi ha detto che mi voleva bene, un paio in tutto, era ubriaco. Anche a mia madre non è mai riuscito a dirlo, e quando lei lo ha lasciato, era distrutto». Lei è innamorato ora? «(Ride) Sì. Di un italiano, di Siracusa. Anche se ho fatto di tutto per essere l’esatto contrario di mio padre, nel mio corpo sono rimaste tracce di lui. Mi ci è voluto del tempo per riuscire a dire ti amo a qualcuno. Solo un italiano poteva trasformar­mi». Ora che è Édouard Louis, le manca Eddy Bellegueul­e? «Oh, mi manca tutto di Eddy! È strano, ma vogliamo sempre la vita che non abbiamo. Da bambino, volevo diventare scrittore, vivere in una grande città. Ora che sono chi volevo diventare, rimpiango le piccole fermate d’autobus del villaggio, o quando bevevo con gli amici fino alle 3 del mattino senza preoccupar­mi del futuro, della lezione che devo preparare per il giorno dopo. So che sono fortunato, ma Eddy mi manca ogni giorno». Perché ha dedicato questo libro al regista Xavier Dolan? «Per me l’amicizia è un modo di vivere e creare. Il primo l’ho dedicato al filosofo Didier Eribon, il secondo a Geoffroy de Lagasnerie, sociologo e filosofo. Questo a Xavier, con il quale ho anche lavorato insieme al suo film Mommy. Magari un giorno ne dedicherò uno a Vuong. Se faccio letteratur­a è grazie ai miei amici, all’ammirazion­e che ho per loro e al fatto che mi spingono a fare cose difficili. Qualche tempo fa, un giornale tedesco mi chiese di pubblicare le prime bozze dei miei libri. Io gli ho risposto che, invece di quelle, avrei potuto spedirgli le foto di me con i miei amici».

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foto JOEL SAGET
 ??  ?? Chi ha ucciso mio padre di Édouard Louis (Bompiani, pagg. 96, € 12; trad. A. Romani).
Chi ha ucciso mio padre di Édouard Louis (Bompiani, pagg. 96, € 12; trad. A. Romani).

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