HO FATTO UN SOGNO
Lo aveva deciso da ragazzino: da grande avrebbe recitato. Ma la strada per arrivarci è stata lunga, Isaiah Mustafa ha provato una infinità di lavori. E soprattutto un certo deodorante
Il 7 febbraio 2010, mentre a Miami c’era il Super Bowl, in tv veniva lanciato lo spot di un deodorante del marchio Old Spice, da pochi giorni su YouTube. Isaiah Mustafa usciva a torso nudo dalla doccia, guardava dritto in macchina e, rivolgendosi al pubblico femminile, diceva, in sostanza: probabilmente il vostro uomo non ha il mio fisico, però potrebbe, perlomeno, avere il mio stesso profumo.
Quello spot divenne uno dei primi video virali. Era ironico, intelligente (si rivolgeva alle donne perché, in base alle ricerche di mercato, erano loro a fare quel genere di acquisti per conto di mariti e fidanzati), e il protagonista era nero. Seguirono dibattiti in tv, sui giornali e chiacchiere da bar. Tra i tanti temi in discussione, quello sul colore della pelle del testimonial, con pro e contro che Cbs News sintetizzò magistralmente in una domanda: «La scelta del nuovo protagonista del brand dimostra che viviamo in un paradiso post razziale o si tratta solo dell’ennesimo Mandingo?».
«Prima di allora non si erano visti molti uomini afroamericani, soprattutto in pubblicità di quel tipo. Penso che quello spot rappresentò un passo avanti a favore della diversità», risponde Mustafa che, oggi, anche grazie all’enorme po- polarità conquistata con quella pubblicità, fa l’attore. Da ex giocatore di football, sa anche che la progressione è fatta di scatti, micro accelerazioni in avanti. «Molte cose sono cam- biate in dieci anni, ma il progresso non ha un passo uniforme, ci sono fasi in cui il cambiamento accelera. Credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che di strada da fare ne resti ancora parecchia. Le storie che vediamo nei film e in tv dovrebbero riflettere lo stesso livello di complessità e diversità della vita reale».
A settembre, sarà uno dei protagonisti di It: Capitolo 2, la seconda parte del film basato sul romanzo di Stephen King. Il gruppo dei perdenti, i sette ragazzini che avevano fronteggiato Pennywise, si riunisce di nuovo 27 anni dopo. Sarà Mike, il personaggio interpretato da Mustafa, l’unico rimasto a vivere in città, a radunare i vecchi amici. «Come nel libro, questo ruolo diventa ancora più centrale. Credo che i fan del romanzo saranno molto felici. E terrorizzati. Abbiamo girato alcune scene davvero spaventose». Nel frattempo, su Netflix è ancora in corso la seconda parte della terza e ultima stagione della serie fantasy Shadowhunters: The Mortal Instruments. L’ultimo episodio si vedrà il 14 maggio. A novembre, lo show aveva vinto il People’s Choice Award, qualche mese dopo l’annuncio della cancellazione. «E due Teen Choice Award. È stata una decisione incomprensibile, uno shock enorme per tutti noi. Abbiamo voluto girare almeno altri due episodi per dare una completezza al nostro lavoro».
Mustafa ha una storia che, solo fin qui, varrebbe già una sceneggiatura. Investì i soldi
Prima, non si erano visti molti afroamericani in pubblicità di quel tipo. Lo spot rappresentò un passo avanti a favore della diversità
guadagnati sul campo da gioco in un ristorante che chiuse nel giro di qualche mese. Quindi, decise di sfruttare la sua passione per i fumetti partecipando a un quiz tv, The Weakest Link. Vinse 47 mila dollari che usò, questa volta, per pagarsi una scuola di recitazione.
«In origine il mio piano era continuare a giocare finché fosse stato possibile – la carriera dell’atleta non dura a lungo – e poi diventare un attore, che era quello che avevo sempre sognato». La passione per la recitazione, spiega, risale a quando aveva cinque anni: «A mio fratello maggiore avevano dato una parte in uno spettacolo della scuola e c’era bisogno che qualcuno interpretasse la versione più giovane del suo personaggio. Chiesero a mia madre se era d’accordo che lo facessi io ma lei fu irremovibile. Penso che ne avesse già abbastanza delle prove di mio fratello, impegnato cinque ore al giorno, per sopportare anche le mie».
La seconda occasione si presentò non molto tempo dopo. «Eravamo con tutta la famiglia in un ristorante a Los Angeles, a un certo punto entra un attore. L’ho riconosciuto perché faceva una serie intitolata L’isola di Gilligan. Mi misi a far chiasso e a saltare di qui e di là per attirare la sua attenzione. Infatti, venne al nostro tavolo a salutarci. Con lui c’era anche la sua manager: “Suo figlio”, disse a mia madre indicandomi, “potrebbe fare qualcosa in televisione”. La sua risposta fu ancora una volta: “No”».
Ovviamente quando i tuoi genitori ti impediscono di fare qualcosa, lo desideri ancora di più, nota Mustafa che, nel corso degli anni, avrebbe attraversato una serie di mestieri con il suo obiettivo sempre chiaro in mente. «Ma, alla fine, aver fatto tutte quelle esperienze si è rivelato un vantaggio. Per un attore torna utile conoscere situazioni e ambienti diversi. Ho lavorato nell’edilizia, in un parco di divertimenti e ho fatto l’allenatore di atletica leggera: non è facile guadagnare abbastanza da viverci ma mi ha dato tante soddisfazioni, è bello poter aiutare gli altri a realizzare i loro sogni».
Il suo, a questo punto, qual è? «Ho una figlia di 18 anni. Come la maggior parte dei genitori mi auguro che possa vivere in un mondo più vasto e aperto di quello in cui sono cresciuto io».
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