Vanity Fair (Italy)

Mi auguro una vita a Los Angeles, in una bella villa con la piscina, mia moglie, i miei figli e un paio di Ferrari

Capo Plaza

- di VALENTINA COLOSIMO foto SIMONE TADIELLO

L’imprinting del primo video visto su All Music: «Stronger di Kanye West: una folgorazio­ne. Avevo nove anni. Ho visto questo tizio che sembrava venire da un altro mondo, con musica incredibil­e, immagini fortissime, si respirava ricchezza, sogno, metropoli, un modo di vestire nuovo. Sono impazzito». Prima di farsi chiamare Capo Plaza – unione della tag «plaza» che scriveva sui muri del suo quartiere a Salerno e di «capo», «perché mi piaceva: autocelebr­ativo e bello cafone» – Luca D’Orso era un bambino che nella sua cameretta coltivava sogni di gloria. Non sono passati poi molti anni: oggi Capo Plaza ne ha quasi 21 (li compie in aprile) ed è fra i

trapper italiani maggiormen­te in ascesa. L’ultimo anno è stato quello della svolta: un contratto con una major, un tour europeo che si concluderà il 26 marzo a Milano, un doppio disco di platino per l’album 20 uscito lo scorso anno e il traguardo di miglior album di debutto del 2018. I segni del successo sono tutti addosso, nei marchi ben visibili sulle scarpe e sul piumino che non si toglie neanche al chiuso. E non è un caso: «Mi piace l’artista che si veste bene. Dalle mie parti ero l’unico ad avere questo stile, lì si ascolta molto la musica neomelodic­a e i ragazzi si vestono con i pantaloni stretti e il mocassino. Io invece stavo sempre dietro alle ultime tendenze, fin da bambino risparmiav­o per comprare le sneaker: mia mamma mi dava 20 euro al sabato per uscire e 2 euro al giorno di paghetta».

Che cosa rappresent­a questo look? «Un modo di dire che ce l’ho fatta. Passare dai vestiti del mercato alla griffe francese è una bella soddisfazi­one, no? È una vittoria. Le persone però ti giudicano perché non sanno quello che hai vissuto». Parliamone. «Ho una sorella di 27 anni, una madre e un padre. Siamo una famiglia molto unita. Papà lavora come impiegato nell’ufficio delle case popolari, sta nella hall: guadagna mille euro al mese. Mamma fa la contabile mezza giornata in uno studio d’avvocati e prende 300 euro. Mia sorella era la studiosa, adesso ha lasciato l’università. Penso che studiasse qualcosa per diventare educatrice ma non sono sicuro...». Come fa a non esserne sicuro? «In quegli anni ero distratto, stavo sempre in strada con gli amici». E che cosa facevate? «Facevo musica, ci trovavamo in un asilo a fare le battle di rap. Fumavamo, giocavamo a pallone, facevamo i gavettoni. Aprivamo le saracinesc­he per vedere cosa c’era dentro i posti abbandonat­i, nelle fabbriche. Rubavamo le batterie dei motorini. Tutto il giorno così dai 13 ai 15 anni». E i suoi genitori cosa dicevano? «Poveretti, io non mi rendevo conto di quanto dispiacere gli davo. Sono stato bocciato due volte in prima superiore, così ho lasciato la scuola. Poi, per fortuna, con l’aiuto di mia madre e facendo dei lavoretti, mi sono pagato la scuola privata e ho preso il diploma: maturità scientific­a». Ha messo la testa a posto? «Ho pensato: chissà se mi va bene con la musica, meglio prendersel­o un foglio». Con la musica poi è andata bene. «Spegnevo il telefono e andavo a Roma a fare i contest: vincevo cento euro, poi tornavo e facevo vedere i soldi ai miei. Nel 2016 il primo album, poi è stato un crescendo fino a 20. Sapevo di essere bravo ma non mi aspettavo tutto questo successo». Perché ha iniziato a fare trap? «Mi è sempre piaciuto, da quel primo video di Kanye West. C’era mio zio che dietro al negozio vendeva dei cd taroccati, io un giorno sono andato da lui e gli ho chiesto di farmene uno con tutti i pezzi rap del momento. Lui mi dà questo cd con Sean Paul, Jay-Z, Lil Wayne... Tutti questi omoni con le treccine, i grillz, le collane, i tatuaggi, le macchine che saltavano». Un immaginari­o lontano dalla sua vita a Salerno. «Ma sentivo che mi appartenev­a. Mi dicevo: wow, ma allora c’è anche questo nel mondo? Questa è la bella vita? Certi bambini restano affascinat­i dal calcio, io dal rap. Si vedeva che era gente partita dal niente e ce l’aveva fatta». Da che quartiere viene? «Pastena, non è né popolare né centrale. Un giorno c’è la rapina, l’altro non succede niente. Ho conosciuto il lato buono e quello cattivo, l’amico che si è laureato e quello che è finito agli arresti domiciliar­i perché “vende i pezzi” (spaccia, ndr)». Le stava stretta Salerno? «Un po’, ma solo dopo che ho iniziato a frequentar­e Milano e Roma. Ora vivo a Milano da un anno, in affitto». A casa facevate fatica con i soldi? «Erano pochi, sì. Ma i miei genitori non ci hanno mai fatto mancare niente: piuttosto non si compravano loro le scarpe per prenderle a noi, i nostri piatti di pasta erano sempre più grandi dei loro. Ci facevano sentire di vivere nel castello della Disney. E io ora voglio farli vivere bene».

Mi ferisce quando sento dire che noi trapper siamo figli di Satana. Siamo persone anche noi, con i nostri sentimenti

Il regalo più bello che gli ha fatto? «Il frigorifer­o. Il loro era rotto da dieci anni». E lei cosa si è comprato con i primi soldi? «Una tracolla firmata. E un forno a microonde». Ha paura che il successo finisca? «Tanta. Magari la trap è solo una moda e io sparisco. Ma sta a me, alla mia bravura, continuare». È una fonte di stress? «La gente non capisce: la mia vita non è solo stare sul palco e spendere soldi. La sera sono da solo. Ti dicono: questi trapper non fanno un cazzo, fumano, fanno le canzoni sceme. Ma siamo persone anche noi, con i nostri sentimenti». Che cosa la ferisce di più? «Sentirsi dire che noi trapper siamo figli di Satana. Ma noi non parliamo di eroina e cocaina come tanti artisti nel passato, noi al massimo ci facciamo le canne». I suoi genitori cosa ne pensano? «Mia madre mi ha dato un sacco di schiaffoni quando ha scoperto che fumavo. Adesso si è rassegnata, mi dice solo di non esagerare». Situazione sentimenta­le? «Vivo con la mia ragazza: si chiama Naomi, è di Milano e ha 19 anni. Ci siamo conosciuti sui social, era una mia fan». Studia? «No, la scuola non fa per noi, pure se c’è scritto “scuola guida”... Naomi lavora con me, cura i miei outfit. Mia mamma invece si occupa della contabilit­à». È felice? «Non ci sto molto con la testa adesso. È difficile essere catapultat­i in questa vita se non ci sei abituato. Ho perso amici di lunga data per questioni di interesse». Qual è il cambiament­o più grande? «Le persone mi trattano in modo diverso, io non ho più fiducia in nessuno. Sono un ragazzo paranoico, senza autostima. Ho problemi di rabbia, attacchi di panico. Forse non vivo la vita che vorrei». E che vita vorrebbe? «Non lo so, ma il successo e i soldi non sono tutto. La sera a letto penso: ma che cosa mi manca? E non lo so. So solo che prima scrivevo le canzoni e facevo le hit, adesso ho troppe pressioni e scrivere è difficile. Mi sento instabile, forse sono solo giovane». Dove si vede tra dieci anni? «Via dall’Italia, di sicuro. Abbiamo una mentalità arretrata, non mi piace questo Paese dove noi trapper siamo visti come scemi. E c’è troppo razzismo. A me piace stare in Francia o a Londra, dove esci di casa e il bianco parla con il nero. Senza distinzion­i». Che cosa si augura? «Una vita a Los Angeles, in una bella villa con la piscina, mia moglie, i miei figli e un paio di Ferrari».

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 ??  ?? ANNO MAGICO La cover di 20, miglior album di debutto del 2018. Capo Plaza è impegnato nel suo primo TOUR EUROPEO, che si concluderà in Italia con la data del 26 marzo all’Alcatraz di Milano.
ANNO MAGICO La cover di 20, miglior album di debutto del 2018. Capo Plaza è impegnato nel suo primo TOUR EUROPEO, che si concluderà in Italia con la data del 26 marzo all’Alcatraz di Milano.
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